Ci risiamo. La F1 è caduta ancora una volta negli stessi errori. Ogni anno ci auspichiamo e sentiamo dire da chi detiene il potere che determinati e sconvenienti fatti non debbano più accadere e invece, sistematici come il sorgere del sole, si verificano in un meccanismo che si reitera nel tempo e che rischia di far perdere credibilità allo sport più tecnologico che esista.
“Rischiare di perdere credibilità” vuol dire esprimere un atto di fiducia nei confronti della massima serie dell’automobilismo. Sì, perché, probabilmente, qualcuno ai piani alti la faccia (tosta) l’ha già persa. C’è poco da girarci intorno: ieri, a Melbourne, la mano invisibile del giudice-decisore si è fatta manifesta e ha condizionato il naturale corso degli eventi. Il fiume è stato incanalato nella direzione voluta da chi ha anteposto show e pathos fasulli al normale corso sportivo delle cose.
I soggetti sono noti. E hanno ruoli conclamati: Liberty Media, il mandante, la Federazione Internazionale dell’Automobile, l’esecutrice. Un ente, quello parigino, sempre meno indipendente e sempre più appiattito ai voleri della proprietà americana. Da quanto tempo non vedete più il faccione sorridente di Mohamed Ben Sulayem all’interno del paddock? Dopo un inverno in cui le due entità di controllo, di indirizzo e di governo del motorsport hanno litigato praticamente su tutto, dall’ingresso di un undicesimo soggetto, al codice di comportamento dei piloti, passando per la spartizione economica, l’inquilino emiratino di Place de la Concorde è diventato una sorta di latitante a cui sono stati sottratti molti poteri. Forse troppi.
In Formula Uno sembra esserci oramai un solo leader dichiarato: Stefano Domenicali, il rappresentante plenipotenziario di Liberty Media Corporate che è diventato più presenzialista del Pippo Baudo dei tempi d’oro. E lui che traccia la strada, è lui che pubblicamente afferma che nel prossimo Gran Premio di Azerbaijan il format del weekend dovrà essere radicalmente cambiato. Ovviamente in favore dello show e, cosa più seria, senza avere i poteri fattivi per farlo. Perché, fino a prova contraria, chi scrive le regole, le mette in applicazione e giudica le eventuali infrazioni è la FIA. Se poi ci siamo persi qualche passaggio chiediamo venia e contestualmente domandiamo di essere resi edotti in merito.
Ormai pare chiaro: è in corso una lotta di potere nella quale chi ha messo soldi per acquisire il pacchetto di maggioranza della Formula Uno decide ed impera senza alcun tipo di contrasto. Un fiume in piena con gli argini letteralmente esplosi. È come se fossimo dinanzi a una sorta di dittatura politico-economica per la quale è morto ogni tipo di confronto tra istituzioni di governo con l’applicazione di una sola ed unica visione. Il dissenso seppellito sotto tonnellate di grana.
Sono gli americani a muovere i fili e tutti gli altri a venir condotti in questo ballo delle marionette che più passa il tempo più diventa un qualcosa di preordinato a tavolino. Un andamento che produce critiche, insoddisfazione, polemiche e che nel lungo periodo potrebbe determinare la cosa più grave per uno sport dai fatturati ad alto voltaggio e che ha bisogno di un bacino di clienti sempre più vasto: la disaffezione della fan base.
John C. Malone e i suoi si interroghino piuttosto su questa dinamica, invece di pensare a strani format, ad andare a correre in Paesi esotici e a snaturare l’essenza di uno sport che tale è e non può essere trasformato in wrestling o in una rappresentazione teatrale di bassa qualità con dei figuranti a interpretare passivamente un ruolo.
A proposito di figuranti, ma i piloti dove sono? Cosa dicono? cosa fanno? Come si comportano dinanzi a questo scempio legalizzato? In effetti ieri qualcuno la cresta l’ha alzata e un po’ di intolleranza l’ha dimostrata. Fernando Alonso, dopo l’ultima bandiera rossa (nemmeno le contiamo più per quante sono state) ha riferito di non sapere dove si trovasse alludendo alle scempiaggini messe in atto da una direzione che non dirige, ma orienta.
George Russell, penalizzato dal primo stop, anziché parlare del suo motore esploso (ci interesserebbe sapere, visto che la F1 è anche tecnica, cosa è accaduto), si è agitato contro Niels Wittich che aveva deliberato il blocco delle attività dopo aver introdotto la safety car che il britannico aveva cercato di sfruttare con un pit stop anticipato. Risultato? Gara alle ortiche per una decisione, quella della direzione gara, sinceramente poco comprensibile.
