Formula 1

Jules Bianchi: nessuna fatalità, solo tanta negligenza

Il mondo della F1 si ferma nel pieno dell’estate per ricordare Bianchi a otto anni dalla sua scomparsa. Il pilota ha concluso la sua vita terrena a quasi 26 anni dopo un disgraziato e assurdo incidente. Chissà cosa avrebbe fatto Jules se quel giorno di nove anni fa non fosse finito contro quel caterpillar che lì non avrebbe dovuto esserci, a Suzuka, durante il Gran Premio, in quella piovosa domenica 5 ottobre 2014.

Il giovane francese entrò in coma a causa delle gravissime ferite riportate (la gara fu interrotta al 46esimo giro) e morì un anno dopo, il 17 luglio del 2015, non avendo mai ripreso conoscenza. Sono passati già quasi due lustri, eppure il mondo sportivo e tanti appassionati non lo hanno dimenticato. Jules aveva le caratteristiche per diventare un campione. Lo ricorda spesso Charles Leclerc, che lo conosceva bene.

Di origini italiane, con antenati di Milano, era nipote del pilota Lucien Bianchi, morto nel 1969 durante le prove della 24 ore del circuito di Le Mans. Ha disputato 34 Gran Premi di Formula 1, ottenendo 2 punti. In suo onore, il 20 luglio 2015, l’allora Presidente della FIA Jean Todt, ritirò definitivamente il numero 17, da lui usato in gara.

In seguito, dopo quanto accaduto, gli organizzatori di Suzuka hanno posizionato in quel tratto di pista un braccio meccanico dietro alle barriere. Similare a quello che a Montecarlo usano da moltissimo tempo. E’ inevitabile pensare che se quel braccio meccanico ci fosse stato anche nel 2014, oggi Jules con tutta probabilità sarebbe ancora fra noi.


La F1 ricorda Jules Bianchi a 8 anni dalla scomparsa

La morte di Jules, se da una parte ci ricorda che il motorsport per sua intrinseca natura è pericoloso, frase scontata ma veritiera. Ci ricorda altresì che nessun elemento deve essere dimenticato nel pensare alla sicurezza dei piloti, non solo dunque la monoposto ma il circuito nella sua interezza. Prima di lui l’ultimo incidente mortale aveva riguardato Ayrton Senna, 20 anni prima.

E di passi avanti in F1 se ne erano fatti tanti (e se ne sono continuati a fare, basti pensare all’halo). Tuttavia, se ripesiamo a Suzuka 2014, quella gru in quel punto del circuito fu un fatto gravissimo, perché non avrebbe dovuto esserci. E non si può parlare di fatalità. Ma di una grave negligenza, che non ammette scusanti.

un’immagine di repertorio dell’incidente di Jules Bianchi, Suzuka 2014

Graeme Lowdon, direttore sportivo della Manor nel 2015, uomo che ha potuto seguire da vicino la spettacolare e brevissima parabola ascendente di Bianchi (titolare di un sedile Marussia dal 2013), dalla sua comparsa nella massima serie sino al suo drammatico incidente sul circuito di Suzuka lo ricordava così a poche ore dalla scomparsa.

Era un ragazzo splendido, un pilota dalle qualità impressionanti, ma prima ancora era un uomo eccezionale“, per poi concludere: “I piloti migliori hanno un’attenzione particolare per il loro lavoro. Lui era impressionante in tutto ciò che faceva. È mia opinione che sarebbe potuto divenire tranquillamente un futuro campione del mondo. Ne ebbi sentore dal primo momento in cui mise piede nel nostro garage“.

Martin Brundle (commentatore TV per la britannica Sky Sport News), disse proprio negli stessi giorni: “Bianchi futuro campione del mondo? Chi può dirlo, questo è un ambiente che non fa sconti, ma non vi sono dubbi dove egli si stesse dirigendo in termini di potenziale massimo al volante di una auto da corsa“.

Jules aveva un grande avvenire davanti a sé, certamente avrebbe (prima o poi) firmato per una grande scuderia, probabilmente la Ferrari. Era un ragazzo amabilissimo. La sua vita gli è stata strappata troppo prematuramente ed è davvero triste che un simile talento si andato sprecato in questo modo”. E forse, non c’é altro da aggiungere.


Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi

Immagini: Formula Uno

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Mariano Froldi