77. E’ questo il numero che indica la percentuale mostruosa di vittorie che la Red Bull ha ottenuto nel campionato del mondo di F1 archiviatosi il 20 novembre scorso. 17 bandiere a scacchi viste per primi su 22 arrivi totali. Un numero mai raggiunto dagli uomini di Milton Keynes che hanno riscritto, grazie a Max Verstappen, anche il record di singole vittorie in un anno che apparteneva alla coppia teutonica Sebastian Vettel – Michael Schumacher, a quota 13. L’olandese si è fermato a 15 e ha dato la sensazione che, non incappando in weekend storti come quelli di Singapore e di San Paolo del Brasile, poteva addirittura far meglio.
La concorrenza, volendo usare una terminologia riduttiva ma efficace, è stata letteralmente piallata, stesa come un rullo compressore farebbe con un manto d’asfalto appena posato. Ferrari riesce ad ottenere quattro vittorie, con l’ultima che arriva a casa del nemico (cosa che non porta proprio bene a quanto pare), per poi fare da spettatrice per mezzo mondiale. Quel “proveremo a vincerle tutte” proferito da Mattia Binotto dopo il Gp di Francia è stato un boomerang mediatico di proporzioni bibliche. Un’uscita improvvida che la storia ha devastato.
Non meglio sono andate le cose in casa Mercedes. Se Maranello può dire di averci creduto almeno fino alla pausa estiva, Brackley ha alzato bandiera bianca sin dai test invernali. Una resa incondizionata, una figuraccia per chi s’era presentato ai nastri di partenza da campione del mondo in carica e per giunta con un progetto che sulla carta doveva sbaragliare la concorrenza. La W13, alla fine, vincerà una sola gara e otterrà una misera pole position. Vacche magrissime che la progressione annuale e la soluzione del rompicapo porpoising non hanno di certo ingrassato.
Prendere legnate sul muso non deve essere stato semplice. Specie se ad avere in mano il bastone è un team che alle spalle ha tutto fuorché un colosso dell’automotive. Honda lo è ma si tratta di un motorista esterno che nulla ha a che vedere con “l’ecosistema” Red Bull che, sintetizzando, produce bibite dal dubbio sapore (parere personale di chi scrive) riuscendo a venderle in maniera eccezionale grazie ad una capacità di fare marketing unica al mondo.
Insomma, Ferrari e Mercedes non saranno felici di essere state sconfitte da un produttore alimentare. E Chris Horner, uno che si diverte parecchio a lanciare stoccate mediatiche avvelenate, lo ha sottolineato a chiare lettere. “Quando vinci 17 gran premi e fai quello che abbiamo fatto noi, puoi percepire quanto possa fare male ai nostri avversari. Sono sicuro che i nostri concorrenti saranno ancora più motivati a diventare sfidanti più forti nel 2023. Ferrari e Mercedes sono entrambe squadre di così alta qualità che non potremo dare nulla per scontato la prossima stagione“.
“Si impara sempre. I problemi li avranno anche gli altri. Più sale la posta in palio, più i coltelli saranno affilati. Quest’anno abbiamo avuto diverse esperienze di ciò. Il modo più rapido per diventare impopolare in questo paddock è vincere costantemente. Siamo una filiale di un’azienda che produce bevande energetiche. Gareggiamo contro marchi storici dell’automobilismo. E naturalmente questo non piace ad alcuni avversari“.
E in questa concretissima fotografia si nasconde il segreto del team Red Bull che è stato in grado di costruire il modello organizzativo talmente efficiente da diventare esso stesso un punto di riferimento per chi non può contare sul supporto di colossi mondiali dell’automobile di produzione come Stellantis o Daimler AG.
Intendiamoci, sono servite ingenti quantità di danaro per metter su una struttura che dal 2004 ha vinto sei titoli piloti e cinque costruttori. Ma ciò che s’è rivelato importante è stata soprattutto la forza delle idee e la ricerca di competenze del settore. In F1 si sono succedute molte realtà cariche di grana ma che hanno fallito miseramente. I soldi, in fondo, non fanno le felicità. Né sono l’unico elemento per scalare i gradini della gloria.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red bull Racing