Formula 1

Gp Bahrain 2023: in F1 scoppia la grana dello “sportwashing”

Mancano oramai poche ore all’avvio del Gp del Bahrain che spalanca le porte al campionato del mondo di F1 2023. La parola passerà dunque alla pista e ai protagonisti, ma alcune vicende che hanno animato il dibattito di un inverno che volge al termine, restano ancora sul tavolo. Abbiamo parlato a lungo della questione che investe i diritti umani e la relativa facoltà di potersi a riguardo esprimere all’interno del Circus.

La libertà d’espressione è stata motivo di opposizione, aperto e frontale, tra i due poli che determinano la governance della Formula 1. La FIA, sposando il codice etico del comitato olimpico internazionale (CIO), ha di fatto apposto un filtro censorio ai conducenti che non saranno più liberi, se non concordandolo, di manifestare idee su questioni politiche e sociali.

Un provvedimento che ha spaccato letteralmente il Circus e che ha generato le irate reazioni di Liberty Media che ha letto l’azione di un sempre più intraprendente Mohammed Ben Sulayem come un atto liberticida. In effetti, nonostante l’adeguamento ai dettami del CIO, quello della FIA sembra un vero e proprio provvedimento censurante per non infastidire le autorità di quei paesi che foraggiano il sistema ma che non primeggiano per tutela dei diritti umani. 

Liberty Media, limitando precedentemente certe manifestazioni pubbliche come la cerimonia pregara dell’inginocchiamento, aveva già dato un giro di vite importante a determinate facoltà. Atto che si riteneva già sufficientemente efficace. La Federazione è andata oltre, molto oltre, incatenando il dissenso e trasformando i piloti in automi impossibilitati ad esprimere opinioni sul mondo circostante.

F1: piloti irritati con la FIA

La “giocata” di Ben Sulayem ha creato del malcontento. Sicuramente lo ha fatto tra quei conducenti che si espongono di più, come ad esempio Lewis Hamilton. A margine della kermesse nella quale era stata mostrata la livrea della Red Bull 2023, agli inizi di febbraio, era arrivato un endorsement pro-libertà d’espressione che quasi non ti aspetti. Quello di Max Verstappen, un conducente mai stato troppo solerte nell’assumere certe posizioni pubbliche.

ll due volte iridato Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing)

Penso che ognuno di noi sia diverso. Alcune persone sono più schiette di altre. Io di solito non sono così diretto. Prima di tutto perché è difficile, come pilota, impegnarsi a fondo in ogni cosa e assicurarsi di conoscere bene tutti i fatti. Ma non credo che questa direttiva sia necessaria perché fa in modo che le persone non possano più parlare. Cosa che, invece, a mio avviso, dovrebbe essere consentita. Naturalmente – aveva chiosato l’olandese – alcune persone parleranno di più e altre di meno. Ma probabilmente tutto questo non era necessario.

L’insoddisfazione strisciante nei confronti di certe prese di posizione non è un bene, specie perché era lo stesso Ben Sulayem che aveva aperto al sistematico confronto tra tutti i soggetti coinvolti nella Formula Uno. Chi detiene il potere di scrivere le regole si sta via via arroccando sulle sue concezioni. Ma ricordiamo che la FIA è un ente che riceve e mette in esecuzione, controllandole, le volontà di Liberty Media.


F1. Liberty Media e lo spostamento verso Paesi illiberali

Ma il gruppo americano non è esente da responsabilità se andiamo ad allargare il nostro campo di osservazione. La F1 sta sempre più rincorrendo i flussi di danaro, cosa che spesso determina legami con realtà che non si distinguono per la tutela delle minoranze. Ed è in queste ore che dall’Inghilterra sono arrivate richieste formali per far luce su alcuni “nodi”.

I parlamentari britannici, difatti, hanno esortato il “carrozzone” ad istituire un’inchiesta indipendente sui legami tra il mondo dei gran premi e quei Paesi in cui i diritti umani non sembrano essere una priorità politica. Non è un caso se la richiesta arrivi prima dell’atto d’esordio della stagione 2023. Lord Paul Scriven, presidente del gruppo parlamentare britannico che si occupa dei diritti umani nell’area mediorientale, vuole che la F1 faccia pressioni sul Bahrain affinché rilasci i prigionieri politici e i condannati a morte.

Mohammed Ben Sulayem (presidente FIA) e Stefano Domenicali (CEO Liberty Media Corporate)

Partiamo dall’antefatto. La massima serie aveva precedentemente difeso le sue scelte in una nota: “Per decenni la Formula 1 ha lavorato duramente per essere una forza positiva ovunque gareggia, compresi i benefici economici, sociali e culturali. Sport come la F1 sono in una posizione unica per attraversare i confini e le culture per riunire paesi e comunità per condividere la passione e l’eccitazione di incredibili competizioni e risultati”.

