Lawrence Stroll è un tipo parecchio ambizioso. La sua storia professionale è stata costellata da successi e l’acquisizione della Aston Martin punta a rimpinguare il bottino di trionfi. Le cose, nella prima fase, non sono andate proprio per il meglio. Dopo la trasformazione da Racing Point nello storico marchio inglese ci si attendeva un cammino più lineare. Il team, invece, ha conosciuto anni di regressione che forse sono dipesi da una ristrutturazione interna piuttosto profonda che, finalmente, sta dando risultati tangibili.
Stroll e i suoi più stretti collaboratori hanno capito che per arrivare in cima bisogna “copiare” i migliori. O quanto meno avvicinarsi ad essi replicando quel modello votato alla piena indipendenza da un motorista che fornisce più realtà. In questo cammino di mutuazione è stata massiccia la campagna acquisti effettuata proprio a Milton Keynes, casa della Red Bull. E non è un caso che, dopo mesi di trattative sotterranee, si sia puntato su Honda come partner strategico.
Il legame col motorista nipponico è un importante passo sul cammino del consolidamento. La partnership con Honda scatterà dal 2026, com’è ormai noto da qualche settimana. Si tratta di un vero e proprio “colpaccio” quello messo a segno dal magnate canadese, una mossa che si propone di gettare le basi per generare un blocco potentissimo che già spaventa i competitor presenti del paddock.
Lawrence Stroll, uno abbastanza ossessionato dal trionfo, ha investito fior fiori di quattrini senza cavare il ragno dal buco. Almeno fino a questo momento. Ma tycoon di Montreal canadese non demorde e lo dimostra ciò che sta mettendo su a livello aziendale. Honda è stata affascinata da questa determinazione e per tale motivo ha convintamente sancito il legame con la squadra inglese.
Ma ci sono altri due elementi che hanno persuaso i nipponici: uno è la crescita che il team sta dimostrando di effettuare attraverso l’implementazione di nuove strutture (Aston Martin è nel bel mezzo del passaggio alla nuova sede che va a “pensionare” la storica factory fondata da Eddie Jordan, ndr); l’altro è l’applicazione del paradigma Red Bull che i vertici di Sakura ben conoscono avendolo testato sul campo in un legame che ha portato grandissime soddisfazioni sportive e commerciali.
Aston Martin proverà ad applicare quel modello orizzontale postulato, per primo, da Sergio Marchionne in Ferrari (“Il vero problema dei manager è che più piramidi crei e peggio gestisci l’azienda, così parlava il professionista teatino) e del quale Adrian Newey ne è un grande apprezzatore. Non è caso se uno degli uomini chiave della scuderia del dirigente canadese sia quel Dan Fallows cresciuto proprio sotto la protezione del geniale tecnico di Stratford-Upon-Avon.
Lo scopo di questo schema organizzativo è quello di provare a far sì che i dipendenti, tutti, si stimolino il più possibile reciprocamente. Newey, che ispira Mike Krack team principal della squadra d Silverstone, è fortemente convinto che i progressi della monoposto dipendano dalla continua produzione di idee che non necessariamente si trasformano in pacchetti applicativi. Anche Aston Martin, quindi, impone una cultura rigida nella sua elasticità: ogni figura, qualsiasi sia il suo compito, deve essere a proprio agio nel proporre e suggerire idee in un contesto nel quale i colleghi siano predisposti ad ascoltarle.
Chris Horner, un fine osservatore della realtà circostante (non a caso si diventa uno dei dirigenti sportivi più vincenti di sempre), ha iniziato ad osservare le mosse del team di Silverstone, ben conscio che nei prossimi anni potrà diventare una spina nel fianco non solo di Milton Keynes, ma per tutti i competitor accreditati in F1.
Il dirigente inglese ha sottolineato come la maggiore indipendenza che la Aston avrà dal 2026 possa essere un valore aggiunto. Oggi l’architettura della monoposto è imposta da un altro team. La AMR23, difatti, mutua cambio e sospensioni posteriori dalla Mercedes W14. Affrancarsi da questa dipendenza significherà sviluppare in maniera più spedita ed esclusiva un’area nevralgica della vettura garantendosi un potenziale e rilevante vantaggio. Inoltre, sottolinea Horner, si libereranno da una spesa non irrilevante necessaria per avere le suddette parti meccaniche.
Il team principal della Red Bull si è detto abbastanza sorpreso dell’inversione a “U” effettuata dalla Honda che l’ha portata a decidere di restare in F1 dopo un addio altrettanto spiazzante comunicato in via ufficiale due anni fa. Una mossa inattesa che ha generato un effetto cascata, ossia quello di impiantare a Milton Keynes un nuovo reparto powertrains.
“È un bene che la Honda sia ancora in Formula 1, hanno cambiato le cose rispetto a 18 mesi fa. La loro decisione, per certi versi, ci ha costretto a prendere una decisione sul nostro futuro a lungo termine. Non volevamo essere rallentati e l’obiettivo era quello di avere il pieno controllo”. Queste le osservazioni di Horner.
Red Bull è quindi costretta a fare da sé per alimentare quel modello indipendente che Aston Martin sta per abbracciare. “L’investimento in Red Bull Powertrains ci ha permesso di avere tutto sotto lo stesso tetto. Si tratta di una grande sfida per il 2026, siamo molto emozionati. È un progetto a lungo termine e darà i frutti che vogliamo. Gli ingegneri dei motori e quelli dei telai lavoreranno a stretto contatto e avremo un pacchetto più integrato”.
La squadra campione del mondo non voleva rinunciare a questa prerogativa. Né intendeva abbandonare l’idea di avere l’ultima parola sulle scelte tecniche. Ecco perché il matrimonio con Porsche è naufragato quando stava per attraccare. Red Bull, quindi, non snaturerà se stessa per vedersela con un gruppo di potere emergente che si prefigge, sin dal 2026, di sfidare anche Mercedes, Ferrari e Audi che adottano un paradigma analogo.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Aston Martin