E poi c’è lui, il bicampione del mondo in carica che va per la terza corona d’alloro visto che poggia le iridate natiche su una macchina ingiocabile per la concorrenza. Colui il quale porta il numero 1 sul musetto e, dunque, per definizione, è il pilota più rappresentativo di questa stagione sportiva. Bene, l’olandese, con fare minaccioso, si è presentato ai microfoni esprimendo il suo fortissimo punto di vista. Che riassumiamo nel seguente estratto:
“Certo, sono molto felice di aver vinto la gara, ma penso che verso la fine sia stata un po’ un disastro con tutte quelle chiamate. Non penso che avessimo bisogno di quella seconda bandiera rossa, penso che sarebbe bastata una virtual safety car o una safety car, nel peggiore dei casi. Ne parleremo, penso che abbia lasciato molti piloti confusi sul motivo per cui avevamo bisogno di una bandiera rossa. Ne parleremo a Baku“.
Dite la verità, vi stanno tremando i polsi per la veemenza delle affermazioni, per la potenza delle parole, per la profondità argomentativa, per la durezza dell’eloquio. Siamo seri: l’uscita dell’olandese è circostanziale, aria fritta che nulla cambierà. E questo accade perché chi si cala fisicamente nell’abitacolo accetta determinate decisioni e si lamenta solo se queste possono ledere i propri interessi che cambiano di momento in momento. Ieri Max ha rischiato di perdere la gara e sarebbe stata una cosa assurda per i valori dello sport. E quindi, a giusta causa, si è lamentato. Ma senza troppa convinzione.
Quando, in altre circostanze che potete immaginare (fate volare la fantasia), i bizantinismi di chi doveva applicare le regole lo hanno favorito, è stato muto. Anzi, ha reificato un sistema fallato che la Federazione, successivamente, è stata costretta a modificare pesantemente per evitare altre sciagure che invece puntualmente si sono ripresentate.
Ma non è colpa di Max, la responsabilità è da ascrivere ad un sistema che non permette ai suoi attori protagonisti di essere liberi di poter parlare. Ma soprattutto liberi di poter agire, incatenati come sono da sponsor personali, da contratti d’acciaio, da lacci legali indistricabili e, diciamocela tutta, anche da una volontà che manca. Perché, una volta tolto il casco, la pista diventa un lontano ricordo. Segno di una Formula Uno che si sta virtualizzando in ogni senso.
Ricordiamo che il rappresentante capo tra i piloti in attività della GPDA, ossia George Russell, si è detto entusiasta delle modifiche che Stefano Domenicali ha in mente per il prossimo weekend azero. Accettazione passiva in nome dello spettacolo. Perché annullare le sessioni di test e presentarsi direttamente a momenti in cui si stabilisce la classifica senza aver provato le macchine, col regime di parco chiuso operante, è un qualcosa di estremamente pericoloso. Il driver di King’s Lynn e i suoi colleghi sono gli stessi che a Jeddah, nel 2022, accettarono di correre nonostante, a pochi chilometri, fosse caduto un missile in una tensione geopolitica troppo più grossa della F1.
Ma i conducenti non sono i soli soggetti che mollemente si lasciano trasportare da un vento che profuma di denaro. Anche i team principal, i padroni delle scuderie, i dirigenti dei gruppi che stanno alle spalle, non muovono un dito. Perché, in definitiva, in virtù di un Patto della Concordia redatto per massimizzare i vantaggi economici, è comodo mettersi in saccoccia belle somme di denaro nonostante quel che accade in pista. E massimizzare i profitti, si sa, fa sempre molto comodo. Un elemento in grado di far cambiare idee apparentemente monolitiche in pochi millesimi di secondo.
Questa è l’impietosa ma realistica fotografia dei fatti. Perché ogni volta che vediamo agitarsi i piloti o gli altri rappresentanti in qualcosa che non a caso chiamiamo Circus viene da sorridere amaramente pensando che alla prossima gara tutto ritorni come prima in un reset generale e in attesa che si verifichi un altro episodio che ci aiuterà a riempire pagine di parole che probabilmente non serviranno a nulla. Ciò che deve cambiare è la mentalità di chi la F1 l’ha acquistata a suon di dollari e nella quale non vede una disciplina sportiva, bensì una gallina dalle uova d’oro.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Mercedes AMG