Formula 1

In difesa della F1

La F1 è sotto accusa. “Ah, che novità!”, direte. In effetti sugli sport motoristici il giudizio dei non appassionati (e forse non competenti) è spesso tagliente. Forse anche troppo. Una volta l’oggetto di disputa è la sicurezza di chi scende in pista, un’altra volta si pone l’accento sugli sprechi economici determinati dal progettare e realizzare mezzi che non hanno una finalità pratica senza avvedersi che è grazia al motorsport se alcune trovate sono diventate ormai d’uso comune. 

Negli ultimi tempi la nuova frontiera dell’intolleranza verso la Formula Uno sorge su questioni ambientali. Il Circus, è questa la natura dell’osservazione, non farebbe nulla di concreto per salvaguardare l’ambiente e le manovre messe in cantiere sarebbero una vetrina priva di contenuti. Mosse di facciata per imbonire il pubblico senza curarsi effettivamente di abbassare la quota di emissioni totali.  


La F1 sotto accusa

La Formula 1 si rende conto di dover agire e dare un contributo per la protezione del clima, ma lo fa solo superficialmente. Se vuole usare la sostenibilità come qualcosa di più di una foglia di fico deve ripensare all’impronta di carbonio dell’intero Circus. Dovrebbe diventare più regionale, invece di pensare ad organizzare ben 24 gare per il 2024 facendo volare persone e materiali in tutto il mondo“. Queste le osservazioni all’agenzia DPA riportate da FP di Benjamin Stephan, attivista di Greenpeace che ha poi concluso con una bella bordata: “L’identità delle corse deve cambiare, non si sta seriamente impegnando per la salvaguardia del clima. Per me i progetti della F1 sono solo cosmetici, nient’altro che greenwashing”.   

Max Verstappen precede Carlos Sainz subito dopo la partenza del GP di Spagna

Dopo le accuse di fare sportwashing, ossia di permettere a certi paesi di recuperare credibilità sul piano intenzionale con l’organizzazione di grandi eventi che coprono una scarsa tutela dei diritti umani, arriva anche quella di usare l’ecosostenibilità come cassa di risonanza di un messaggio in realtà vuoto. Ma le cose stanno davvero così?


F1: la critica di Greenpeace ha basi solide?

Partiamo dal calendario. Liberty Media non intende recedere dall’idea di avere più gare, ma ha iniziato concretamente a regionalizzare gli eventi. Si può fare meglio? sicuramente, ma il passo in avanti fatto col calendario 2024 è netto. La grande vittoria di Stefano Domenicali è la razionalizzazione della logistica che determina un calendario regionalizzato. 

Un tema caro alla proprietà americana che ha sposato la politica Net Zero 2030 che si può realizzare solo limitando gli spostamenti globali. Era necessario rispondere a due istanze: ecosostenibilità della categoria e risposta alle ristrettezze finanziarie dei team dovute al budget cap che, è bene ricordarlo, dal 2026, sarà fissato in soli 130 milioni di dollari annuali. 

La F1 ha finalmente “localizzato” il calendario per macroaree col fine di evitare spostamenti dispendiosi, inquinanti ed illogici. “Dobbiamo adattarci a situazioni che mutano rapidamente sul fronte logistico” aveva detto Domenicali qualche tempo fa alludendo alla necessità cogente di avere un calendario più intelligente disposto su aree geografiche più coerenti. 

Stefano Domenicali, CEO della F1

Sul fronte economico, si è finalmente  sanata una contraddizione: da un lato si chiedeva alle franchigie una profonda spending review e, dall’altro, si investivano cifre blu per far spostare migliaia di tonnellate di materiali in giro per la Terra con voli transoceanici iper-inquinanti e iper-costosi. Si è arrivati all’auspicata sintesi.

Quello del calendario regionalizzato è uno dei tasselli di un programma più ampio ed ambizioso: il modello Net Zero 2030. Si tratta di una visione strategica di medio periodo che vuole portare la categoria ad emettere zero emissioni nocive entro il 2023. E non solo con le vetture che girano in pista ma soprattutto nella sfera della movimentazione delle merci e nella creazione dei materiali necessari al funzionamento del sistema.  

In F1, dal 2026, debutterà una nuova generazione di power unit che sarà basata su benzine ecosostenibili. L’obiettivo della FIA e di Liberty Media è quello di soddisfare il suddetto programma. Operazione ambiziosa ma necessaria nella quale credono soggetti già coinvolti in Formula Uno. 

L’anno scorso, Petronas, in collaborazione con Mercedes che aveva testato su un proprio camion un carburante ecologico nello spostamento da Zandvoort a Monza, ha iniziato a studiare un carburante avio per alimentare i motori a reazione portando il “concetto verde” anche negli spostamenti aerei. La realizzazione di una tale tecnologia sarebbe rivoluzionaria, una pietra miliare vera e propria alla quale i vertici di Liberty Media guardano con estremo interesse. La partita è di enorme importanza e gli interessi economici derivanti sono mastodontici. 

L’obiettivo ancora più ambizioso della F1 – forse celato ai più – è quello di aprire una strada filosofica che faccia vacillare le decisioni prese da politici burocrati con visioni di corto respiro e che rischiano di devastare il settore automobilistico in nome di una riconversione elettrica forzata e per la quale, forse, il mercato non è ancora pronto.

Stefano Domenicali, in un’intervista di qualche mese fa, si esprimeva così: “Come Formula 1 dobbiamo chiederci cosa possiamo accelerare in termini di sviluppo. Il tema dei carburanti sostenibili è fondamentale. La percezione su questo, lo dimostra il mercato, sta cambiando. Credo che sia stata fatta un’ottima scelta quando per primi abbiamo deciso di imboccare questa strada”.

Non vogliamo fare guerre contro la mobilità full electric, è una tecnologia che avrà un suo mercato, ma crediamo che la Formula 1 possa accelerare la possibilità di avere benzine sostenibili al giusto prezzo. Questo sarà un grande aiuto per la mobilità in senso assoluto, inclusa quella commerciale, aeronautica e quella che include il parco vetture attualmente circolanti nel mondo che sono circa un miliardo e mezzo. È una sfida molto importante e sono certo che aiuterà anche a compattare la visione di tutte le squadre”, ha spiegato l’ex Ferrari.

Un fusto di carburante E10 della Petronas – Gp del Belgio 2022. Photo credits: Diego Catalano

La vera sfida è dunque sui costi. I carburanti drop-in ecosostenibili potranno avere successo solo se non saranno una miscela per bolidi da corsa, ma diverranno un bene di massa con prezzi contenuti ed accessibili a tutti. Per rendere questo scenario concreto serve il supporto della politica. Ecco che si fa necessaria l’interlocuzione con i soggetti preposti a prendere quelle decisioni che determinano i destini economici, ambientali e culturali dei popoli.

Che la F1 stia facendo sul serio sulle tematiche ambientali lo conferma anche il bando di concorso emanato per la fornitura delle gomme nel triennio. Bridgestone e Pirelli, i due colossi che si giocano il ruolo di gommista unico, dovranno tener conto del principio dell‘ecosostenibilità.

Nel bando è fatto esplicito riferimento alla tutela dell’ambiente e, quindi, all’uso di materiali green con relativa ottimizzazione delle risorse col fine di abbattere le emissione e gli sprechi. Una politica che si incastona con il meccanismo dell’Alternative Tyre Allocation testato in Ungheria e che ha il compito di razionalizzare l’uso delle gomme abbassandone il numero e, di conseguenza, limitandone la produzione e il trasporto in giro per il mondo.

In conclusione, come dimostrato, la Formula 1 sta provando a fare passi concreti nella direzione dell’ecosostenibilità. Manovre che non sembrano di facciata e che, pur potendo essere perfezionate, tracciano una strada ben definita e soprattutto irreversibile. Per questo certe critiche sembrano preconcette e forse figlie di una scarsa conoscenza delle vere dinamiche che caratterizzano la massima espressione dello sport automobilistico.


Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1

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Diego Catalano