Il lento avvicinamento al mondiale di F1 2023 è caratterizzato dalla curiosità di vedere i nuovi modelli e dalle solite esternazioni mediatiche dei protagonisti. Compendi sul passato e propositi per il futuro: bilanci che si fondono con i sogni e le speranze nel più tradizionale dei giochi da affrontare in tempi di silenzio agonistico. La pausa post campionato è di certo stata molto meno accesa di quella che ha caratterizzato il 2021, quando gli strascichi dell’epilogo di Abu Dhabi hanno giocato un ruolo da protagonista.
Anche se il clima è stato generalmente più sereno, qualche piccola polemica non è mancata. Ad animarla, non è una novità, ancora una volta Mercedes e Red Bull che non si tirano mai indietro quando c’è da lanciare dardi velenosi. Stavolta aveva iniziato Toto Wolff con parole non proprio sibaritiche nei confronti di Christian Horner: “Praticamente vivo in affitto dentro la sua testa – ha spiegato Wolff alludendo al n°1 della Red Bull – Quell’uomo è ossessionato da me. Ogni secondo che passo a parlare di lui è una perdita di tempo“.
Uscita un po’ troppo gratuita alla quale, come riferito ieri (leggi qua) aveva indirettamente replicato Helmut Marko in un tentativo destabilizzante basato su congetture più che su elementi fattuali. Schermaglie che talvolta scadono nel buffo ma che ci accompagnano per mano, intrattenendoci, almeno fino all’inizio dei test invernali di fine febbraio che finalmente sposteranno l’accento su ciò che davvero ci interessa: la pista.
Ma Toto Wolff sa anche essere una persona intellettualmente onesta. E lo ha dimostrato lodando in maniera aperta i rivali che qualche giorno fa erano oggetto dei suoi strali. Non un giro di valzer ma l’attestazione che si diventa grandi grazie al lavoro ed al bagaglio conoscitivo. Il comproprietario di Mercedes AMG F1, ai taccuini della testata elvetica Speedweek, ha apertamente lodato quello che ritiene l’artefice dei successi della Red Bull:
“È stato senza dubbio un fattore per la Red Bull avere un tecnico che avesse già operato in F1 ai tempi dell’effetto suolo. Mercedes, come staff tecnico, ha sottostimato certi aspetti. Credo, in ogni caso, che il nostro reparto di aerodinamici sia straordinario e forse aver attraversato una stagione così difficile potrebbe portare benefici di lungo termine al team”.
In effetti, come confermato da Mike Elliott, il padre del concept “zero pod“, il 2022 è stato una lunga e dolorosa sessione di allenamento, di acquisizione dati e di implementazione di procedure che serviranno a creare una monoposto più efficace e che abbia una finestra operativa ben più ampia di quella su cui poteva contare la W13.
In Mercedes si dicono convinti di aver superato quello che, nella prima parte del campionato scorso, è stato il fattore più limitante: lo smarrimento della correlazione tra pista e sfera computazionale. Un ambito che era stato uno dei pilastri della stagione dei trionfi anglo-tedeschi.
Le nuove regole hanno avuto l’effetto di annullare – o per meglio dire di rimodulare – tutti i punti di riferimento tecnici accumulati negli anni precedenti. Con il ritorno alla piena comprensione di una sfera di vitale importanza per una F1 che si allontana sempre più inesorabilmente dal track testing, Mercedes sente di aver ritrovato le proprie certezze.
Da Brackley arrivano notizie confortanti. Spifferi, ad ora, che andranno confermati dalla pista e che dicono che la W14, a quel simulatore che l’anno scorso aveva illuso (da qui il procedere con i piedi di piombo), sembrerebbe aver superato le difficoltà del modello precedente. “Solo in Bahrain, a fine febbraio, scopriremo se abbiamo effettivamente risolto i nostri problemi. Le simulazioni sembrano buone, ma lo erano già l’anno scorso e poi la vettura non si è rivelata competitiva“.
In effetti il grosso problema delle vetture di nuova generazione è che il fenomeno del pompaggio aerodinamico, pur essendo endemico quando c’è di mezzo l’effetto suolo, non è facilmente simulabile in laboratorio. Né prevedibile. E in questa dinamica Adrian Newey ha fatto tutta la differenza del mondo.
Red Bull, grazie al suo capotecnico, è stata la prima squadra ad affrontare nel merito il problema del porpoising. Se molti team sono rimasti letteralmente e colpevolmente sorpresi da una monoposto che rimbalzava imponendo assetti “debilitanti”, il progettista che ha fatto le fortune della compagine austriaca aveva già considerato la tendenza adeguando il progetto RB18 alla necessità di superarla prima ancora che la macchina mordesse l’asfalto.
Newey ha acquisito il fondamentale know-how sulla materia all’inizio della sua carriera. Il vulcano di idee di Stratford-upon-Avon ha spiegato perché non si è fatto trovare impreparato alla più grande rivoluzione che la classe regina del motorsport ha conosciuto negli ultimi 40 anni:
“Ho incontrato l’aerodinamica a effetto suolo anni addietro e il mio ultimo progetto durante gli studi riguardava la sua applicazione alle auto sportive. Stavo cercando uno stage e ho scritto ai team che hanno corso nella stagione 1980. La maggior parte di loro non rispose. Harvey Postlethwaite, che all’epoca lavorava alla Fittipaldi, mi offrì un lavoro come apprendista nel suo reparto di aerodinamica“.
Dalla teoria alla pratica. Il giovane Newey fu immediatamente proiettato nel “campo di battaglia” divenendo subito capo-dipartimento. Una vera e propria ordalia del fuoco superata in scioltezza che è servita come palestra conoscitiva per affrontare la sfida delle “F1 next gen”. “Avevo intuito cosa ci aspettava – ha spiegato il tecnico – Al massimo sono rimasto sorpreso dalla portata. In realtà tutti avrebbero dovuto saperlo. È un fenomeno che è nel DNA di queste auto”.
Il porpoising è un fenomeno molto difficile da riscontrare in galleria del vento e nei modelli computazionali. Nonostante ciò, però, c’erano altri modi per prevederlo. Cosa che è stata capace di fare la compagine campione del mondo garantendosi un vantaggio prestazionale sul quale ha potuto sviluppare la macchina.
Difatti, gli ingegneri si sono potuti immediatamente mettere al lavoro per far dimagrire la RB18 senza l’assillo, come ad esempio accaduto ai rivali della Mercedes, di perdere sessioni, gran premi e ore di galleria per capire come uscire fuori dalle oscillazioni verticali.
La chiave per comprendere cosa accadrà nel 2023 è semplice: se gli altri competitor avranno davvero capito come gestire il pompaggio sin dalla fase progettuale allora potrebbe erodersi quel vantaggio prestazionale che nel 2022 si è visto con grande evidenza. Uno scenario che confermerebbe quanto affermato recentemente da Frédéreic Vasseur che si dice convinto che a breve la Formula Uno si sposterà verso una convergenza prestazionale che livellerà decisamente i valori in campo.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Mercedes AMG