Prendiamo molto sul serio le nostre responsabilità e abbiamo chiarito la nostra posizione sui diritti umani e su altre questioni a tutti i nostri partner e ai paesi ospitanti che devono impegnarsi a rispettarli nel modo in cui i loro eventi sono realizzati“.

Le agenzie che si occupano della tutela dei diritti umani ritengono che alcune nazioni abusino della pratica dello “sportwashing”, una manovra che serve per rifarsi un’immagine tramite eventi di richiamo internazionale per distrarre l’opinione pubblica da determinate pratiche illiberali. Accusa che è stata mossa anche ai promoter del mondiale di calcio recentemente vinto dall’Argentina.

Lord Scriven, membro liberaldemocratico della Camera dei Lord, ha dichiarato: “È un peccato che l’attuale leadership della FIA e della F1 sembri pensare che il denaro, il profitto e la propria importanza siano molto più importanti del dare dignità e diritti umani fondamentali alle persone nel paese da cui traggono profitto“.

Parole durissime, riportate dalla testata britannica Autosport, a cui fanno da contraltare quelle ancor più eloquenti del direttore del Bahrain Institute of Rights and Democracy (BIRD), Sayed Alwadaei: “È giunto il momento che la F1 e la FIA smettano di permettere che la loro presenza in Bahrain e Arabia Saudita venga utilizzata per lavare le immagini intrise di sangue di queste autocrazie“.

L’attivista per i diritti umani Sayed Alwadaei

Nonostante gli orribili record nelle negazione dei diritti umani – afferma Alwadaei – entrambi gli stati godono di generosi contratti e sfruttano la piattaforma F1 per ripulire la loro immagine sulla scena mondiale. Ciò mentre migliaia di prigionieri politici sono dietro le sbarre.

La F1 deve stabilire un’inchiesta indipendente e imparziale per esaminare il ruolo delle loro gare nelle violazioni dei diritti umani e la FIA deve adottare una politica coerente con i principi delle Nazioni Unite. In caso contrario, il loro sport continuerà ad essere utilizzato per riparare la reputazione di dittatori brutali“.

Ali Al-Hajee, che è stato detenuto nella prigione di Jau in Bahrain, in una conferenza stampa tenutasi martedì presso le Camere del Parlamento di Londra in cui è stata data parola ad alcuni ex prigionieri politici passati proprio nel paese mediorientale, ha sferrato un colpo verbale durissimo al motorsport: “È molto spiacevole che la Formula 1, così come molti eventi internazionali che si svolgono in Bahrain, vengano utilizzati come copertura per limitare la libertà di parola e per coprire le violazioni dei diritti umani“.

Sto scontando una pena detentiva di 10 anni dal maggio 2013 per aver protestato pacificamente nella capitale Manama. Sono stato sottoposto a dure torture, sia fisiche che mentali. La mia confessione sotto costrizione è stata la base per la condanna a 10 anni di carcere“.

Mohammed Ben Sulayem, presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile

F1. Il Circus sia volano di politiche includenti

Accuse, provate e circostanziate, alle quali le autorità bahrenite hanno provato a replicare: “Siamo impegnati a rispettare ed a promuovere i diritti umani. Abbiamo fatto grandi passi avanti nella salvaguardia e nella protezione dei diritti umani e nel preservare la dignità dei cittadini e dei residenti con una serie di riforme“.

Una vicenda, quella narrata, che fa allungare qualche ombra sulla massima serie del motorsport che, tra legami economici, bavagli ai suoi protagonisti e difese d’ufficio traballanti relative ad alcune scelte strategiche, non ne esce proprio benissimo.

La speranza è che il Circus non sia succube prestando il fianco a quelle realtà che praticano lo sportwashing ma che, negli anni, riesca essa stessa ad “aprire” i Paesi, come ad esempio l’Arabia Saudita che molto contribuisce a rimpinguare le casse della serie, che mostrano una certa ritrosia su materie delicatissime come quella della tutela delle minoranze.

E’ un processo lungo che FIA e Liberty Media, stavolta sinergicamente, devono provare a tenere vivo. Altrimenti le accuse che arrivano da determinati ambienti saranno più che fondate. Servono atti concreti perché le parole e i buoni propositi, si sa, vanno via con il vento.


Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1
, FIA, Bahrain Circuit, Oracle Red Bull Racing

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Diego Catalano