Ferrari e la F1, un connubio storico. In un un contesto fortemente competitivo come la massima categoria del motorsport, il successo di un marchio è il risultato di diversi ingredienti. Si è ampiamente dimostrato che non è sufficiente disporre del miglior pilota o della migliore struttura tecnica per poter raggiungere i target desiderati. Le fondamenta di un team ambizioso sono una proprietà competente motivata nel conseguimento degli obiettivi.
Da diverso tempo, ormai, il Cavallino Rampante non recita in pista il ruolo che i fasti del passato l’hanno resa leggenda. E’ pur vero, però, che tempo addietro ci sono stati lunghi periodi di anonimato. Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli ci fu un periodo di instabilità manageriale, atavico male oscuro che impera tra le colline del modenese.
Vittorio Ghidella, amministratore delegato della Fiat e presidente della Ferrari venne silurato il 25 novembre 1988 dalla sera al mattino, lasciando la presidenza della rossa all’ingegner Fusaro. Il breve mandato dell’ex amministratore delegato Alfa Romeo al vertice della squadra italiana, fu segnato dagli attriti interni con il team principal Cesare Fiorio, reo di aver sottoscritto in gran segreto un precontratto con Ayrton Senna proprio nella stagione dell’accesso duello iridato con Alain Prost che, all’epoca dei fatti, militava proprio a Maranello. Il resto è solo storia.
Fiorio venne defenestrato, e qualche tempo dopo Luca Cordero di Montezemolo prese le redini della gestione sportiva iniziando la lunga e tortuosa scalata al vertice della Formula Uno per riportare al vertice la scuderia emiliana.
Perché rivangare una triste pagina della storia Ferrari apparentemente vetusta e anacronistica? Probabilmente perché nel DNA della rossa, in ragione del suo valore reputazionale riconosciuto nel mondo, alcune dinamiche interne si ripresentano sistematicamente. Il dominio nei primi anni del terzo millennio era univocamente riconosciuto nell’operato e nella passione di Montezemolo.
Così come il ritorno ai livelli di eccellenza mostrati nel biennio 2017-2018 erano figlie della visione di Sergio Marchionne. La prematura scomparsa del manager naturalizzato canadese ha lasciato un vuoto in termini di leadership che si è propagato a tutti i livelli nell’assetto organizzativo.
La centralizzazione delle deleghe politiche e sportive nella persona di Mattia Binotto é stata la cartina di tornasole di una certa indifferenza dei vertici verso le sorti della squadra. I tavoli che contano sono esclusivo privilegio di uomini dal peso specifico universalmente riconosciuto, garantito in passato da Montezemolo e Marchionne in qualità di figure apicali dell’organizzazione.
In modo sorprendente quanto ruvido, Lapo Elkann ha twittato un’esortazione al risveglio da parte del team Ferrari, mettendo da parte attriti di natura politica non meglio specificati. Il nipote dell’avvocato Agnelli è sempre stato un puro con un’attenzione verso le sorti sportive della Ferrari, quasi ossessiva.
Poche parole nel suo “cinguettio” in cui si chiede cuore, serietà e mentalità vincente, dentro che fuori dai box, per poi concludere invocando la fine di “giochini ” che, secondo il fratello di John, ne limitano le chance di vittoria. Uno sfogo che non può lasciare indifferenti nonostante pochi giorni fa, sempre attraverso twitter, Lapo aveva chiesto ai suoi follower di non rivolgergli più alcuna domanda sulla rossa non avendo nessun ruolo in seno ad essa.
Ancor più dettagliata la risposta a un fan che sottolinea l’assenza presidenziale in relazione ai risultati in pista così come al battesimo della SF-23 nel giorno di San Valentino, alla quale Lapo non si è sottratto con un serafico quanto sinistro “Lo so, purtroppo”.
Nonostante l’imprenditore nativo di New York sia sostanzialmente esterno alle dinamiche politiche della Ferrari, resta pur sempre il fratello del presidente. Un attacco frontale che non può essere figlio dei soli risultati in pista ma di un disordine organizzativo e di una latitanza affettiva. In questo momento è possibile paragonare il buon Lapo a uno “zio” che soffre per una nipote non troppo considerata e amata dai genitori.
E’ da escludere che il richiamo del quarantacinquenne sia figlio di un potenziale desiderio di ricoprire un ruolo dirigenziale nella gestione sportiva della rossa. Lapo è troppo ferrarista e “sentimentale” nei riguardi della Ferrari e in un ambiente di squali come la Formula Uno non si troverebbe a proprio agio.
Autore e grafiche: Roberto Cecere – @robertofunoat
Immagini: Scuderia Ferrari