I veli sono caduti da quasi tutte le monoposto di F1 2023. Manca all’appello solo l’attesissima nuova creatura di Adrian Newey, la RB19, che si è solo lasciata intravedere in uno shakedown segreto tenutosi a Silverstone. In senso assoluto, tutti i progettisti hanno optato sull’evoluzione delle monoposto della scorsa stagione che, in alcune circostanze, erano state letteralmente rivoluzionate in corso d’opera.
Basti pensare alla versione evoluta della Aston Martin che ha debuttato nel gran premio di Spagna 2022 che destò molto scalpore per la “sinistra” somiglianza con la Red Bull RB18. Nonostante l’esperienza accumulata nella scorsa stagione, gli ingegneri hanno cercato di massimizzare i punti di forza delle rispettive vesti aerodinamiche all’interno di un quadro normativo tutto sommato ancora molto “giovane”.
Al netto dell’Alfa Romeo C43 che rappresenta il modello con i più evidenti segni di discontinuità aerodinamica, nessun bolide ha reciso il cordone ombelicale che lo lega alla progenitrice. In attesa che Red Bull confermi o smentisca questo assunto, i top team hanno riproposto le originali geometrie “upper floor” dimostrando di credere nelle proprie filosofie aerodinamiche. La convergenza verso altri paradigmi avrebbe compromesso tutto il know-how acquisito nel 2022.
Una scelta di comodo, quella operata da Ferrari e Mercedes? Tutto sommato la Red Bull RB18 ha dimostrato di aver individuato la migliore direzione aerodinamica dopo il lungo processo di alleggerimento della monoposto di Milton Keynes.
L’opzione di valutare nuove vesti aerodinamiche celava troppi interrogativi oppure il potenziale dell’originale design delle monoposto di Maranello e delle Frecce d’Argento ha margini di sviluppo inesplorati? Innanzitutto l’approccio evolutivo utilizzato dai Ferrari e Mercedes di basa su motivazioni sensibilmente diverse.
La nuova monoposto del Cavallino Rampante rappresenta, nelle intenzioni degli uomini di Maranello, l’update della F1-75 che nell’era delle spese folli sarebbe stata probabilmente realizzata nel corso della stagione. Ogni dettaglio della SF-23 è stato affinato in modo da eliminare o mitigare i limiti della monoposto 2022 che, è bene ricordare, sbaragliò la concorrenza al pronti-via.
Oltre alla gestione operativa dei weekend, a tarpare le ali alla F1-75 sono stati i numerosi guasti all’unità di potenza e l’introduzione della direttiva tecnica TD039 che ha limitato la geniale soluzione del “flexible floor” in grado di sigillare il fondo della monoposto ad elevata velocità.
Il vero tallone d’Achille della F1-75 era l’efficienza aerodinamica davvero deficitaria rispetto ai rivali della Red Bull. Il cronometro a breve emetterà i primi verdetti, tuttavia le finalità del lavoro svolto dall’equipe dell’ingener Enrico Cardile sono evidenti.
Tuttavia il vero step prestazionale è atteso dalla power unit 066/7 che, a causa i noti problemi di affidabilità, ha raramente espresso tutto il suo potenziale in gara. Probabilmente solo nei primi tre round della scorsa stagione dominati in lungo e largo dalla storica scuderia italiana.
Con l’introduzione della specifica 2 l’autonomia dei propulsori di Maranello era sufficiente a completare mediamente 3 weekend contro i potenziali 7 round imposti dal regolamento. Uno scenario critico che ha imposto una gestione parsimoniosa delle componenti delle unità turbo-ibride in termini di mappature.
I cavalli in più che Ferrari spera di utilizzare nel 2023 sono sempre stati presenti nell’unità di potenza 066/7 ma venivano giocoforza sacrificati sull’altare dell’affidabilità.
Le numerose pole colte dalla F1-75, al netto dello straordinario talento di Charles Leclerc sul giro secco, hanno confermato che nei pochi giri in cui si poteva massimizzare le performance del propulsore, la monoposto era ultra competitiva nonostante la scure della TD039.
A partire da questa evidenza gli uomini di Maranello hanno confermato ed evoluto le linee guida della propria filosofia aerodinamica che se assecondata da affidabilità e potenza può riprendere la leadership smarrita sulle rive del fiume Santerno poco più di un anno fa.
Ad essere onesti in pochi avrebbero immaginato proprio a valle del Gran Premio di Imola 2022 che il concetto zero-pod avrebbe potuto avere un futuro. I fantastici numeri rilevati al simulatore non trovano riscontro in pista e la W13 era la monoposto più sensibile al tedioso fenomeno del porpoising. Altri team avrebbero archiviato i modelli CAD 2022 anzitempo per dedicare tutte le proprie risorse sull’attuale stagione.
Invece, nonostante prestazione a tratti imbarazzanti, il team anglo-tedesco ha perseverato nella continua evoluzione della W13 che da brutto anatroccolo si è trasformato nel reale competitor della Red Bull nell’ultimo quarto della stagione.
In molti credono che la TD039 sia stata una mano tesa della Federazione Internazionale alla scuderia capitanata da Toto Wolff, tuttavia indipendentemente dai sempre presenti giochi di potere, Mercedes ha compiuto un recupero prestazionale senza precedenti.
La vittoria in Brasile colta da George Russell e quella sfiorata da Hamilton in Messico hanno dimostrato che i numeri rilevati al simulatore iniziavano ad avere correlazione con quelli in pista una volta che la W13 si è lasciata alle spalle l’evidente pompaggio verticale.
Per quale motivo convergere verso altri concept proprio nel momento in cui la correlazione dei dati era diventata sempre più attendibile? Probabilmente gli uomini diretti da Mike Elliott sono convinti poter replicare gli incredibili valori apprezzati al simulatore dodici mesi fa avendo estirpato i fattori che innescavano il porpoising sulla W13.
In sostanza Mercedes è convinta di avere intrapreso un indirizzo aerodinamico con ampi di sviluppo e che ben presto potrebbero ritornare ad essere il riferimento tecnologico della categoria.
Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat