Formula 1

La F1 acchiappa soldi snatura se stessa

Quante volte, analizzando l’espansione globale della F1, ci siamo chiesti del perché si scelgano determinati teatri e come mai l’Europa viva giorni di crisi che determinano una lenta emorragia di circuiti storici. La risposta scontata è quella che riporta ai soldi, alla capacità che altri soggetti hanno di sborsare moneta. Senza girarci troppo intorno, è così che vanno le cose nella più normale soddisfazione della basilare legge di mercato in cui si incontrano domanda ed offerta.

Liberty Media Corporate, da un lato, che ha tra le mani un bene prezioso ed esclusivo, la Formula Uno, gli organizzatori dei Gran Premi, dall’altro, che chiedono sempre più insistentemente di vedere i bolidi della massima categoria sul proprio suolo. Ecco che il prezzo per avere l’oggetto dei sogni schizza alle stelle. Da qui l’affanno europeo. Anzi, le difficoltà in cui stanno incappando tutti i tracciati storici.


F1: uno sport per ricchi

La Formula Uno non ha nulla di economico. A partire dal processo di creazione e produzione di una vettura per finire al costo dei biglietti di accesso alle gare per i quali, sovente, serve sacrificare un rene. Un giro di danaro che non si ferma mai e che tende al costante aumento. Gli organizzatori si sfidano a suon di pacchi di banconote foraggiando un meccanismo che, pubblicamente, parla di spending review e budget cap, ma sotto sotto si muove solo grazie al turbinio di cifre astronomiche.

Le due Ferrari F1-75 durante le prove libere di Jeddah 2022

I dati riportati di seguito sono emblematici e spiegano a chiare cifre, è il caso di dirlo, perché l’asse geostrategico della Formula 1 si stia spostando da quello che era il baricentro storico. Il Bahrain, per avere il gran premio sul tracciato di Sakhir, sborsa 52 milioni di dollari l’anno. Fino al 2036. L’Arabia Saudita ne spende 55, gli organizzatori del Gp d’Azerbaijan ben 57 a stagione. Il Qatar 55, Abu Dhabi 42. Numeri che vanno moltiplicati spesso per dieci considerando accordi di lunghissimo corso.

Una media da capogiro che quasi doppia quella dei gran premi europei o storici (Australia, Giappone, Canada, Brasile per citarne quattro) che si attesta sui 25 milioni con l’unica eccezione del Gran Premio d’Ungheria i cui promotori spendono ben 40 milioni di dollari per avere le vetture a ruote scoperte sul budello dell’Hungaroring.

Investimenti ingenti dai quali i gruppi organizzatori devono rientrare e, chiaramente, guadagnarci. Ed è in questa dinamica che si sta realizzando lo snaturamento del weekend tradizionale che tende a mettere sempre meno al centro l’evento gara a scapito di tutta una serie di attività correlate che Liberty Media Corporate impone e definisce come prerogativa per ottenere gli agognati GP.


F1. Il cinismo finanziario di Liberty Media Corporate

Chi si adegua è dentro, chi non lo fa è fuori. Emblematico è il caso del circuito del Paul Ricard, il cui presidente, nei giorni scorsi, è diventato Jean Alesi, che è sfilato via dal calendario perché non ha potuto – o forse voluto – ottemperare ai dettami imposti dalla proprietà della Formula 1. Né è riuscito soddisfare le ingenti richieste finanziarie che arrivavano dagli Stati Uniti. Destino che è toccato ad altre gare storiche come quelle tedesche e che stava per colpire Montecarlo (quella che sborsa meno, “dal basso” dei sui 20 milioni più il 10% delle tasse turistiche, ndr) e Spa Francorchamps che resta fortemente in bilico per i prossimi anni.

La splendida cornice di Spa-Francorchamps

Liberty Media non guarda in faccia a nessuno. Monaco, per rimanere “in pista”, ha dovuto rinunciare ai diritto di tracciato esclusivo concessigli da Bernie Ecclestone. Ha dovuto anche accettare la compattazione del weekend di gara abolendo le sessioni del giovedì e la “pausa glamour” del venerdì. “O si fa come diciamo noi o salutate il Circus“. Più o meno è questo ciò che Stefano Domenicali ha riferito ai promoter rivieraschi.

Stessa durezza manifestata nei confronti dell’università della Formula 1, Spa Francorchamps. Il gioiello belga ha dovuto affrontare profondi lavori di ristrutturazione ad alcuni punti della pista (Eau Rouge -Raidillon su tutti) e ha dovuto ottimizzare tutti quegli spazi esterni per permettere lo svolgimento di quelle attività correlate che Libety Media pretende.

Per ora i promoter hanno strappato un anno di contratto a 22 milioni di dollari ma il futuro resta avvolto in un’impenetrabile nebulosa. Quella 2023 potrebbe davvero essere l’ultima edizione di un evento iconico che fa impazzire piloti e tifosi. Perderlo sarebbe un peccato mortale.


F1. Razionalizzazione mancata per interessi economici

Liberty Media, come descritto in questo articolo, pretende molto sia in termini di sforzi economici sia in materia logistico-strutturale. Gli organizzatori soddisfano le richieste ma ne fanno altrettante, avendo in mano un certo grado di potere di ricatto. Certi Paesi, difatti, impongono date e momenti ben precisi per vedere il Circus sul proprio territorio. Bahrain esige la gara di apertura con annessi test per i quali spende bei soldi. Abu Dhabi quella di chiusura. Messico quella vicina alla commemorazione dei defunti. Montecarlo il solito periodo che si sposa con altri eventi mondani circostanti. E così via.

Partenza del Gp degli Stati Uniti 2022

Gli americani debbono piegarsi a queste necessità per non veder mancare capitali importanti, stimati, con un calendario a 23 gare, in oltre settecento milioni di dollari annui. La base del fatturato che si moltiplica con la vendita dei diritti tv, dei biglietti, con le sponsorizzazioni e via citando. Ne nasce quindi un calendario da schegge impazzite con la F1 che si sposta compulsivamente in giro per il globo contravvenendo a quella razionalizzazione che deve soddisfare criteri di ecosostenibilità più volte annunciati e mai concretamente e convintamente applicati.

Ne esce fuori una lista di gare apparentemente incoerente ma che invero lo è. Perché segue la logica del danaro, fiuta il flusso di capitali soddisfacendo le necessità del singolo organizzatore che, alla fine, è colui il quale olea un meccanismo dai mille ingranaggi la cui sopravvivenza dipende dai dollari.


Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1
, Mercedes AMG

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Diego Catalano