Dura la vita della spalla dell’attore principale. Un ruolo che, seppure importante, non dà la piena possibilità di esprimersi. Questo accade nelle rappresentazioni teatrali che comunque seguono un copione definito o almeno non del tutto aperto, figurarsi nello sport del motore dove non esistono schemi preimpostati quando si spengono i semafori rossi in fondo alla griglia di partenza. Il sistema Red Bull è la perfetta rappresentazione di come il secondo debba superare difficoltà enormi per provare a rimanere a galla.
Il compito risulta ancora più complicato se il team leader è un certo Max Verstappen, uno squalo mai sazio supportato da una tecnica di pilotaggio fuori dal comune. Elementi che lo rendono uno dei driver più forti e potenzialmente vincenti della storia della F1. Max, complice una macchina dominante ed un calendario sempre più allargato, può riscrivere record che si pensano inscalfibili. E ha iniziato già a farlo.
Se la vita del secondo, per definizione, è poco agevole, quella di Sergio Perez è maledettamente dura perché se la deve vedere col più forte del momento. Dopo un avvio di mondiale incoraggiante e nel quale aveva dato la sensazione di poter essere una bella spina nel fianco dell’olandese è giunto il crollo improvviso. Quattro gare è durato il conducente di Guadalajara, poi una crisi tecnica sempre più profonda determinata, con ogni probabilità, da un disagio psicologico crescente.
Probabilmente osservare la naturalezza con la quale il compagno di casacca si districa tra i vari circuiti con una velocità fuori dal comune ha costretto Sergio ad alzare troppi i giri del motore pagandone le conseguenze. Vero è che nelle ultime due gare abbiamo apprezzato timidi segnali di ripresa, ma il pilota che a inizio anno era in grado di vincere e giocarsela con Max offre una versione di sé molto sbiadita.
Perez riuscirà a chiudere in crescendo? troverà gli stimoli giusti per farlo? Se la mettiamo sul lato finanziario la risposta potrebbe essere un sì. Pare che Red Bull abbia fatto firmare una clausola contrattuale al pilota che prevede la decurtazione di parte dello stipendio se la forbice in punti da Max Verstappen è troppo aperta. La postilla si attiva se le lunghezze sono 125, proprio il gap che separa i due alfieri. Bella grana per il messicano che, col suo nome, porta un bel po’ di vendite di bibite energetiche nel mercato sudamericano.
Ma a Milton Keynes e negli uffici dirigenziali di Red Bull GmbH è il cinismo ad alimentare il motore delle vittorie e dei fatturati, quindi si osservano le fredde carte senza concessioni di sorta. Perez, forse temendo che questa possibilità potesse concretizzarsi, aveva fatto inserire nel contratto un’appendice che vieta al team di arretrarlo in AlphaTauri come accaduto con illustri predecessori che rispondono al nome di Alex Albon, Daniil Kvyat e Pierre Gasly. Forse per questo il messicano si sente relativamente tranquillo nonostante la promozione di Daniel Ricciardo che per qualcuno è uno spettro che aleggia sulla testa del buon Sergio.
Dall’esterno sembra che le parti, Red Bull da un lato, Perez dall’altro, giochino una partita scacchi tesa e accesa piuttosto che creare quel clima collaborativo che per un pilota è decisivo nel creare una comfort zone che si riverberi in prestazioni sportive di rilievo. D’altro canto è difficile sopravvivere quando nel team c’è un mastino irreprensibile come Helmut Marko.
Il superconsulente di Graz non è mai stato uno troppo tenero quando c’erano da prendere decisioni ritenute corrette per i profitti sportivi della scuderia. Un dirigente risoluto, col cuore spinoso che, negli ultimi tempi, non è stato mai tenero nei riguardi di Perez. Chris Horner, in una recente intervista, ne ha fatto uno spaccato che descrive la spiccata vocazione al pragmatismo asentimentale:
“È un duro con i piloti junior: se non possono sopravvivere a Helmut, non sopravviveranno mai alla F1. Per certi aspetti è molto simile a come era Niki Lauda, provengono dalla stessa generazione e hanno lo stesso trucco. A 80 anni è ancora alla ricerca di settori viola. Guarda ogni sessione di Formula 3, ogni sessione di F2, ogni tempo intermedio e seguendo religiosamente il giovane talento”.
Questo metodo di lavoro Marko lo applica anche con i piloti che ce l’hanno fatta mettendo piede in Red Bull e in AlphaTauri. Un pungolo continuo, un supervisore austero e severo che non sempre ha aiutato i driver in difficoltà. Di certo, anche con dichiarazioni velenose, non ha contribuito a mettere Perez nelle condizioni giuste tanto che, nel recente passato, Horner è dovuto intervenire pubblicamente per supportare il messicano tracciando una linea comunicativa diametralmente opposta a quella definita dall’austriaco.
In un team che anche tecnicamente ha messo Verstappen al centro (Pierre Waché, l’oggetto dei desideri della Ferrari, e Paul Monaghan lo hanno ammesso l’anno scorso quando hanno affermato che la RB18 si era sviluppata in linea con le caratteristiche di pilotaggio del talento di Hasselt) e in cui il supporto per la spalla è parecchio intermittente è difficile emergere se non si hanno doti di pilotaggio fuori dalla norma e soprattutto una perseveranza di ferro supportata da una psiche monolitica.
Perez, nella sua lunga carriera, ha mostrato molte cose buone ma di certo non possiede le stimmate del fuoriclasse assoluto. E per uscire indenni dal confronto con Max bisogna esserlo. D’altro canto lo ha candidamente ammesso Marko che Sergio ormai non ha più alcuna mira iridata. La ratifica dell’ovvio che serve a definire ancor di più i ruoli…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing