Capacità di adattamento. Questa è forse la caratteristica principale che un team di F1 deve possedere per cavalcare le ere tecniche e per farsi trovare pronto per scalare i gradini che portano alla vetta. Che la massima serie a ruote scoperte sia cambiata negli ultimi anni è un dato di fatto incontrovertibile. Non ci riferiamo solo a questioni ingegneristiche, sarebbe troppo semplice menzionarle, ma piuttosto a tutta la sfera che alle cose tecniche ruota intorno.
Il budget cap, strumento legislativo introdotto anche per rispondere alla crisi finanziaria scaturita in seguito alla crisi pandemica, ha imposto un cambio di modello organizzativo molto profondo. Quelle realtà che fino a qualche tempo fa potevano spendere quasi senza limiti hanno dovuto ricalibrare la gestione per non andare fuori controllo ed incappare in pesanti sanzioni del giudice.
I top team, dopo due anni, si sono riorganizzati per non dilapidare risorse conoscitive e non perdere personale. Se all’inizio si riteneva, a giusta causa, che le strutture più snelle potessero meglio gestire il nuovo quadro finanziario votato ad una maggiore rigidità, la prassi sta raccontando altro.
Le scuderie più grandi hanno altri programmi di corse o dipartimenti tecnologici non motoristici in cui hanno spostato e allocato personale che, alla bisogna, può essere richiamato alla base. Vedasi Mercedes che ha contribuito al programma vela del gruppo INEOS, Ferrari che si è lanciata nel WEC e, tramite Maserati, nella FE e Red Bull che ha investito risorse nella produzione della hypercar firmata da Adrian Newey.
Un team di dimensioni medio-piccole senza altri progetti paralleli da mettere in cantiere non ha altra via che quella di licenziare il personale in sovrabbondanza visto che non lo può riallocare per richiamarlo se la necessità e il budget restante lo consentono. In questo panorama, quindi, realtà meno strutturate debbono ripetutamente licenziare e assumere maestranze in un circolo dispendioso e certamente dispersivo di competenze che, una volta libere, possono rispondere alle chiamate che arrivano da realtà terze.
Quindi la nuova frontiera è quella che conduce alla creazione di sub-strutture che si accendono e si spengono in base ai bisogni della scuderia controllante. In questo modo si ottiene un duplice vantaggio: non si spreca il capitale umano e lo si tiene pronto per il reintegro dopo che non è stato inutilmente parcheggiato ma attivamente valorizzato con progetti altrettanto validi ed ambiziosi. E questo modo di procedere è di certo più semplice per un team che alle spalle ha grandi intelaiature piuttosto che per una realtà di dimensioni modeste senza sbocchi in altri settori.
Ma non è solo l’ambito delle risorse umane che le scuderie hanno dovuto rivedere. Le sfide più difficili che il budget cap ha posto afferiscono proprio alla sfera progettuale. E qui Red Bull ha mostrato grandi virtù visto che, proprio negli anni in cui la tagliola del tetto di spesa è stata applicata, ha dato scacco matto alla Mercedes. Opera assolutamente meritoria visto che gli anglo-tedeschi venivano da una striscia di vittorie senza precedenti.
Cosa ha fatto la differenza? Quali strategie hanno permesso a Red Bull di mandare in crisi il modello Mercedes che sembrava inscalfibile? Lo ha spiegato l’ingegnere capo del team di Milton Keynes, Paul Monaghan. “La disciplina è cambiata. Prima potevamo prendere in considerazione aspetti che avrebbero potuto comportare cambiamenti più importanti e costare di più ed eravamo in una posizione estremamente privilegiata per poterlo fare“.
“La nostra disciplina ingegneristica si è dovuta adattare a queste regole. Quello che abbiamo fatto negli anni precedenti ora non è più possibile farlo. È pur vero, però, che lo stesso vale per gli altri. È uguale per tutti: andiamo avanti e vediamo come va“.
E’ proprio l’ultimo passaggio delle dichiarazioni riportate da Autosport che segna quale sia stata la chiave del successo della Red Bull. A parità di condizioni con la concorrenza, difatti, l’equipe austriaca è stata in grado di impostare un canovaccio gestionale che ha fatto la differenza sul piano tecnico e sportivo. Il superamento del budget cap e la relativa penalità che sarà applicata nel 2023 vanno considerati episodi incidentali che non sottraggono meriti ad un team meritatamente campione del mondo.
Red Bull, in conclusione, si è posta come un preciso meccanismo di alta orologeria al servizio dei due perni intorno a cui ruota il team: Adrian Newey, che ha interpretato meglio di ogni altro il nuovo contesto tecnico memore della sua esperienza sulle monoposto ad effetto suolo, e Max Verstappen che dopo la vittoria sul filo di lana del campionato 2021 si è presentato nel 2022 più determinato, concreto, affamato e maturo che mai. In queste condizioni e nonostante la scure della penalità è difficile non ritenere i “tori caricanti” i favoriti per il prossimo cammino iridato.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing