Se volessimo provare a sintetizzare all’estremo le caratteristiche del team Red Bull ci viene in mente il termine “aggressività”. Sostantivo che spesso viene declinato con accezione negativa ma che invece può avere anche dei risvolti positivi.
Red Bull aggredisce nella sfera tecnica. Il suo capo progettista, Adrian Newey, è un ingegnere che non si è mai risparmiato, allorquando bisognava azzardare, nel produrre idee estreme che alla lunga si sono rivelate vincenti e soprattutto si sono configurate come un punto di riferimento a cui tutte le altre squadre mirano.
Aggressività in pista. Altro fattore assolutamente positivo quando in ballo ci sono dei titoli mondiali. Max Verstappen è l’emblema del pilota che sbrana gli avversari. Uno mai pago, uno sempre alla ricerca della perfezione. Uno che lotta in maniera famelica, anche se deve conquistare pochi punticini nelle rare situazioni in cui si trova a barcamenarsi a centro gruppo.
Aggressività politica. E’ risaputo che Chris Horner, quando si trova a giocare ai tavoli federali o alle F1 Commission, non è un caposquadra che si tira indietro, che accetta passivamente la visione altrui. Anzi, è un duellante, un vero e proprio “cane da guerra” che cerca di imporre il proprio interesse specifico.
Lo abbiamo visto nella lunga trattativa inerente alla Direttiva 039; lo abbiamo osservato quando il suo team ha infranto il cost cap. Ne è scaturita una lunga partita a scacchi con la Federazione e Mohammed Ben Sulayem che alla fine ha prodotto una sentenza che non possiamo assolutamente definire afflittiva.
Altro tratto distintivo del team di Milton Keynes è una sorta di aggressività verbale e mediatica. Gli esponenti della squadra austriaca, difatti, non fanno i conti con le parole, hanno uno stile sempre molto diretto, a volte anche troppo. L’incarnazione di questo modo di relazionarsi con la stampa è rappresentato da Helmut Marko, un personaggio sempre schietto, talvolta esagerato. Che non filtra i pensieri che intende manifestare. La teoria di dichiarazioni un “po’ particolari” sarebbe lunghissima e non è questa la sede per un’antologia. Basti ricordare quella sul Covid party per far ammalare e immunizzare i piloti Red Bull.
Helmut Marko è così, prendere o lasciare. O lo si ama o lo si odia, ma in fondo è una persona che sa anche uscire dalla provocazione e ammettere se qualche volta è risultato un po’ troppo sopra le righe. L’ex pilota austriaco è anche una persona dalle grandi doti intuitive. Una sorta di segugio che riesce ad annusare il potenziale pericolo.
Facciamo un passo indietro di una decina di mesi. Luogo del “misfatto” il Gran Premio di Spagna 2022. La Aston Martin AMR22 era una macchina lenta, afflitta da pompaggio aerodinamico e sostanzialmente inabile a produrre performance accettabili. In quella fase la guida tecnica della scuderia di Silverstone era indefinita. Il team aspettava che Dan Fallows, proveniente dalla Red Bull, prendesse posto negli uffici tecnici. Cosa che avvenne proprio a inizio stagione.
Da quel momento l’ingegnere inglese, allievo di Adrian Newey, potette cominciare ad operare fattivamente sulla macchina. Ebbene, in quel del Montmelò, vedemmo una versione B della vettura che nei principi generali somigliava molto da vicino alla Red Bull RB18.
Le reazioni da Milton Keynes furono velenose. Prima Chris Horner e poi Helmut Marko, nel solito stile tagliente che li contraddistingue, minacciarono di chiedere delucidazioni e chiarificazioni alla Federazione in relazione alla conformità delle scelte tecniche fatte dal team rivale. Quei momenti furono caldi. Noi di Formula Uno Analisi Tecnica eravamo in sala stampa e si pensava che la cosa potesse avere seguito a suon di carte bollate.
Così non fu. Le accese polemiche rimasero in canna, sopite per un semplice motivo: quella “Versione B” non fu in grado di produrre quei risultati sportivi che il team si aspettava. Ma fu una base operativo-concettuale. Il tempo ci ha detto che è stata la tela ricamata in linee di contorno accennate dalle quali Fallows e la sua equipe hanno cominciato a definire la AMR23.
E sappiamo tutti questa macchina cosa sia stata in grado di produrre durante il Gran Premio del Bahrain. La vettura di Silverstone si è subito posta come secondo elemento della categoria, superando a piè pari Mercedes e Ferrari, ossia quei team che bramavano di battere Red Bull. Al momento non si vede una scuderia capace di spezzare la forza dei campioni del mondo, ma la Aston Martin è la squadra che più di ogni altra ha mostrato un’ascesa prorompente. Che, in qualche modo, ha iniziato a solleticare le paure dei dirigenti austriaci.
Ecco perché subito dopo la cerimonia del podio l’ex pilota di Graz è intervenuto ai microfoni della stampa accreditata per dire che le prime tre monoposto al traguardo erano altrettante Red Bull. Ovviamente l’allusione era a quel concept scelto da Fallows che ricorda molto da vicino quello impostato da Adrian Newey.
Ma c’è dell’altro. Perché, in realtà, la scuderia di Lawrence Stroll ha fatto una campagna acquisti che ha puntato direttamente a Milton Keynes: gli aerodinamici “scippati” alla franchigia anglo-austriaca sono ben sette. Il lavoro di questo staff “transfuga” si sta cominciando a vedere chiaramente.
E come se Aston Martin fosse stata in grado di fondere le virtù di Red Bull e di Mercedes. Dai primi ha preso la filosofia aerodinamica, dai secondi ha mutuato le virtù meccaniche perché tutto il retrotreno, ivi compreso il motore della AMR23, è comune alla Mercedes W14. Se power unit, trasmissione, cambio e sospensioni posteriori non funzionano alla perfezione sulla nera monoposto di Brackley, fanno invece faville sulla “verdona” di Silverstone.
E questo può succedere perché gli ingegneri hanno imbastito un vestito aerodinamico pressoché perfetto su un’ottima base meccanica. Una sorta di “taglia e cuci” che qualche ansia la sta generando negli uomini della Red Bull.
Helmut Marko, qualche giorno fa, ha voluto circostanziare le esternazioni prodotte subito dopo il Gran Premio di Sakhir, parlando di uscita scherzosa e non di accusa o di volontà di aprire un fascicolo presso la Federazione Internazionale dell’Automobile.
“No, assolutamente no. La mia non è un’accusa – ha spiegato alludendo alle parole post podio – Sono solo osservazioni scherzose. Ma se guardi le dieci auto, l’Aston Martin è la macchina più simile alla Red Bull“. Una specie di marcia indietro nella quale però resta la frecciatina sulla somiglianza concettuale delle due vetture.
Aston Martin ha compiuto un piccolo capolavoro perché in un anno il team è stato in grado di guadagnare oltre due secondi presentandosi con un modello veramente convincente. Tutto ciò mentre una ristrutturazione aziendale era ancora in corso.
I tecnici hanno lavorato dovendo superare qualche difficoltà logistica e soprattutto hanno operato ancora nella galleria del vento di proprietà della Mercedes poiché il wind tunnel della squadra non è ancora pronto (dovrebbe esserlo tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, ndr). Si parla di una struttura all’avanguardia che sarà capace di ottimizzare le ore di lavoro e di offrire risultati più concreti del già ottimo impianto dei “cugini” della AMG.
Cosa denuncia tutto ciò? Che il team di Silverstone ha delle risorse molto importanti e persone decisamente preparate e pronte, anche se non ha ancora tutti gli strumenti necessari per poter competere sullo stesso livello dei team più strutturati. Lacuna che, però, sta per essere colmata definitivamente. Perché il processo di riorganizzazione della squadra è quasi pronto e quando tutte le strutture e le maestranze saranno al pieno potenziale operativo potrebbero essere dolori per gli avversari.
Ecco che Aston Martin può diventare un soggetto davvero spendibile in chiave futura per essere una spina nel fianco anche ai top team. Questo lo hanno capito in Ferrari e Mercedes visto che sono state, almeno momentaneamente, sorpassate in pista. Ma lo sta assimilando anche Red Bull che vede la verde monoposto avvicinarsi lentamente, ma in maniera apparentemente inesorabile.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Aston Martin, Oracle Red Bull Racing