Siamo alla terza settimana di astinenza da F1. Oggi saremmo dovuti essere qua a commentare le risultanze del Gran Premio della Cina e invece ci aggiriamo in un mare di notizie che non informano, indiscrezioni che non circostanziano e congetture che non spiegano.
In assenza dell’oggetto d’analisi fare il cronista diventa molto, molto difficile. Specie se si ha una ferrea etica del lavoro e non si vuole imbonire chi legge news senza fondamenti e che abbiano lo scopo di attirare il lettore per un pugno di click. Capita, in queste fasi di stanca, di osservare il lavoro altrui, di lanciare lo sguardo in altre realtà. E sovente succede di osservare quanto avviene in Inghilterra, la nazione che certamente dedica più spazio e tempo al motorsport.
Stamattina, in quell’esercizio sempre più difficile, quando i motori delle vetture di F1 riposano silenti, di consegnare al fruitore notizie che tali si possano definire, lo sguardo è caduto su alcune dichiarazioni rese da Johnny Herbert all’Evening Standard, quotidiano londinese di libera diffusione.
L’oggetto delle sue riflessioni è Max Verstappen, o per meglio dire, chi sarà in grado di battere l’olandese spezzando un dominio che in questo momento è solidissimo. “George Russell è stato in grado di sfidare Lewis e di metterlo sotto pressione. Quindi, una volta che avrà a disposizione la macchina giusta darà filo da torcere a Max Verstappen. Penso che valga lo stesso anche per Lando Norris, sempre con la vettura ideale”.
Un’opinione decisamente anglo-centrica seppur rispettabilissima. Un concetto che nel tempo potrebbe tranquillamente rendersi manifesto perché Russell e Norris sono due talenti cristallini. Ma sembra che manchi un soggetto in questa teoria per ora astratta. Anzi, due: Ferrari e Charles Leclerc. Perché?
Proviamo ad entrare nella testa di Herbert, ex compagno di squadra di Michael Schumacher. Parliamo di un professionista che sa annusare il talento e lo sa valutare quando lo incontra sul proprio cammino. Un pilota di comprovata esperienza che ha speso gli ultimi anni di carriera proprio nel racconto del motorsport può non considerare Charles Leclerc un driver altrettanto capace? Il monegasco, per quanto fatto nella sua carriera, non ha i galloni del contendente dell’olandese?
Sembra difficile che qualcuno possa sostenere che il ferrarista non sia in possesso di idonei mezzi tecnici per sfidare Max a parità di vettura. È proprio l’avvio del campionato del mondo 2022 che ci dice quanto Leclerc sia un soggetto spendibile nella lotta al titolo iridato nel momento in cui il mezzo è valido.
Quella di Herbert, quindi, non è stata probabilmente una dimenticanza, né la volontà di rendere manifesta, senza esprimersi chiaramente, l’idea secondo cui Leclerc sia un professionista meno tecnicamente dotato. Un pilota che, invero, rappresenta una delle poche alternative alla forza del talento di Hasselt.
La questione è un’altra e forse è un attimino più seria, sportivamente parlando: nella percezione dell’ex Benetton, la Ferrari non viene considerata un soggetto credibile per permettere ad un pilota di salire i gradini della gloria e andarsi a laureare campione del mondo.
Gli si può dare torto? Una risposta univoca non c’è perché la storia della Rossa è fatta di eccessi e di posizioni divergenti: bianchi e neri senza sfumature di grigio. Parliamo di un team che, quando ha voluto, ha messo in campo risorse e forze tali da aprire un ciclo che sarà ricordato per sempre. Il riferimento è a quello che ha visto protagonista Michael Schumacher, ovviamente.
Ma la Ferrari e la stessa realtà sportivo-industriale che negli anni si è troppo spesso smarrita tra beghe di palazzo, lotte interne e guerre di potere. Scenari che non possono essere negati e che hanno permesso ai rivali – che invece andavano dritti all’obiettivo – di stravincere mentre Maranello si leccava le ferite e magari andava alla ricerca di assurdi alibi per giustificare le sue inadempienze nei riguardi di tifosi appassionati e fideisticamente devoti.
Sarebbe inutile ripercorrere le tappe di questi eventi che hanno portato troppo spesso al fallimento sportivo; basta concentrarsi su quello che sta accadendo nel 2023, la stagione che doveva essere del riscatto. Quella per la quale era stato sacrificato il 2022 e quindi l’ambizione dello stesso Leclerc di vincere il mondiale. Il campionato in corso è una sorta di incubo tecnico: la SF-23 è una macchina che in tre gare ha dimostrato di essere molto distante dalla Red Bull RB19 e di pagare dazio anche rispetto alla Aston Martin AMR23 e alla vituperata Mercedes W14, un mezzo che sta per essere rivoluzionato proprio perché si ritiene inadeguato a vincere.
Come se non bastasse, ci si è messo un caos comunicativo e gestionale che non può essere negato. La rimozione di alcune figure chiave in corso d’opera, dal tattico Inaki Rueda al padre della vettura, David Sanchez, partito per lidi inglesi, non sono certo visti come fatti meritori dagli osservatori britannici.
Ma anche alcune esternazioni mediatiche recentissime, come ad esempio quelle offerte da Lapo Elkann, un personaggio molto appassionato e mai troppo filtrato nella sfera pubblica, non contribuiscono a creare quel castello di solidità che viene valutato da chi racconta il motorsport o di ci ha fatto parte in passato.
La mancanza di fiducia nei riguardi di Charles Leclerc, probabilmente, è figlia della mancanza di fiducia nei confronti della Ferrari. Il monegasco paga lo scotto di lavorare per un team che all’estero viene percepito come un’entità caotica e incapace di creare quelle condizioni che servono per strutturarsi e per essere costantemente in vetta all’automobilismo.
Non è sconvolgente che certe doti possano essere invece attribuite alla Mercedes, una scuderia che ha dimostrato di sapere fare cose per vincere, anche se oggigiorno naviga in mari tumultuosi. Il fatto che incuriosisce, che è saltato all’occhio è che è stata la spinta propulsiva per questo scritto, è l’idea che un osservatore possa ritenere McLaren, nel tempo, un autore più capace di creare quel substrato tecnico-organizzativo che Norris può sfruttare per arrivare a battere Verstappen.
Ecco perché si parlava di una visione anglo-centrica, quindi condizionata dall’amor di patria e dal tifo, ma è altresì chiaro che Ferrari non venga intesa come un elemento solido e credibile. E questo contesto probabilmente va ad influire negativamente anche nella campagna di recruiting che Maranello prova di tanto in tanto a fare nel mercato dei tecnici britannici.
Se c’è sfiducia intorno all’ambiente rosso, viene da sé che anche i professionisti che operano in Formula Uno possano esserne condizionati. Il percorso di crescita della Ferrari passa anche attraverso il miglioramento della sfera comunicativa e ovviamente di quella gestionale. Il blasone e la storia contano fino ad un certo punto. Sono idee e progetti ad andare in pista, non gloria, storia e nome. E questo è molto chiaro a certe latitudini, come il parere di Herbert dimostra…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari
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evidentemente e certo che nel momento in cui Ferrari dovesse essere competitiva o magari la vettura da battere e certo che la federazione cambierà qualche regola tecnica per rispedirla dove gli inglesi vogliono che stia