Monza si avvicina, mancano tre giorni al primo semaforo verde in fondo alla pit lane. La F1, quindi, si trasferisce nel tempio della velocità, una pista del tutto diversa da Zandvoort e che pretende assetti e specificità che rendono il tracciato brianzolo un unicum nel calendario. Basterà questo per stravolgere i valori emersi pochi giorni fa? Forse sì, se restringiamo il nostro campo d’osservazione al “centrocampo” di cui fanno parte anche Ferrari e Mercedes. Perché immaginare che la Red Bull possa soffrire sulle lunghe rette italiane è un dolce sogno che, con tutta probabilità, non si concretizzerà.
Se si potessero tradurre in meccanica i concetti di versatilità e di adattabilità emergerebbero le forme della RB19. Una macchina per tutte le stagioni, un’attrice capace di calcare ogni tipo di palcoscenico e di interpretare tutti i generi di teatro. Le tredici gare sin qui disputate hanno raccontato che la creatura di Adrian Newey sa imporsi ovunque e che, anche se a Milton Keynes non lo ammeterebbero nemmeno sotto tortura, c’è ancora del potenziale celato che è stato utilizzato solo in rare e sporadiche circostanze, quando c’era da aprire un margine di sicurezza per mettere in cassaforte una gara.
In questo contesto, giocoforza, le speranze degli avversari di vincere una gara divengono sempre più flebili. Anche perché i campioni del mondo sono perfetti in ogni ambito, pure in quello strategico come dimostrato proprio la settimana scorsa in una gara infarcita di variabili meteo che s’è chiusa con il solito, ormai noioso, epilogo. Quando le cose vanno così non basta più la fede incrollabile e l’ottimismo a spada tratta. Quelli di Milton Keynes hanno “depoetizzato” la F1 contemporanea che non è più l’arena delle sfide incerte e dei sogni di gloria aperti a tutti.
Insomma, per farla breve, a Monza ci sono tutti gli elementi per una bella batosta. L’ennesima per Ferrari, Mercedes e tutti gli altri rivali che si agitano vanamente alle spalle del cannibale di Hasselt. Più passano le gare più è concreto l’obiettivo di centrare tutte le vittorie in campionato realizzando quello scenario da incubo che George Russell, uno sveglio e con l’occhio clinico, aveva preconizzato alla fine dei test invernali del Bahrain.
I profeti, si sa, non sempre vengono compresi. Prima passano per folli, solo col tempo assumono carature elevate e credibilità, trasformandosi in icone da adorare. Non pretendiamo che nasca il culto di Russell, ma semplicemente che gli venga riconosciuta la lungimiranza. Oggi l’idea dell’alfiere della Mercedes è ampiamente condivisa, eccezion fatta per sporadici irriducibili che si aggrappano a un sogno più che a elementi concreti.
Tra questi c’è Lando Norris che, forse galvanizzato dai risultati ottenuti dopo il GP d’Austria, considera la traccia ascendente descritta in stagione come una prova della possibilità di chiudere il gap. Il tempo, secondo Lando l’ottimista, è la discriminante. Il ragionamento è lineare anche se un pizzico fiducioso: se in pochi mesi la MCL60 è cresciuta così tanto, il momento dell’aggancio non sarebbe lontano. Slancio di speranza smorzato dallo stesso pilota di Bristol che ritiene che per il 2023 non c’è nulla da fare rimandando la partita all’anno venturo.
Allora, rebus sic stantibus, hanno ragione Leclerc e Hamilton ad alzare bandiera bianca nei confronti della Red Bull macinasassi senza riporre speranze sistematicamente disattese da macchine e muretti box incapaci di fare per bene il loro lavoro. Il realismo dei due piloti succitati è disarmante perché non abbraccia solo il campionato in corso ma allunga la sua spietata ombra anche sull’anno prossimo.
Red Bull, secondo il sette volte iridato che prosegue sulla scia di quanto espresso dal monegasco poco prima della pausa estiva, ritiene che a Milton Keynes abbiano un vantaggio così dilagante che hanno potuto iniziare a sviluppare la vettura del prossimo anno molti mesi prima di tutti gli altri. Qualcosa che aggira le afflizioni dell’Aerodynamic Test Regulation e mortifica i tentativi di ricucire lo strappo in tempi ristretti.
In Mercedes ci stanno provando con tutte le forze, così come in Ferrari. Ma è strisciante l’idea che servirà più tempo arrivando, probabilmente, alla nuova mutazione genetica che la F1 affronterà nel 2026. A meno che quel geniaccio di Newey non faccia un altro tiro mancino a tutti.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, McLaren, Oracle Red Bull Racing, Mercedes AMG