“Verstappen – Perez è come Senna – Prost”. Non ce ne voglia nessuno dei citati e dei citanti, ma a noi sembra piuttosto di rivivere il duello tra ”Magic” Ayrton e Michael Andretti. Il tempo scorre veloce e realtà apparentemente delineate si sbiadiscono per mutare in altri scenari. Sono passati poco più di quattro mesi e la situazione in Red Bull è cambiata così drasticamente che le parole di Antonio Perez proferite in piena primavera sono invecchiate malissimo:
“Bisogna ricordare quando la McLaren aveva Senna e Prost, oggi è la stessa cosa. Sono due tigri nella stessa gabbia. Pensano entrambi allo stesso modo, si alzano con lo stesso obiettivo. Avete visto come cerchino di strapparsi il giro più veloce l’uno con l’altro? In qualifica vogliono la pole position, nelle prove libere vogliono essere i più veloci. Max ha un grande vantaggio, ma Checo ora può andare al suo ritmo. Credo che tra i due ci siano solo pochi millesimi di differenza a favore di Max. Ma sulle piste difficili li vedo alla pari“.
Così parlava il papà di Checo in una delle profezie più sbagliate della storia dell’umanità. Sergio si è fermato proprio a maggio. Da qual momento non sono arrivate vittorie ma errori, frustrazioni, tirate d’orecchie pubbliche, prestazioni che, in altri momenti storici e senza determinate tutele contrattuali, avrebbero portato al licenziamento in tronco o al declassamento nella controllata AlphaTauri che spesso ha rappresentato una sorta di cella detentiva per punire chi faceva male.
La situazione si è fatta così sportivamente drammatica per Sergio che il signor Antonio ha dovuto rivoluzionare il suo registro comunicativo ed ammettere che a Milton Keynes non c’è trippa per gatti messicani. “Checo continua a lottare – ha detto Perez senior – La monoposto è settata su Max perché lui guida con tutto il grip all’anteriore e Checo ha sempre guidato con il grip al posteriore. La posizione in cui si trova Checo è quella per cui è stato ingaggiato: arrivare secondo. C’è un solo campione e bisogna capirlo. Deve lavorare per questo e rispettarlo. Tutto questo è stato costruito affinché Max diventasse campione”.
La verità è che la stagione di Sergio muore a fine aprile, col GP di Miami. Da quel momento Perez entra in un tunnel dal quale non è uscito visto come sono andate le cose in Giappone, una gara nella quale sono stati sommati tanti di quegli errori da poterla ritener, senza offendere nessuno, un disastro totale.
Alla base di questa involuzione ci sono questioni tecniche secondo l’ex Racing Point. “Quando è iniziata la stagione, la macchina mi si adattava perfettamente, ma le auto si evolvono durante l’anno. Dopo Miami per me è stato un declino. Ho trovato un’altra macchina, che non mi si addiceva molto. Poi non sono riuscito a entrare in Q3 in alcune occasioni e questo ha influito molto sulla mia fiducia e mi ha fatto guidare molto più lentamente. È stato molto difficile. Perché quando guidi per un top team la pressione sulle prestazioni aumenta rapidamente”.
Valutazioni, quelle su riportate, che reggono fino a un certo punto poiché la RB19, nel comportamento e nella maniera in cui veniva settata, non è cambiata nel dipanarsi del campionato. La crisi del conducente di Guadalajara ha una natura più psicologica che tecnica ed è dipesa da fattori interni ed esterni. Il duello con un Verstappen famelico ha svuotato Sergio: un lavoro ai fianchi ininterrotto che alla lunga ha portato al cedimento.
A questo si sono aggiunti gli stimoli che arrivavano da fuori, da un team che non l’ha mai convintamente supportato e che, specie con Helmut Marko, sembra quasi godere nell’evidenziare pubblicamente le topiche per usarle in un paragone con fine esaltante della punta di diamante della squadra.
Proprio per provare ad uscirne fuori, per ora senza risultati apparenti, Perez si è messo nelle mani dell’esperto della materia mentale. “Quando si vive un momento così difficile al lavoro, è dura essere allegri a casa con moglie e figli. Per questo ho assunto un mental coach perché la mia famiglia merita di avere un padre allegro a casa. Insieme al mio allenatore, ho lavorato per diventare la migliore versione di me stesso sia casa ma anche come pilota”.
“Sono grato alla Red Bull per avermi dato l’opportunità di guidare per un top team. Dopo tutto sono un pilota che non proviene dal loro programma. Sarebbe fantastico se potessi concludere la mia carriera qui. Ma essere un pilota di questa squadra non è facile. La Red Bull lavora in modo diverso dalla maggior parte delle squadre. Ma è per questo che hanno tanto successo“. Parole che sanno di commiato che, probabilmente, si consumerà a fine 2024 con un rinnovo contrattuale che non arriverà.
Le opzioni sul tavolo di Horner e Marko sono diverse. Si va da quel Liam Lawson, pilota dello junior team dal 2018, alla coppia AlphaTauri che avrà un altro anno per distinguersi e meritarsi, eventualmente, il sedile della RB21 del 2025. Poi c’è la suggestione Lando Norris che si gonfia e si sgonfia come un palloncino. Ma altre potrebbero opzioni essere in fase di valutazione, nomi non ancora emersi e che potrebbero prendere quota in base a determinati incastri ancora impronosticabili.
Di certo, se il 2023 è stato un anno difficile, non meno semplice sarà la stagione prossima visto che Sergio correrà da dimissionario e probabilmente, ad un certo punto del campionato, sarà anche meno coinvolto nei briefing tecnici come accade con i piloti con la valigia pronta. Perez dovrà adeguarsi a questa realtà per evitare di crollare definitivamente in vista di una nuova avventura che può rendersi concreta solo se darà la sensazione di essere ancora un pilota abile ed arruolabile.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing