In un’epoca non troppo remota, piloti ufficiali e test driver di F1, macinavano migliaia di chilometri in test collettivi e privati per validare la bontà di update aerodinamici o semplicemente per definire il setup di base per il gran premio successivo. La Scuderia Ferrari ha costruito gran parte dei successi nell’epoca d’oro di inizio millennio grazie a intensive sessioni di prove supportate da uno specifico gruppo di lavoro (test team, nda). Michael Schumacher era il prototipo del “pilota totale”, colui che alle innate doti di guida ha abbinato la totale dedizione nella validazione in pista di qualsiasi aggiornamento aerodinamico o evoluzione dei propulsori aspirati.
Il bando dei test a partire dalla stagione 2009 ha avuto un enorme impatto sulla metodologia di lavoro dei team. La crescita esponenziale delle capacità computazionali delle infrastrutture IT unitamente a software di simulazione sempre più affidabili hanno trasferito i test dai circuiti ai simulatori. Nonostante l’iniziale riluttanza dei piloti più esperti nell’utilizzo delle piattaforme di simulazione, con il passare degli anni si è assistito ad un naturale adattamento delle nuove leve.
Ogni generazione è figlia del proprio tempo, e per campioni del calibro di Verstappen, Leclerc, Norris e Russell l’esperienza di guida virtuale rappresenta un ottimo feedback per testare ciò che in passato veniva deliberato in diverse giornate di prove in pista.
Nonostante l’attitudine “nativa” dei nuovi conducenti al rapido adattamento alle piattaforme di simulazione, la maggior parte del lavoro viene svolto dai piloti di riserva tranne sporadiche sessioni effettuate dai piloti titolari. Ad esempio il team di Maranello si è avvalso negli anni dell’instancabile contributo di Marc Genè, Andrea Bertolini, Antonio Giovinazzi e recentemente di Robert Švarcman.
I moderni simulatori dei team di Formula 1 sono costituiti da un telaio collegato a sistemi elettromeccanici controllati da computer dedicati che eseguono programmi che elaborano modelli complessi di monoposto e circuiti. Per riprodurre le sollecitazioni a cui è sottoposto un vero abitacolo, i sistemi elettromeccanici muovono il telaio in risposta ai comandi impartiti dalla pedaliera e dal volante. Vengono simulate le forze laterali, di accelerazione e di frenata che il pilota percepisce nel contesto reale.
L’obiettivo dei simulatori, è appunto quello di approssimare le condizioni reali. Le scuderie confrontano i rilievi acquisiti durante le di prove libere o nei giorni successivi ai pre-season test con quelli delle simulazioni. La correlazione dei dati termina quando lo scarto tra i parametri della simulazione e quelli acquisti sul campo possono essere considerati trascurabili.
Nel corso della stagione tutti gli update aerodinamici sviluppati sui sistemi di fluidodinamica computazionale (CFD, nda), successivamente testati in galleria del vento vengono “caricati” nel modello virtuale del simulatore affinché i piloti possano verificarne la bontà. Per tale ragione l’atavico problema della correlazione dati, tante volte chiamato in causa da alcuni team principal, rappresenta lo scostamento tra il comportamento del modello virtuale della monoposto al simulatore rispetto a quello riscontrato in pista. Quindi indipendentemente dalla bontà della veste aerodinamica di una monoposto, migliore è la correlazione e più rapido sarà il processo di troubleshooting/evoluzione della vettura.
Nello scritto è stata fornita la definizione di “pilota totale” come colui che oltre al talento donato da madre natura abbina il continuo desiderio di apprendere qualsiasi dettaglio che possa migliorare la performance individuale e della monoposto. In sostanza un pilota dalle abilità fuori dal comune con grandi capacità di collaudare e sviluppare il mezzo. Un’alchimia difficilmente riscontrabile nel medesimo individuo. Basti pensare a Luca Badoer, fine collaudatore di cui Michael Schumacher si fidava ciecamente, ma dalla sfortunata carriera nel Circus. La transizione digitale verso gli ambienti di simulazione virtuale non ha modificato l’attitudine dei più grandi piloti.
Il due volte campione del mondo, Max Verstappen ha recentemente spiegato che non gradisce delegare le sessioni di lavoro al simulatore: “non voglio che un collaudatore si occupi delle sessioni al simulatore, come fanno altri team.Voglio farlo io stesso, perché ognuno ha il proprio stile di guida. Le giornate al simulatore saranno anche molto lunghe, ma ne vale indubbiamente la pena”. L’approccio di chi non vuole lasciare nulla al caso nonostante un talento fuori dall’ordinario.
Probabilmente anche il punto di arrivo del processo di maturazione del fuoriclasse olandese, consapevole che i futuri successi non possono prescindere da estenuanti sessioni virtuali certamente meno adrenaliniche di prove in pista ma altrettanto importanti per poter continuare a dominare nell’immediato futuro.
Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Mercedes AMG