Si può immaginare di disputare un mondiale di F1, la massima espressione tecnologica nel motorsport e non solo, con il “braccino corto”? Sì se ti chiami Red Bull e hai un vantaggio talmente grosso da essere imbarazzante. Per la concorrenza, ovviamente, che in due anni, invece di ricucire lo strappo che lento e inesorabile è iniziato ad aprirsi l’anno scorso, ha perso ulteriore terreno fino ad accontentarsi di una singola vittoria in 16 gare di un monologo dal gusto di una bevanda energetica.
La sottolineatura non è casuale: Red Bull, da produttore di bibite, ha letteralmente messo in scacco colossi mondiali dell’automotive e lo ha fatto non solo con i capitali, ma soprattutto con la forza delle idee. Concetti talmente avanzati da vincere gli effetti negativi incrociati di una penalità e del meccanismo dell’Aerodynamic Test Regulation, un balance of performance ammantato da un nome più accattivante, che prova ad azzoppare i puledri più vigorosi.
Nel frattempo chi guida le operazione in quel di Milton Keynes gongola. Christian Horner è l’emblema della continuità visto che è in sella al team dal debutto della scuderia nella massima serie, evento datato 2005. Un piccolo record per chi aveva assunto quel ruolo ad un’età alla quale nessuno lo aveva fatto. Diciannove stagioni, sei titoli costruttori, altrettanti piloti che stanno per diventare sette (bastano soli tre punti in Qatar per consegnare il terzo alloro a Max Verstappen), 107 vittorie in 367 gare, qualche altro record assortito. Numeri da capogiro per un’azienda che non aveva mai operato nel mondo dei motori e che tale realtà se l’è presa quasi con prepotenza.
Lo “Spice Boy”, nomignolo affettuoso che Horner ogni tanto vede affibbiarsi per la relazione con la ex cantante del quintetto inglese, è conscio che quanto fatto quest’anno sia difficile da ripetere e che bisogna provare a cavalcare l’onda per continuare a godere dei benefici di un vantaggio tecnico importantissimo e che si vede veramente quando i piloti hanno bisogno di spingere.
Basti pensare, per darne la cifra, che durante il Gp del Giappone il miglior giro in gara di Max è di 1.1 secondi più basso di quello di Lando Norris su una McLaren in costante crescita. Un abisso che qualcuno reputa incolmabile nel giro di un solo inverno.
Il successo della Red Bull in campionato – e sembra un’assurdità se messa in questi termini – nasce proprio dalla penalità la cui scadenza è imminente visto che aveva una valenza di dodici mesi ed è scattata nell’ottobre del 2022. Da quel momento, stante le ulteriori limitazioni aerodinamiche che si sommavano a quelle previste dall’ATR, i tecnici hanno dovuto lavorare su parti che non prevedevano il solo uso della galleria del vento. C’è un passaggio di un’intervista di Horner rilasciata dopo la gara di domenica scorsa che è eloquente:
“I regolamenti sono stabili, quindi abbiamo lo stesso telaio e lo stesso cambio dell’anno scorso. Molte cose siamo riusciti a portarle anche per quest’anno. Il team ha fatto un ottimo lavoro per sviluppare in modo efficiente la vettura, ridurre il peso e mantenere questo tipo di prestazioni sui vari circuiti che abbiamo affrontato“.
A Milton Keynes, dunque, si è spinto sull’alleggerimento generale della vettura, un processo avviatosi con il pacchetto Imola 2022 che aveva iniziato a mettere le ali alla RB18, e sull’affinamento aerodinamico di un concetto che aveva subito dimostrato di funzionare e verso il quale tutta la F1 sta convergendo e convergerà.
Red Bull, a differenza di molti rivali, non ha dovuto stravolgere durante l’inverno o in corso d’opera, ha dovuto solo limare qualche asperità. Un processo naturale per una macchina vincente ma che è stato forzato dalle contingenze emerse a fine campionato scorso. D’altro canto Newey, Monaghan e Waché, il triumvirato tecnico dell’equipe austriaca, aveva lasciato intendere che, a seguito della penalità, si sarebbe spinto su determinate settori piuttosto che su quelli che prevedevano un massiccio uso della galleria.
Nel corso del 2023 la Red Bull è la vettura che ha presentato le minori evoluzioni, almeno per quanto riguarda ii top team. I campioni del mondo in carica si sono potuti permettere un approccio al “risparmio” iniziando a dirottare forze e risorse sul progetto 2024 che ha il compito di rintuzzare gli attacchi della concorrenza che, almeno a parole, pensa di aver capito cosa fare per chiudere il campo.
Di sicuro c’è che in Red Bull avevano vissuto la penalità come un atto di accerchiamento e la cosa ha generato una specie di boost psicologico, uno stimolo a spingere ancora di più. Marko e Horner avevano minacciato che la penalità li avrebbe caricati ulteriormente e così è stato. Tra l’altro la cosa ha permesso di individuare un nuovo ed efficiente modello che può essere usato anche ora che la situazione è tornata alla normalità. Se queste sono le premesse c’è da aver paura. Ovviamente tra le fila degli avversari.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing
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Per dirla con le parole dell'anno scorso di Totone Wolff, ecco che quel minimo di sforamento del budget cup ha fatto «la differenza tra vincere o perdere»... che poi abbiano saputo lavorare nessuno lo mette in dubbio, ma lo si sapeva già dall'anno scorso che lo sforamento avrebbe avuto ripercussioni “soprattutto” nelle annate a seguire... il 2023 ne è la prima dimostrazione.