Costruire un team vincente è un esercizio di equilibrismo tra diversi elementi che devono raggiungere un punto di perdurante stabilità. Capitali, competenze tecniche, capacità organizzativo-gestionali e, perché no, un pizzico di fortuna sono fattori imprescindibili per avere la meglio di una concorrenza agguerrita. Red Bull lo sa e fa in modo di puntellare, stagione dopo stagione, un modello diventato un punto di riferimento per l’intera F1.
Tra gli elementi fondanti di un paradigma potenzialmente imperante c’è anche la coppia piloti. Le doti tecniche dei singoli che si vanno ad amalgamare in una gestione efficiente finalizzata ad un solo obiettivo: vincere. Red Bull ha sempre impostato uno schema con una punta di riferimento, un pivot vero e proprio, intorno al quale far ruotare degli sparring partner che lo supportino senza pestargli i piedi.
Chi è stato ingranaggio di questo meccanismo è Daniil Kvyat che a Milton Keynes è stato di casa nel 2015 – quando ha sostituito Sebastian Vettel emigrato in Ferrari (compito gravosissimo) – e nelle prime gare del 2016, prima di fare posto proprio a quel Max Verstappen sul quale si è espresso spiegando le specificità del modo di agire della Red Bull che sublima le prestazioni del singolo a scapito del secondo che quasi diventa una comparsa.
Il russo ha lodato il “mancato compagno di squadra” per le sue doti di pilotaggio per la facoltà di tracciare la linea che il team deve seguire: “Bisogna dargliene atto, sta facendo un lavoro fantastico; è incredibilmente forte nei duelli ruota a ruota, forse è addirittura il più forte. Ma credo che tutti siano battibili e al momento la sua squadra crea le condizioni perfette. Red Bull gli sta dando tutto ciò di cui ha bisogno. Ottiene tutto ciò che vuole“.
Quella che può sembrare una provocazione o un’uscita eccessivamente puntualizzante di un pilota deluso per essere stato sostituito è invece una lucidissima fotografia del sistema Red Bull all’opera. Sin dal debutto, datato 2005, la franchigia di Milton Keynes ha agito con uno schema piuttosto rigido: un pilota ad esprimere la leadership e l’altro a fungere da gregario.
Un modello standard che ha avuto qualche stagione di pausa in cui, non a caso, il livello della tensione tra i due alfieri è andato quasi fuori controllo. Si pensi ad alcune scaramucce tra Max Verstappen e Daniel Ricciardo che hanno poi determinato l’addio dell’australiano.
La storia dice che la franchigia austriaca ha ottimizzato le prestazioni quando al singolo è stata concessa piena facoltà di vincere. E’ successo nel regno di Sebastian Vettel, accade con Verstappen a cui non sono mai stati affiancati piloti di calibro superiore.
Quando il compagno di squadra ha mostrato prestazioni solide e potenzialmente rischiose per il suo imperio, e ci riferiamo all’inizio del 2022 con un Sergio Perez in grande spolvero, le cose sono state messe subito in chiaro ponendo l’olandese al centro del programma tecnico con una serie di sviluppi che hanno portato la RB18 nella sua comfort zone di pilotaggio. Da quel momento il pilota è stato in grado di spiccare il volo e di porre il sigillo sulla stagione.
Quest’anno, con una RB19 subito iper-efficiente e mattatrice assoluta, non c’è stato bisogno di una “correzione comportamentale” per portare il mezzo nelle corde di Max. Ma, nonostante questo, dopo cinque gare, non ci sembra che Perez possa impensierire più di tanto il collega. Anche se i vertici gli stanno concedendo più libertà proprio in virtù del vantaggio prestazionale di proporzioni ciclopiche sulla concorrenza.
Per chiudere, tornando alle parole di Kvyat, si osserva che Max non è un pilota meno forte di quello che è solo perché gode di una posizione privilegiata all’interno del proprio team. Anzi, fotografare questa dinamica evidentissima non fa che confermare che solo i più grandi possono godere di cotanta considerazione da meritarsi di essere l’ingranaggio centrale di un meccanismo gigantesco e complesso quale è una qualsiasi scuderia di F1. Figuriamoci di quella che è riuscita, anche grazie alla centralità del suo pilota, a spezzare l’interregno Mercedes che durava da tanto, troppo, tempo.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing