Il Gran Premio dell’Azerbaijan si stato una sorta di puntata pilota. Un evento in cui si è fatto un test che, nonostante qualche perplessità alimentata da una gara domenicale piatta e noiosa in cui si sono contate, in tutto, poco più di dieci manovre di sorpasso, potrebbe servire a definire il nuovo standard della F1 del futuro.
Che la sprint race, che quest’anno è raddoppiata nel numero rispetto alle due stagioni precedenti, sia destinata ad essere il programma base dei weekend di gara lo si era capito da tempo ascoltando le dichiarazioni dei vari plenipotenziari del Circus a cui si sono uniti, in un coro quasi estatico, i team principal che evidentemente hanno annusato l’affare derivante dagli extra introiti.
Poche le voci dissonanti, su tutte quella di Max Verstappen che ha addirittura minacciato di salutare la compagnia se la Formula Uno continuerà in questa campagna di stravolgimento che sembra irrefrenabile. Azione per ora più verbale che concreta visto che, con un contratto che lega l’olandese alla Red Bull fino al 2028, sembra assai improbabile che il sodalizio possa spezzarsi anzitempo. Anche perché ci sarebbero gli interventi di fior fiori di legali per far valere contratti munifici e blindati.
A Baku è andata in scena l’evoluzione della specie. Il format sprint che si trasforma in qualcosa di più estremo e in cui spariscono quasi del tutto le sessioni di test che restano confinate alla sparuta FP1. Un modello che ha avuto un certo successo commerciale a sentire i bene informati che hanno parlato di numeri lusinghieri quelli fatti dalle televisioni e che, pertanto, soddisfano i vertici di Liberty Media Corporate che a questo punto pensano di spingere forte nella direzione del cambiamento.
Voci di corridoio riferiscono che i “capoccioni” del motorsport stiano pensando di portare da sei a dieci il numero di gare “speciali”. Ma c’è un particolare molto importante di cui tener conto in questo processo di istituzionalizzazione: la proprietà della F1 chiede un extra emolumento a quei tracciati che vogliono organizzare il weekend sprint. E, oggi come oggi, chi ha polvere da sparo non opera di certo in Europa.
C’è il rischio che la Formula Uno si possa concettualmente dicotomizzare in due aree: da una parte i gran premi europei che mantengono il formato standard perché non hanno possibilità di spesa, quindi di acquisire il diritto di organizzare la sprint race, dall’altra i circuiti che afferiscono a realtà più ricche che possono permettersi di gestire il format che sta tanto a cuore a Liberty Media.
Messa così, a ben vedere, non sarebbe nemmeno un gran problema perché la vecchia Europa potrebbe mantenere intatte le sue caratteristiche senza snaturarle in nome di una Formula Uno che cambia. In un clima di generale austerity, gli organizzatori storici vogliono capire se i vantaggi economici che si stanno vedendo nel breve periodo diverranno strutturali. Perché i promoter del Vecchio Continente vanno con i piedi di piombo se all’orizzonte si profilano più dubbi che certezze.
Il rischio è che, passata l’ondata emozionale della novità, un format così configurato possa scadere in ripetitiva noia che trasforma un evento esclusivo e adrenalinico in un surrogato di piattezza. Con tutte le negative implicazioni del caso sulla sfera finanziaria.
Ma ci sono anche questioni tecniche che debbono essere affrontate. Prima di standardizzare il tutto è necessario risolvere una volta e per tutte, stavolta col supporto della FIA, le questioni relative al Parco Chiuso e al numero di propulsori da poter usare nell’arco della stagione. Se su quest’ultimo frangente si è fatto un passo in avanti aprendo al quarto elemento, bisogna esigere una profonda revisione concettuale sull’idea del parco chiuso.
Su questo fronte deve essere fondamentale il lavoro dei piloti e delle scuderie che non devono accettare pedissequamente ciò che il legislatore impone. La possibilità di toccare le auto dopo le sessioni diventa necessaria nel momento in cui ci sono più turni che generano o una griglia di partenza o danno dei punti. Ma parliamo anche di questioni di sicurezza perché, aumentando la competitività generale, i conducenti dovrebbero tendere a gestire meno e spingere di più.
Queste questioni di carattere tecnico sono strettamente legate a quelle finanziarie, anche se apparentemente non sembra. L’impossibilità di agire sulle macchine e il dover procrastinare le unità propulsive sono fattori che possono svuotare un formato adrenalinico trasformando l’evento principale in un inno alla noia. Cosa che è puntualmente accaduta durante il Gran Premio dell’Azerbaijan. Il cambiamento è un fiume in piena che non si può fermare ma che si potrebbe quantomeno arginare o incanalare per ottenere un qualcosa di veramente accattivante non solo nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari