Ormai è inutile nascondersi dietro a un dito: in F1 esiste un problema pioggia. È capitato spesso – e Spa Francorchamps ne è l’ultima testimonianza in ordine cronologico – che in presenza di pista bagnata la direzione gara non si assumesse la responsabilità di far girare i piloti. Talvolta, per interrompere le operazioni o per posticiparle con vuoti temporali incolmabili, non serve nemmeno che si verifichino condizioni prossime all’allagamento, basta una pioggerellina che in altre stagioni veniva gestita con molta più elasticità.
Il problema della F1 contemporanea non sembrerebbe essere la componente elettrica presente all’interno delle power unit. Verte, piuttosto, sulla grandezza delle monoposto e sul relativo accrescimento delle gomme che hanno un’impronta a terra molto maggiore rispetto a qualche decennio fa. Coperture che, anche grazie all’evoluzione tecnica, riescono a dissipare quantità molto elevate di acqua che vanno a creare quell’effetto spray che rende quasi nulla la visibilità per i piloti che seguono.
Una situazione che va avanti da diverse stagioni, che diventa sempre più seria, e che sta creando una generazione di driver quasi refrattari all’acqua. La mancanza di test in pista, il costante accrescimento della sfera simulativa, e il fatto che si giri soltanto nel weekend di gara, disabitua i conducenti che, in condizioni da bagnato, si sentono – ed è un’immagine paradossale – dei pesci fuor d’acqua.
Il timore è che la F1, lentamente, rinvio dopo rinvio, scivoli lentamente verso la totale idrofobia. Chi tira i fili della serie lo ha capito e ha iniziato a mettere in cantiere delle contromosse tecniche che, ad oggi, non hanno dato ancora gli effetti sperati. I paraschizzi, recentemente mostrati in alcuni rendering dalla FIA, non hanno abbattuto la quota degli spruzzi, ma i tecnici federali non demordono e provano a migliorare un sistema che potrebbe abbattere la prima causa di annullamento delle sessioni in caso di pioggia.
Questo, ovviamente, è un espediente che deve essere abbinato a vetture più leggere, compatte e magari dotate di pneumatici più stretti nella sezione frontale. Cosa alla quale si sta lavorando in chiave 2026 ma senza troppa convinzione perché il momento dell’inversione di tendenza del peso delle vetture non sembra essere ancora arrivato visto che le nuove PU avranno pacchi batterie molto voluminosi dato l’accrescimento della quota elettrica totale che si stima essere intorno al 50% della potenza erogata.
Se alcuni driver hanno espresso pareri in linea con la politica conservativa impostata dalla direzione gara, altri vorrebbero che le maglie della FIA sia allargassero pur tenendo la questione della sicurezza in cima alle priorità. Prima di Spa Francorchamps, Yuki Tsunoda aveva addirittura accolto con favore l’idea che non si corresse in caso di pioggia alludendo ai tragici incidenti che hanno visto l’Eau Rouge e il Raidillon protagonisti. George Russell, pur essendo meno estremo nelle valutazioni soggettive, aveva espresso la necessità di fermare le operazioni se la pista non fosse stata in condizioni di visibilità pressoché totale.
Di parere opposto – e ultimamente non è una novità – è stato Max Verstappen che vorrebbe un’inversione di tendenza repentina per evitare che la F1 si trasformi in un campionato la Nascar. “Le gomme grandi peggiorano le cose, così come la forma dell’auto: è così grande che hai più spray. È peggio di quanto non fosse nel 2016, ma era anche brutto allora. Ricordo la gara in Brasile, dove ero in fondo dopo il pit stop, non riuscivo nemmeno a vedere Fernando uscire di pista”.
“Certo – ha proseguito il bi-iridato – accadono alcuni incidenti che hanno un esito negativo e poi la gente naturalmente inizia a parlarne di più. Ma se la guardi in questo modo, non puoi più correre sotto la pioggia perché ci saranno sempre problemi di visibilità. Sarebbe un peccato. Poi diventa come la NASCAR…”.
Il parere di Verstappen, pilota appartenente alla nuova generazione ma dall’animo più “vintage” trova sponda in quei colleghi con più esperienza. Da Valtteri Bottas a Fernando Alonso passando per Lewis Hamilton, chi proviene da una scuola più “vecchia” non ne vuol sentir parlare di una F1 che sia attiva solo con pista asciutta. Si tratterebbe di uno stravolgimento culturale troppo estremo per essere accettato da tutti: piloti, addetti ai lavori e tifosi.
D’altro canto, visti gli interessi in gioco, tra diritti TV e sponsorizzazioni iperboliche, non è possibile pensare che la categoria si adegui alle bizze del meteo. Una sfida logistica, quella dell’attesa dell’asciutto, che la F1 sa di non poter vincere.
Quello che per alcuni è un processo inarrestabile, ossia l’americanizzazione del Circus, cozza con gli stessi interessi della proprietà americana che non intende rinunciare a nessun evento programmato con larghissimo anticipo. Per tale motivo ci sono ragionevoli margini per vedere il problema pioggia affrontato e superato una volta e per tutte.
La Formula 1, per ragioni logiche e finanziarie riuscirà a superare le difficoltà. Sembra un paradosso, ma potrebbero essere proprio gli americani, per interessi specifici e non per uno scatto improvviso nella tutela delle tradizioni, a preservare una delle specificità più connotanti della massima serie dell’automobilismo a ruote scoperte: correre innaffiati dall’acqua piovana. Ma per trovare strumenti efficaci servirà ancora del tempo, quindi il rischio che si verifichi una nuova Spa 2021 è ancora concreto…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Alpine, Mercedes AMG, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari