Red Bull non è Ferrari e proprio per questo domina incontrastata. Lo fa perché lo merita ampiamente. Non ci sono miracoli, trucchi o segreti particolari. “Sospensioni attive”, elettronica manipolata, zone grigie o quant’altro. Tutte fesserie acchiappa click. La massima comprensione del corpo normativo vigente è la chiave del loro successo. La superiorità del team austriaco nasce dall’esperienza che in F1 si chiama Adrian Newey, massimo esperto delle monoposto a effetto suolo.
Sebbene a livello teorico uno degli scopi principali del nuovo regolamento era livellare la categoria, in realtà la Federazione Internazionale ha offerto una concreta possibilità ai più abili: sfruttare appieno la propria conoscenza tecnica per annichilire la concorrenza. La mente brillante dell’ingegnere di Stratford-upon-Avon poteva sottrarsi a un assist del genere? Rispondere sì sarebbe un’assurdità.
Ma allora, ulteriore quesito interessante, come fa il sessantaquattrenne inglese a centrare sempre l’obiettivo prefissato? Partiamo da un presupposto: chi vince festeggia, mentre chi abita la fila dei perdenti studia. Aspetto sul quale Ferrari, ad esempio, sta lavorando senza sosta da qualche mese. La nostra redazione ha infatti appreso che il progetto 676, prossima vettura di Maranello, sarà concepita sui concetti della RB19. Una sorta di evoluzione della specie che il Cavallino Rampante è addirittura convinto di poter migliorare.
Tornando al presente andiamo a riassumere alcune qualità dell’ultima opera aero-meccanica di Milton Keynes, monoposto di F1 che rischia seriamente di centrare uno dei record più bramati di sempre: vincere tutte le gare di una campagna agonistica non concedendo la benché minima soddisfazione ai propri sfidanti. L’impresa non è certo di facile realizzazione considerando la lunghezza del campionato, ma se una scuderia ci può davvero riuscire questa è proprio Red Bull.
Dal 2022, partendo da un foglio bianco le strade da prendere erano molte. Ferrari ha effettuato una scelta che al principio pareva all’altezza mentre Mercedes, forse troppo sicura di se, ha scelto un percorso estremamente complicato rivelatosi poi fallimentare. Il cammino più proficuo, nemmeno a dirlo, è stato quello Red Bull. Team capace di comprendere appieno e mettere in pratica i punti tecnici cruciali del regolamento sulla propria vettura.
Uno dei vantaggi della RB19 riguarda l’intelligente posizionamento delle strutture di impatto laterale rispetto al telaio. Caratteristica che ha saputo offrire grossi vantaggi sotto il profilo squisitamente aerodinamico. Ci riferiamo in particolare alla pulizia dei flussi che scorrono verso il posteriore della vettura unitamente a una gestione ottimale dell’outwash. Prerogativa che di fatto tutte le squadre stanno cercando di utilizzare al meglio all’interno dei propri progetti.
Tale fenomeno riguarda la capacità di spingere la “corrente aerodinamica” verso l’esterno. Gli pneumatici di una F1 creano una serie di turbolenze che concorrono al 40% circa della resistenza all’avanzamento dell’auto. Per di più il rotolamento dello pneumatico trascina i fluidi verso il basso. Un contesto del genere da vita al così detto “tyre squirt”: vortice che si estende alla base della gomma scivolando verso il retrotreno che dev’essere necessariamente controllato.
Per questa ragione, tramite diverse appendici, i tecnici danno vita a una “corrente aerodinamica” che parte dalla zona dell’abitacolo (undercut) e spinge la massa turbolenta provocata dalle gomme verso l’esterno (outwash). L’intento si adopera per non farla “risucchiare” dal pavimento della vettura, evitando che tale componente vada a ridurre la sua efficacia nella generazione della spinta verticale.
Prima di proseguire sfatiamo un mito strettamente collegato al funzionamento del pavimento: Red Bull non utilizza le sospensioni attive. In F1 sono infatti vietate dagli anni ’90. Quello che il reparto dinamico ha studiato riguarda la particolare angolazione dello schema sospensivo: quello anteriore presenta un’inclinazione verso il retrotreno, mentre quello posteriore verso l’avantreno, in gergo definiti “anti dive” e “anti squat”.
La scelta risulta molto utile a limitare il movimento sospensivo del veicolo durante la marcia. Aspetto che peraltro, al pari della RB19, viene adottato da altre monoposto come Ferrari e Mercedes anche se in maniera meno efficace. Ecco perchè, ragionandoci su, ridurre il vantaggio Red Bull costruito in questi ultimi anni a questo fattore risulta fortemente semplicistico e di base concettualmente errato.
Il corpo normativo entravo in vigore l’altr’anno, prevede l’utilizzo di un fondo ad “ala di gabbiano rovesciato” per sfruttare il famoso effetto venturi. Quando il flusso d’aria trova nel suo percorso un restringimento creato da un canale si genera una differenza di pressione tra esterno e interno che spinge la monoposto verso il basso. Concetto introdotto in F1 alla fine degli anni settanta dalla Lotus e poi vietato nel 1983 visto i problemi legati all’allora di certo non eccepibile sicurezza. Tema sul quale Newey, guarda caso, realizzò la propria tesi di laurea.
Pensando alla stagione 2022 a tal proposito dobbiamo ricordare l’introduzione della fatidica direttiva TD039. “Legislazione” che di fatto è andata a regolare le altezze da terra del fondo rispetto al piano di riferimento (asfalto). Il tutto entrò in vigore dal Gran Premio del Belgio e da quel momento, la comunque molto buona F1-75, non fu più la stessa nel proseguo del campionato.
Aspetto che Binotto sminuì in press conference rispondendo a nostra precisa domanda con un perentorio “NO”, dichiarando la direttiva come “fatto assolutamente estraneo” in merito al calo di rendimento della rossa. Sebbene si debba credere alle parole di Mattia, proprio da quel momento in poi l’involuzione tecnica della rossa fece presenza. Una caduta di prestazioni improvvisa sulla quale ancora oggi non c’è chiarezza.
Sul versante tecnico possiamo dire che il progetto Ferrari 2022 prevedeva altezze da terra più basse rispetto a Red Bull. Si parla di millimetri che però, in questo caso, hanno dimostrato di saper fare una grossa differenza. Tutte le scuderie in seguito a questo provvedimento hanno perso qualcosa. La RB18 meno degli altri però. Partendo dal presupposto che a livello aerodinamico quello che accade al di sotto del fondo è molto complicato, resta estremamente difficile commentare questa componente dell’auto.
A livello fattuale la normativa ha irrigidito una parte del pavimento, sommato a serrati controlli della FIA tramite una precisa “metrica delle oscillazioni”: chi non rientrava in quell’algoritmo, di riflesso, era obbligato ad aumentare l’altezza da terra dell’auto. Decreto successivamente soppresso all’inizio del mondiale 2023, sostituito dall’obbligo di mantenere una determinata misura dal piano di riferimento per evitare a prescindere erronee interpretazioni del regolamento.
Possiamo aggiungere che le pance “voluminose” della F1-75 hanno prodotto senza dubbio una capacità minore di sviluppo nella seconda parte del campionato. Eppure immaginare che il contesto citato non abbia avuto a che fare con le prestazioni dell’auto italiana non appare poi affatto realistico. Questo tenendo presente che altri aspetti hanno inciso negativamente sulla competitività della Ferrari quali scarsa affidabilità, brutte strategie, errori dei piloti e in linea generarle un’impostazione lavorativa non all’altezza.
Per chiudere l’argomento sottolineiamo come Adrian Newey abbia saputo interpretare al massimo delle possibilità il fondo delle vetture da lui pensate. Elemento che emerge in modo preponderante osservando la “complicatezza” estrema della chiglia Red Bull. Un punto che ci svela l’estremo interesse del britannico dedicato a questa parte della monoposto conscio, dal minuto zero, della sua estrema importanza sul rendimento.
Adrian Newey è un fenomeno. Su questo nessuno può essere in disaccordo. Lo dice la sua storia così come i risultati raggiuti nelle varie scuderie dove ha militato. Tuttavia risulta estremamente corretto realizzare un’osservazione supplementare al riguardo. Il gruppo di lavoro Red Bull è strepitoso in tutti i suoi reparti: aerodinamico, meccanico, simulativo, strategico, dinamica del veicolo e chi più ne ha più ne metta.
Gli strumenti come software e CFD che simulano l’andamento dei flussi attorno all’auto sono molto simili tra loro. Quello che cambia è il modo in cui vengono utilizzati per racimolare dati quanto più reali possibili. Parliamo degli imput che le menti pensanti immettono nei calcolatori, discriminante vitale per compiere un buon lavoro. Senza contare l’utilizzo effettivo della galleria del vento e di riflesso la capacità di produrre una correlazione dati corretta.
Al momento attuale delle cose Red Bull appare imbattibile. Lo è grazie alla capacità delle persone che lavorano, in grado di comprendere con uno sguardo di insieme molto ampio il macrocosmo F1. Circostanza che porta la squadra quasi sempre verso la giusta direzione. Per fare un esempio delle capacità siffatte parliamo di efficienza. Prima della nuova era regolamentare le monoposto di Milton Keynes hanno sempre prodotto molto carico, mentre la resistenza all’avanzamento non era poi così bassa.
Ma nel corso degli anni i tecnici hanno scelto di lavorare su questo elemento trasportando il know how acquisito nelle vetture ad effetto suolo. Un vantaggio ricavato nel tempo. Il concetto di efficienza è cosi fatto. Una F1 può avere molto carico e performare al meglio in curva raggiungendo velocità più elevate degli avversari. Per contro, godendo di questa caratteristica potrebbe risultare più lenta in rettilineo. La forza Red Bull sta nel massimizzare questi due elementi, offrendo un ottimo rendimento in percorrenza, pur utilizzando assetti alari mediamente più carichi, raggiungendo una top speed pazzesca.
Questo significa che in automatico la finestra di funzionamento della vettura è molto grande e di riflesso consente a piloti e ingegneri di centrare la messa a punto ideale molto più facilmente. Una qualità che tra le altre cose garantisce una scelta sulla configurazione più adatta per il long run, potendo amministrare le coperture a proprio piacimento, per quanto concerne attivazione e degrado. Nel concludere lo scritto valutiamo un ulteriore aspetto legato alle riflessioni odierne.
Tenendo presente quanto di buono abbiamo detto su Red Bull (ci sarebbe da dire molto di più ma lo faremo nei prossimi giorni), capiamo il perché Ferrari valuti il team austriaco come modello da seguire e possibilmente migliorare attraverso il progetto 676. Monoposto che in attesa dell’arrivo di forze fresche in GES virerà su impostazioni tecniche differenti dalle attuali con un preciso target: effettuare un salto qualitativo non indifferente che per lo meno sia in grado di mettere i bastoni tra le ruote ai campioni del mondo in carica.
Autore: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Scuderia Ferrari – Oracle Red Bull Racing