La bandiera a scacchi del Gran Premio di Singapore è stata sventolata circa 48 ore fa ma la gara non ha smesso di far parlare di sé. Tanti i temi emersi e tutti degni di essere affrontati ed approfonditi: la Ferrari che rompe il digiuno durato oltre un anno, la Mercedes che ci prova senza riuscirci, la McLaren che consolida la sua ascesa, la Aston Martin che precipita nell’anonimato e che catalizza i riflettori solo per il botto clamoroso di Lance Stroll che quest’anno è stato la palla al piede di un team che non ha compiuto il salto di qualità definitivo perché è come se in pista avesse girato solo la AMR23 n°14.
Di questi argomenti, chiaramente, quello che tiene banco tra i team concorrenti è la questione Red Bull il cui improvviso arretramento prestazionale è tutt’ora motivo di dibattiti e studi tra gli ingegneri di Milton Keynes capeggiati da un Adrian Newey che è apparso piuttosto corrucciato nelle inquadrature che di tanto in tanto la regia internazionale mandava sugli schermi.
Red Bull vuole allontanare quelle fastidiose voci secondo cui l’entrata in vigore della Direttiva 018 e il rafforzamento della 039 circa la flessibilità dei fondi abbiano messo in crisi un meccanismo perfetto. Qualcuno, nel paddock, ha alluso al pavimento rivisto introdotto a Marina Bay che serviva proprio per rispondere al giro di vite federale. Il fatto – questa la teoria – che non abbia funzionato in prima battuta sarebbe una conferma di certe difficoltà d’adattamento.
Il ritorno alla configurazione precedente avrebbe imposto un assetto meno consono (vettura più alta) per controllarne la flessione con i noti problemi che sono emersi. Congetture per ora non provabili. L’unica cosa evidente è stato il comportamento critico della RB19 che per la prima volta in stagione era poco precisa all’avantreno e presentava un posteriore molto leggero. Anomalie acuite dal layout di Marina Bay e che Suzuka dovrebbe riportare sui binari della normalità.
Le devianze, palesatesi come un pugno nello stomaco, hanno lasciato qualche preoccupazione tra i campioni del mondo che hanno provato ad ostentare tranquillità. Verstappen, Horner, Marko, Monaghan, quasi in coro, hanno parlato di evento sporadico pur senza spiegare la natura delle difficoltà che sono deflagrate sin dal venerdì nel quale il pilota olandese, in team radio sempre più infuocati, non ha nascosto le frustrazioni per una vettura che non assecondava le sue richieste.
Gli avversari sono tutto sommato sulla stessa lunghezza d’onda. Carlos Sainz, il vincitore del Gp di Marina Bay, ha lucidamente ammesso che non si attende una RB19 in sordina sull’iconico tracciato di Suzuka. Stessi concetti espressi da Frédéric Vasseur e dai team principal rivali, da Andrea Stella a Mike Krack.
Al coro dei realisti si è aggiunto anche Toto Wolff che, nella continua e per ora vana rincorsa ad una vittoria di tappa, non s’aspetta che il tracciato del Sol Levante possa essere il luogo giusto per centrare il bersaglio. Né ritiene che le puntualizzazioni federali sull’applicazione del regolamento a mezzo direttiva abbiano determinato il cambio di scena.
“So benissimo cosa vuol dire presentarsi a Marina Bay con una vettura dominante e non riuscire ad ottenere una prestazione in linea con il proprio standard. Sono certo che quello che è accaduto alla Red Bull non abbia a che fare con la direttiva tecnica“, ha argomentato il manager viennese.
Singapore, in effetti, è spesso coinciso con fasi critiche per le Mercedes dominanti che, arrivate tra i muretti di Marina Bay, smarrivano forze e virtù salvo poi ritrovarle di colpo. Un’anomalia che a Brackley non si sono mai saputi spiegare e che a Milton Keynes nemmeno hanno fatto. Se non è kryptonite si tratta di qualcosa di simile.
Quello che resta nel clan anglo-austriaco è un senso di incredulità che pervade, a diversi livelli, anche gli occupanti degli altri box. Lewis Hamilton, dopo aver agguantato il podio sul filo di lana, ha ammesso di non aver capito perché la Red Bull si sia trovata così fuori ritmo. Una condizione inedita per il campionato cannibalizzato dal rivale olandese ma che, secondo il sette volte iridato, ha rappresentato aria fresca per l’intera categoria che si stava passivamente abituando al ruolo di spettatore non pagante.
Hamilton ha riferito che è positivo il compattamento che si è visto nello scorso weekend e che potrebbe essere sintomatico di distanze che via via vanno colmandosi. “In Red Bull hanno meno tempo a disposizione in galleria del vento e dunque probabilmente si sono già concentrati sulla vettura dell’anno prossimo. Credo che la dinamica che si sta verificando è quella di una Red Bull già concentrata sul 2024, mentre noi e altri team stiamo ancora cercando di sviluppare le vetture attuali. Sarà il tempo a dirlo”.
La prospettiva offerta dall’anglo-caraibico è interessante perché ricondurrebbe ad una squadra che sta provando a preservare il vantaggio acquisito anche per la prossima campagna sportiva. Ma in realtà non coglie del tutto il focus. Anche Ferrari – che in Giappone potrebbe introdurre delle modifiche al fondo – e Mercedes hanno di fatto preso a operare in chiave 2024. E se propongono delle novità (marginali, invero), lo fanno solo per testare così da tenerle pronte per le macchine che sono in fase di sviluppo nelle rispettive factory.
A questo punto della stagione e con una classifica ormai delineata nella posizione d’avanguardia, nessuno vuole – e può – investire ulteriori risorse rischiando di auto-penalizzarsi in relazione al futuro di breve periodo. Ecco perché l’idea che Red Bull abbia semplicemente sbagliato l’approccio alla gara, così come avvenne in Brasile, l’anno passato, è molto convincente. A meno che la delibera della TD018 non abbia fatto davvero dei danni. Ma questo lo capiremo solo tra cinque giorni.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1TV, Mercedes AMG F1