“La Ferrari SF-23 non avrà precedenti in termini di velocità“. Questa dichiarazione, ascritta a Benedetto Vigna, è forse la madre di tutti gli epic fail degli ultimi anni. Non è un caso se l’uscita dell’amministratore delegato dell’azienda di Maranello venga tirata fuori sempre più spesso per fotografare il momento che sta attraversando la Rossa. E non è di certo un buon momento.
La SF-23 non è veloce. La SF-23 non è efficace. La SF-23 non produce il carico necessario. La SF-23 non gestisce bene le gomme. La SF-23 non è una vettura prevedibile né è semplice da settare. Insomma, ci sono tantissime cose che la SF-23 non riesce a fare. E che non riuscirà a realizzare da qui a fine anno. Da qui l’idea che nella Gestione Sportiva prende sempre più corpo: fare tabula rasa, ripartire da zero, rimettere sul tavolo da disegno un foglio bianco per fissare nuovi principi che scalzino quelli che non stanno funzionando.
Frédéric Vasseur sperava di ereditare qualcosa di meglio, invece si trova tra le mani una gatta isterica da pelare. tante le difficoltà da superare, troppi gli ostacoli trovati qua e là per pensare che in pochi mesi si potesse mettere nuovamente la Ferrari al centro del villaggio della F1. Ma se era chiaro che serviva tempo, meno giustificabile è l’arretramento prestazionale cui assistiamo.
L’anno scorso, la F1-75, pur chiudendo in decrescendo, era stata la seconda forza del campionato. Oggi, senza osservare la classifica ma guardando cosa accade in pista, la SF-23 si barcamena tra l’essere la quarta e la quinta vettura tra quelle che compongono la griglia. Il dato veramente preoccupante è che la tendenza al declino si sta manifestando col passare delle gare e, dunque, anche a seguito dell’installazione di aggiornamenti che, sulla carta e nelle intenzioni degli ingegneri, dovevano risolvere i problemi costitutivi di una monoposto nata male nonostante la seconda metà del 2022 sia stata dedicata proprio alla sua definizione.
Mesi di lavoro in più per creare, inutile cercare definizioni buoniste, un mezzo flop tecnico, una vettura che andrà a fare compagnia ad altri modelli deludenti figli di aspettative alte create dagli stessi dirigenti, come la frase che apre questo pezzo sta a dimostrare in maniera lineare e insindacabile.
In Ferrari ci sono diverse problematiche da fissare. Quella tecnica è una delle più importanti. Ma forse dipende da quella gestionale. Ed qua che sono concentrai gli sforzi del dirigente di Draveil che, a fatica, sta cercando di introdurre il suo modello operativo che deve scardinare quelli precedenti che hanno portato la gloriosa scuderia del Cavallino Rampante nella situazione non comoda che sta vivendo.
Se il paradigma gestionale dell’ex Sauber sarà efficace lo sapremo solo certe dinamiche saranno spazzate via. E non è detto che possa accadere perché la Ferrari, a volte, mostra un’imperturbabile stabilità che si oppone ad ogni terapia che deve produrre un cambiamento. Su questo cammino dolente di trasformazione è necessario che inizi a mutare anche il modo di comunicare.
Sembra esistere una sinistra linea di continuità che si manifesta al di là delle persone che occupano determinati scranni. Si arriva in Ferrari e si assorbe, forse involontariamente, il modo di trasferire pensieri e strategie all’esterno. Vasseur, ahinoi, non pare essere esente da questa piega che, sovente, sfocia nell’incoerenza. Dichiarazioni che ne smentiscono altre rese in precedenze e che sembravano manifesti operativi che invece si sgretolano e volano via.
Dopo le difficoltà iniziali, l’ex n°1 delle cose sportive della Sauber aveva affermato, rivendicando con forza verbale, che la Ferrari avrebbe mantenuto il concetto costitutivo per far emergere, con la comprensione e l’esperienza, il potenziale della vettura.
Poi sono arrivati gli aggiornamenti che hanno mostrato un’evidenza: la SF-23 ha progressivamente mollato il concetto inwash della propria zona centrale per sposare la filosofia downwash definita dal geniaccio di Stratford-Upon-Avon che lavora in Red Bull. Da lì una lunga teoria di fondi nuovi e diversi tra loro, ali anteriori e posteriori, estrattori e i nuovi sidepod che sconfessano la linea precedente e soprattutto le parole di Vasseur che parlava di continuità.
Ma non è finita qui. Sabato scorso, dopo le qualifiche in cui è emersa, tra le altre, una straordinaria Alfa Romeo, il dirigente transalpino ha lodato il metodo svizzero spiegando, con apparente ed ostentata lucidità, che le prestazioni della C43, che di update ne ha ricevuti relativamente pochi e non stravolgenti, dimostrano che non è vincente concentrarsi su tanti stravolgimenti, ma è più saggio capire il veicolo nel suo insieme e farlo funzionare al meglio.
Eh!? Sì, avete letto bene. Il team principal di una scuderia che ha rivoluzionato la filosofia di un’area nevralgica della vettura a suon di novità dice che è meglio fare come chi non ha speso risorse per il cambiamento ma per la comprensione. Se non è questo bipolarismo mediatico o dissociazione comunicativa diteci voi di cosa si tratta.
Questo stato confusionale è probabilmente specchio dell’incertezza procedurale che ancora fa capolino a Maranello. Se non si supera questa penalizzante condizione e se non si comincia a risolvere un problema per volta senza sconfessare la linea impostata poco prima la Ferrari non ne uscirà. Serve esser chiari e spiegare che tempo sarà necessario. Ormai è evidente che ne serve tanto. Che senso ha prodursi in comunicazioni sbilenche che vengono confutate con un’analisi storica nemmeno troppo profonda?
Il compito di Vasseur è arduo, ma di certo il buon Fred non s’aiuta da solo se non tiene la barra dritta e devia così clamorosamente dal sentiero che egli stesso ha tracciato. Bisogna essere risoluti e forse anche deludere i tifosi. E’ necessario un sano e cinico realismo: capire i problemi, spiegarli, e provare a risolverli con senza inversioni a U.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, Alfa Romeo