Ferrari fa parte della Formula Uno da sempre. A volte è bene ricordalo. Tuttavia questo non garantisce affatto un alto rendimento nella massima categoria del motorsport. Al contrario i periodi dove abbiamo potuto osservare un cavallino azzoppato sono diversi. Uno è quello attuale. Un empasse dal quale proprio non si riesce ad uscire. Ogni stagione fa storia a se. Siamo d’accordo. Soprattutto nelle annate dove arrivano cambi regolamentari di proporzioni bibliche.
L’egregio lavoro svolto dal team di Maranello per presentarsi ai nastri di partenza del 2022 non ha prodotto le risultanze tanto bramante. Le motivazioni sono conosciute: mancati sviluppi, errori strategici, gestione comunicativa e operativa assai confusa, errori dei piloti e non ultima l’incapacità di reagire a direttive tecniche in corso d’opera. Un bel tunnel, insomma, dal quale uscire risulta molto più difficile di quello che si potrebbe pensare.
La F1 è un business che maneggia parecchi interessi. Oltre a quello sportivo è infatti presente quello economico. C’è poi la componente tecnica, indispensabile per il raggiungimento dei target prefissasti. Il tema più importante, in questo caso, riguarda la possibilità di operare all’interno di un contesto che annovera la tranquillità come prima regola.
Tale obbiettivo dev’essere garantito in automatico dalla gestione politica, capace tramite una grande sensibilità di fornire questo tipo di parametro. Senza un fattore del genere l’impossibilità degli ingegneri nel dare il massimo emerge in maniera prepotente. Aspetto che inficia in maniera negativa sul rendimento.
Lo scenario attuale pertanto non è affatto casuale. Sebbene il progetto legato alle wing car del recente passato poteva esprimere un ottimo potenziale, in questo caso il passato si è fatto presente mettendo in luce determinate lacune che tuttavia restano irrisolte. Si perché come abbiamo ricordato in più occasioni, l’ultima proprio in mattinata tramite lo scritto concernete la revisione della penalità sul caso Sainz/Australia, la capacità di reagire a specifiche vicende fa la differenza.
Il concetto appena espresso trova conferma nelle parole di Pino D’agostino, ex motorista della Ferrari ospite al podcast pop di Formula Uno Analisi Tecnica. “All’epoca di Schumacher l’amministrazione era demandata a tre persone numero 1 in questo campo. Luca Cordero di Montezemolo, Jean Todt e Stefano Domenicali. Figure apicali in grado di offrire alla squadra proprio quel contesto di serenità richiesto per operare al massimo dell’effettività”.
Se in parte le cose sembravano aver preso la giusta piega dal 2017 in poi, la situazione ancora una volta è presto degenerata: “Non dobbiamo dimenticare il grande lavoro realizzato da Marchionne, molto bravo a inquadrare il mondo Ferrari. La parte politica era infatti una sfera di sua competenza, mentre quella tecnica era stata demandata a Mattia Binotto. Purtroppo la sua scomparsa creò un forte squilibrio nell’organizzazione interna e la totalità del management fu messo sulle spalle di Mattia.”
Su questo punto va fatta una precisazione che D’agostino spiega nei dettagli: “Per sviluppare il tema politico e quello sportivo servono conoscenze completamente differenti. Fare ambedue le cose è praticamente impossibile. Non si può parlare di temi sportivi alle 10 e alle 11 di motore e aerodinamica. Malgrado siano fattori che debbano collimare restano due sfere differenti. Lo scenario appena descritto ha fortemente inciso sul bilanciamento del sistema Ferrari che di riflesso è venuto meno. Quello che stiamo vivendo oggi è il risultato di questi fatti.”
Autore: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Scuderia Ferrari