In F1 vi sono due entità che dovrebbero collaborare e spingere nella stessa direzione ma che invece, nell’ultimo anno, hanno passato fin troppo tempo a litigare e a mostrare un atteggiamento reciprocamente ostile. Il riferimento è a Liberty Media Corporate e alla Federazione Internazionale dell’Automobile, soggetti che dovrebbero essere slegati ma che in realtà sono molto più legati di quanto possa sembrare.
La FIA, infatti, ha il potere di scrivere, mettere in esecuzione e giudicare l’eventuale infrazione delle regole che non vengono però definite in autonomia, ma sono impostate da chi la Formula Uno la detiene fattivamente, ossia il colosso americano dell’intrattenimento rappresentato dal CEO Stefano Domenicali.
Ebbene, i due protagonisti in questione non trovano un momento di sintesi sull’allargamento della categoria, sulla possibilità che altri team possano entrarvi. Attualmente il Patto della Concordia, il documento che regolamenta la “vita” dei team all’interno del Circus, prevede che vi siano un massimo di 12 scuderie, quindi 24 vetture in pista. Ogni nuovo soggetto che vuole entrare deve pagare una gabella di 200 milioni di dollari in un’unica soluzione.
La FIA, invocando proprio le norme presenti all’interno del Patto, spinge affinché nuove realtà possano affacciarsi nella massima serie dell’automobilismo. Liberty Media, temendo che gli equilibri trovati con le dieci scuderie partecipanti possano essere in qualche modo alterati, si mostra più refrattaria al cambiamento andando incontro alla volontà della maggioranza dei team principal che non vorrebbero una serie stravolta. In questo momento sono quattro i soggetti che premono alle porte della Formula Uno, vediamoli.
Il primo attore è noto ed è spesso stato oggetto dei nostri approfondimenti e ne abbiamo parlato col diretto interessato in un’intervista esclusiva. Ci riferiamo, ovviamente, al gruppo Andretti che ha già bello e pronto un progetto che prevede un team di F1, uno di F2 e uno di F3. Michael e Mario vogliono fare le cose in grande e per questo hanno strappato l’accordo con General Motors che sosterrà la cordata col marchio Cadillac. E le cose si stanno muovendo su due binari.
Da un lato quello politico con gli Andretti a perorare la propria causa tra i team con l’appoggio pieno e convinto di Mohammed Ben Sulayem, dall’altro quello organizzativo con l’intento di metter su un reparto tecnico necessario per presentarsi al meglio nel 2026.
Figura chiave è l’ex direttore tecnico Renault, Nick Chester, che sta reclutando competenze che stanno confluendo in un reparto tecnico chiamato Top Tier a cui è affidata la creazione di una monoposto per l’anno del decongelamento regolamentare. Non è ancora chiaro se il gruppo opererà appoggiandosi alla sede Alpine di Enstone per scopi di modellazione, ma di certo è imminente l’inizio del lavoro progettuale. Ad oggi, quindi, Andretti è il soggetto più vicino alla discesa in campo. Ed è in buona compagnia, anche se “più da lontano”.
Gli altri tre progetti sono meno imminenti ma questo non vuol dire che siano meno credibili o abbiano un potenziale inferiore. Il primo è Panthera Team Asia guidato da Benjamin Durand che può contare su fondi arabi. Un programma che ha conosciuto diversi stop e successive rimodulazioni.
“A causa del COVID le cose si sono fermate per noi. Abbiamo iniziato a sviluppare l’auto dal punto di vista aerodinamico, abbiamo lavorato sul nuovo regolamento dell’epoca, abbiamo fatto alcuni sviluppi CFD“, aveva riferito Durand qualche tempo fa. Un’equipe era già all’opera sulla vettura e intende ora riprendere il discorso laddove era stato lasciato durante la pandemia. Vedremo.
Gli ultimi due gruppi sono HiTech, guidata da Oliver Oakes, e quello capitanato da una vecchia conoscenza del motorsport a ruote scoperte: Craig Pollock. L’avventura dell’ex kartista sembra in salita poiché sono noti i legami con i Mazepin che, a causa della crisi russo-ucraina, sono banditi dalla F1.
Sebbene Oakes abbia negato i “lacci” che stringono HiTech e l’azienda russa sanzionata (Uralkali) restano dei dubbi in merito che la Federazione e Liberty Media potrebbero tenere in considerazione nell’eventuale domanda di ammissione regolamentata recentemente da una specifica procedurale pubblicata da Place de la Concorde.
E veniamo così all’ultimo gruppo di pressione. Craig Pollock fu il fondatore British American Racing acquisendo Tyrrell col contributo della BAT, munifica multinazionale del tabacco. Un uomo legato a Jacques Villeneuve visto che ne fu manager in CART e contribuì al suo approdo in Williams scuderia con la quale, nel 1997, il figlio d’arte canadese laureò campione del mondo di F1. Dietro il vulcanico manager inglese, che pare fare molto sul serio, ci sono capitali sauditi riconducibili al principe Khalid che ha confermato l’avvio degli studi di fattibilità ammettendo che oggi entrare in F1 è più semplice.
I capitali sauditi stanno diventando una parte molto importante dell’attività della classe regina del motorsport, vedi Saudi Aramco che è in Aston Martin e che finanzia l’attività della F1 come sponsor strategico. L’asse del Circus, lo abbiamo raccontato più di una volta sulle nostre colonne, si sta spostando in quelle zone. E il fatto che Pollock abbia i Sauditi alle spalle non può che essere un punto a suo favore. Ma questo lo capiremo nei prossimi mesi.
Stefano Domenicali ha voluto immediatamente ricordare che, seppure la FIA abbia aperto all’ingresso di un nuovo team con la pubblicazione di una specifica procedura sui suoi canali ufficiali, l’ultima parola spetta sempre a Liberty Media. Il manager italiano ha spiegato che la valutazione deve essere fatta insieme per vedere se esistono i requisiti tecnici, sportivi e finanziari, e se la nuova realtà sia capace di aumentare il valore del campionato.
Una precisazione importante che spiega come la Federazione Internazionale, al di là delle regole codificate, non abbia poi così tanti margini di manovra. Cosa per la quale Mohammed Ben Sulayem è stato sostanzialmente defenestrato da certe attività connesse alla Formula Uno. E infatti la sua presenza all’interno dei paddock del Circus ormai rasenta lo zero.
Domenicali sostiene che la tassa anti diluizione di 200 milioni di dollari sia un obolo obsoleto figlio di una condizione particolare, di un contesto morto e sepolto. Quando è stata stabilita, infatti, eravamo nel pieno della pandemia di Covid-19 che aveva generato una crisi finanziaria senza precedenti che scoraggiava i nuovi soggetti ad accedere in F1.
Oggi la capacità di generare valore della serie è aumentata in maniera radicale e quindi Domenicali ritiene che un potenziale nuovo competitor che voglia “scendere in campo” debba accettare questa situazione pagando una tassa più alta. Il dirigente italiano ha confermato che non c’è il solo gruppo Andretti a far pressione, ma che esistono altri soggetti mediaticamente meno attivi dell’ex campione del mondo di Formula Uno e di suo figlio. Più discreti, quindi, ma non meno titolati.
Per ora la tassa resta quella impostata dal Patto della Concordia, ma a breve inizieranno le negoziazioni circa la nuova versione del documento fondativo ed è probabile che Liberty Media, insieme alle scuderie, decidano di triplicare la tassa d’accesso Proprio per salvaguardare il modello di business che si è venuto a creare e per valutare nel merito la solidità di chi pretende di accedere.
La F1, infatti, non vuole che i nuovi attori si comportino come delle meteore, sparendo dopo pochi anni di attività e lasciando un buco all’interno del Circus difficile da colmare. La parola d’ordine è quindi stabilità. Un elemento necessario per creare profitto, ciò a cui punta fortemente Liberty Media Corporate.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, FIA, Andretti Global