Ferrari, un mondo a parte. Chi scrive, come ben sa chi frequenta il mio profilo su Twitter e le pagine di Formula Uno Analisi Tecnica, aveva salutato con grande interesse, e anche malcelato entusiasmo, l’arrivo ai vertici della GES di Mattia Binotto.
La sua non era stata propriamente un’irresistibile ascesa, ma il frutto di una lotta (con un team diviso almeno in due fazioni, cosa tra l’altro non nuova nel mondo di Maranello) durata mesi che lo aveva contrapposto all’allora team principal di stretta osservanza marchioniana, Maurizio Arrivabene.
Se non erro, la defenestrazione del secondo con nuovo pontificato del primo, eletto dal conclave della super mega ditta guidata da Elkann, è datata 7 gennaio 2019, un giorno dopo l’Epifania, che come si sa tutte le feste si porta via.
E in questo caso pure la fine del ciclo di Marchionne, purtroppo scomparso prematuramente nel luglio del 2018, mentre in pista infuriava la lotta, rivelatasi poi per l’ennesima volta perdente, della Ferrari contro la corazzata Mercedes.
Il “Papa Binotto” era la classica soluzione interna. E per molti di noi non c’era motivo di dubitare che potesse fare bene. Tuttavia, con il senno di poi, sarebbe stato utile sentire di più qualche gola profonda che ci metteva in guardia sul caratterino che “gronda bontà da tutti gli artigli” (frase di Edmondo Berselli dedicata a Romano Prodi, utile per dipingere diversi tipini solo apparentemente buoni e zuccherosi). Ma tant’è.
Nel frattempo abbiamo avuto nell’ordine: l’imbarazzante caso della PU 2019, la punizione mascherata che ci ha portato all’Inferno per due anni, una monoposto che con il nuovo regolamento avrebbe dovuto e potuto vincere il titolo. Aggiungiamo una gestione politica versus FIA assai deficitaria e una gestione interna del team da monarchia assoluta, cosa non adatta ad una squadra di F1 già da mezzo secolo.
Man mano che l’epopea Binotto arrivava all’apogeo e al tramonto, molti di noi si sono così dovuti svegliare e guardare in faccia la dura realtà, vedendo ancora una Ferrari che, fra gli altri difetti, aveva di nuovo una mentalità da perdente.
Oggi, dopo quattro anni e un bilancio purtroppo ampiamente deficitario, anche il papa interno ha fatto le valigie. E così il conclave dell’evanescente quanto sempiterno e ubiquo Elkann ha deciso per una virata con un papa “estero”, vale a dire l’attuale team principal, Federico Vassallo (vado in controtendenza e italianizzo il suo nome… un mio vezzo, come sapete).
Il sottoscritto non ha il palantir di tolkieniana memoria ne tantomeno la sfera di cristallo per vedere nel futuro. Tuttavia, a dispetto delle vedove del faraone Binotto (sì, esistono anch’esse e lottano, come l’ultimo giapponese arroccato nel fortino, per difendere la memoria del “caro estinto”), credo che la scelta di un papa straniero sia quella più giusta.
Il problema di fondo è che alla Ferrari c’è una forte autoreferenzialità, legata alla storia gloriosa del marchio, che limita fortemente gli orizzonti nel gestire il team e costruire/sviluppare una monoposto vincente. Non si vuole copiare dai più bravi. Intento lodevole se tu sei il più bravo. Se non lo sei, devi copiare, imparare e superare l’avversario.
E quindi un uomo che viene da altre realtà e con un curriculum lontano da Maranello può essere l’occasione della svolta. Una ventata di ossigeno che riorganizza e gestisce diversamente. Non so se ricordate cosa fece il presidente dal sempiterno ciuffo, alias Luca Cordero di Montezemolo, che ha donato alla Ferrari il quinquennio d’oro targato Schumacher.
Prese un papa non solo straniero, simpatico come l’orticaria, ma anche lontano dalla F1: Jean Todt. Il quale dovette scontrarsi proprio con un modo di lavorare che era ormai desueto rispetto ai team dominatori di allora e che dovette anche ricostruire una mentalità vincente. E’ pur vero che ci fu un robusto innesto di intelligenze non italiche (Byrne, Brown etc etc) e che il primo titolo arrivò nel 1999 (Costruttori), ma dobbiamo anche dire che oggi, rispetto all’anno zero 1993, il reparto tecnico è decisamente più all’altezza.
Non sappiamo se tanto all’altezza da competere con il genio di Adrian Newey, ma comunque non l’ultimo reparto in termini di idee e progettazione. E’ scontato che la domanda se un papa straniero possa bastare per riportare la Ferrari in alto, dove le compete, potrà trovare una risposta che solo la pista saprà dare nel medio lungo termine.
Ma possiamo certamente dire che un diverso modus operandi, con particolare attenzione al reparto strategico e allo sviluppo della monoposto nel corso della stagione, tema cruciale, e eventualmente diversi spostamenti mirati, potranno certamente migliorare le prestazioni soprattutto durante la gara.
Anche perché, diciamocela tutta, non è difficile evitare le figure barbine cui abbiamo assistito l’anno scorso, mentre in Red Bull si fregavano le mani pensando che, con avversari così, il loro sarebbe stato un lungo dominio.
Vediamo se il nuovo papa, Federico Vassallo da Draveil, riuscirà nell’impresa. In quel caso, forse, sarebbe utile cominciare a pensare di mettere sempre papi stranieri a capo della “chiesa” di Maranello. E perché no, possibilmente francesi.
Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi
Immagini: Scuderia Ferrari