Riavvolgendo il nastro del Gp del Giappone e focalizzandosi sulla prestazione di Sergio Perez facciamo prima a contare le cose fatte bene (poche, quasi zero) che quelle fatte male (troppe). Nel giorno in cui la Red Bull ha vinto il sesto titolo costruttori della sua storia è forte la sensazione che il contributo del messicano sia stato veramente esiguo e che il conseguimento sia da ascrivere, nella sua quasi totalità, alla fame sportiva di Max Verstappen che ieri, giusto per mettere le cose in chiaro, ha preso a randellate tutti vincendo in maniera autoritaria la tredicesima gara stagionale dopo l’intoppo di Marina Bay.
Chris Horner, un altro degli artefici riconosciuti del successo della scuderia che fu di quel visionario di Mateschitz, dopo la gara, ha parlato di coralità, di risultato d’insieme, di forza dell’equipe e di un Perez pronto a riprendersi sin dal prossimo GP di Losail. Un ritornello ascoltato più volte che non trasforma la realtà: il secondo posto in classifica del messicano è minacciato da un Lewis Hamilton che di certo non ha tra le mani una vettura che passerà agli annali della F1.
Perez è al terzo anno di coabitazione con Verstappen. Col crescere dell’esperienza la forbice delle performance tra i due è andata via via allargandosi fino a giungere ad una differenza quasi imbarazzante. Con uno come Helmut Marko a gestire i piloti sembra strano che Sergio l’abbia fatta franca. Sono alcune clausole contrattuali a tenere viva un’intesa che tale non sembra più essere.
I legali, proprio perché il team non è mai stato troppo convinto della scelta di Perez che era un pilota esterno al mondo Red Bull, gli avevano fatto firmare una clausola contrattuale che prevede la decurtazione di parte dello stipendio se la forbice in punti da Max Verstappen era troppo aperta.
La postilla si attiva se le lunghezze sono 125. Attualmente il delta tra due i piloti è di 177 punti e tende all’inesorabile aumento: a fine anno il messicano si vedrà quindi tagliato l’assegno. Ma non il posto perché, per contro-tutelarsi, ha preteso e ottenuto un’appendice che vieta al team di arretrarlo in AlphaTauri come accaduto con illustri predecessori che rispondono ai nomi di Alex Albon, Daniil Kvyat e Pierre Gasly.
Forse per questo il messicano si sente relativamente tranquillo nonostante il doppio annuncio col quale la squadra italiana ha confermato, per il 2024, la coppia Daniel Ricciardo – Yuki Tsunoda, due driver che potevano fare il grande salto nel team principale.
Piccola vittoria per Perez, ma a quali condizioni? Ormai la fiducia nel team rasenta lo zero. Marko ha rilasciato diverse dichiarazioni, alcune delle quali censurabili sulla provenienza del pilota, che lo fanno immaginare come un mezzo separato in casa. Horner cerca di gettare acqua sul fuoco ma ormai non sembra essere più convinto del ragazzo. La direzione tecnica imboccata è quella che porta ad avere auto sempre meno comode per il messicano e più cucite addosso a Verstappen. Una situazione che non potrà far altro che determinare l’allargamento della forbice tra i due.
La sensazione è che in Red Bull questa situazione possa essere tollerata finché saranno in grado di produrre una macchina così dominante come è la RB19. E se ciò non dovesse verificarsi l’anno prossimo? Se la concorrenza riuscisse davvero a chiudere il campo spezzando l’imperio totale dell’olandese? Allora sì che sorgerebbero problemi seri. Questo Perez, va ammesso senza ipocrisia, non sarebbe in grado di aiutare Max a vincere un titolo come seppe fare, ad esempio, nel 2021 quando si rivelò molto più utile di Valtteri Bottas che fu molle durante tutta la stagione.
E’ una situazione quasi paradossale, ma a Perez, se vuole tenersi stretto il sedile anche del 2024 prima di un certo addio nella stagione successiva, forse conviene che lo sbilanciamento prestazionale visto quest’anno si reiteri pure nell’annata ventura. I vertici della Red Bull possono tollerare una spalla molto debole se questa non incide sui piani sportivi. Ma cosa accadrebbe se, di contro, servisse un secondo pilota solido per portare a casa vittorie e titoli?
A quel punto servirebbe l’intervento diretto della dirigenza che, in barba ai contratti, avrebbe la forza economica di mettere in ghiacciaia il pilota di Guadalajara per sostituirlo con un altro driver. Anche perché, è giusto ricordarlo, gli stipendi dei conducenti sono esclusi dal budget cap. E il gruppo Red Bull non ha problemi di liquidità se volesse imbastire l’operazione.
Se fino a qualche tempo fa erano i fantasmi di Ricciardo e Tsunoda a volteggiare sopra Milton Keynes, oggi c’è quello di Liam Lawson, pilota che ha brillantemente sostituito l’australiano infortunatosi a Zandvoort e che possiede un’altra importante virtù: è un uomo del programma piloti Red Bull diretto da Mr. Marko. E sappiamo quanto ai campioni del mondo piaccia dare le proprie vetture a chi è cresciuto e si è formato nello junior team di cui il neozelandese fa parte dal 2019.
Le tre gare disputate da Lawson sono state più che convincenti per un pilota che è stato buttato immediatamente nella mischia con una vettura molto problematica quale è la AT04 visto che langue in ultima posizione nella graduatoria costruttori. Pochissimi punti quelli racimolati dal sodalizio faentino per i quali è arrivato il contributo decisivo proprio di Liam che, a Singapore, ha chiuso in nona posizione.
Per ora Red Bull continua a confermare la sua coppia piloti, ma sappiamo quanto queste siano state fluide nella storia della franchigia austriaca che si è sempre adattata alle necessità del momento. Perez è saldo al suo posto finché non servirà qualcosa in più di quello (poco) che ha fatto. Se la RB20 non sarà un martello come il modello 2022 ci saranno diversi problemi da affrontare per il buon Sergio…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia AlphaTauri, Oracle Red Bull Racing