Scuderia Ferrari: problemi, criticità, fatica e preoccupazioni. Quattro paroline che perseguitano il team italiano. Lo fanno impunemente senza essere disturbate. Peraltro da tempo memore, oramai. Eppure non era questo il sogno di Enzo. Non si può vincere sempre, ok, ma nemmeno continuare a perdere riempiendo la bocca di giustificazioni. Meglio stare zitti allora. Anche se il silenzio, al giorno d’oggi, non è più apprezzato come una volta. Bisogna parlare, invece. Scrivere. Commentare tutto quanto, specie se di mestiere fai il giornalista o qualcosa del genere.
Nel farlo poniamo l’accento su alcune motivazioni espletate da chi, in questo momento, guarda tutti dall’alto verso il basso. Christian, 49 anni, un fottio di trofei in bacheca. Un paio collocati da poco. Britannico per eccellenza e formazione di pensiero, il team principal Red Bull si erige a saggio della tribù. Lo fa argomentando una questione altrui. Parla di Ferrari, interpellato da chi sa di fare centro con la propria domanda. Un po’ di polemica fa sempre bene, d’altronde.
Il concetto di Horner non fa una piega: “credo che il problema maggiore per la Ferrari sia che è un team nazionale. Deve tornare a essere una squadra corse. È un’istituzione italiana e probabilmente ci sono troppe persone ai vertici”. L’inglese ha detto una castroneria o il tasto dolente è stato toccato? Se così fosse, quindi, come diamine si esce da tale impasse? Il quesito è lecito ma dovrebbe prendere direzione Maranello, in concreto Via Abetone Inferiore 4.
Chissà cosa ne pensa John Elkann del ragionamento di chi ogni domenica trionfa. Sarebbe bello chiederlo direttamente a lui. Il newyorkese di nascita è l’amministratore delegato della Exor N.V., una società di investimento a capitale variabile controllata dalla famiglia Agnelli che, tra i suoi tanti e proficui investimenti, annovera pure la Ferrari. Il 31 maggio viene fregiato da un grande riconoscimento: “Cavaliere del Lavoro”. Parliamo di un’onorificenza istituita durante il regno di Vittorio Emanuele III, poi ereditata dal nuovo ordinamento repubblicano.
In partenza era destinato ai cittadini ma poi, anno 1923, venne ristretto ai soli imprenditori. Non importa se vivono all’esterno. Quello che conta sono i risultati ottenuti, segnalandosi in vari campi quali industria, agricoltura, commercio, artigianato o nell’attività creditizia e assicurativa. Il premio di cui sopra guadagnato da Philip Jacob, secondo e terzo nome di John Elkann, li venne conferito il 2 giugno 2021 dal presidente Sergio Mattarella in persona: Cavaliere del Lavoro nel settore dell’Industria automobilistica.
In molti sostegno che il nipote di Gianni Agnelli non sia la persona adeguata ad avere voce in capito per quanto concerne una scuderia di F1. Partendo dal presupposto che per sua stessa ammissione non è certo un esperto della massima categoria del motorsport, siamo così sicuri che “prendersela” solo con lui sia la cosa giusta? D’altro canto non risulta a nessuno che abbia dettato leggi particolari nella gestione del team. Al contrario ha concesso carta bianca a Frederic Vasseur e in precedenza a Mattia Binotto.
La squadra corse nominata da Horner in realtà esiste eccome e si “sbatte” come le altre. Anzi probabilmente pure di più, sebbene i risultati non siano all’altezza. C’è troppa gente che la controlla? Sono eccessive le menti designate a dirigere le sorti del Cavallino Rampante? Per caso, dire che rispetto a Mercedes e Red Bull il team di Maranello non possieda le medesime competenze tecniche suona così tanto a castroneria? Tutte domande alle quali rispondere risulta francamente assai complicato.
Una cosa è certa, in ultima istanza. I provvedimenti per cambiare le cose sono in atto e se da parecchi mesi l’obiettivo numero uno della Ferrari è quello di rimpolpare a livello tecnico il gruppo di lavoro un motivo ci sarà. Forse è proprio questo il vero punto focale della faccenda. Si perché se le rosse andassero forte in pista nessuno menzionerebbe questioni legate al nazionalismo. Così come le questioni legate a una dirigenza troppo folta a livello decisionale.
Con questo non volgiamo dire che l’eforato italiano si perfetto e scevro da colpe. Tuttavia se il reparto corse non avesse commesso diversi errori i ragionamenti sarebbero senza dubbio differenti. Nel ricordo di Abu Dhabi 2010, per esempio, conta poco, anzi zero, la direzione del team. Fu un chiaro errore strategico a togliere il meritato titolo a Fernando Alonso. Idem con patate nel 2012, quando la vettura non era all’altezza di Red Bull e lo spagnolo era costretto a miracoli partendo in quarta o quinta posizione quando le cose andavano bene.
Oppure nel binomio 2017–2018, dove le buoni basi di partenza vennero affossate da aggiornamenti non effettivi, errori al volante dei piloti e strategie assurde, avvantaggiando Mercedes non poco. Medesimo discorso nel 2022, quando oltre gli errori suddetti la competitività della F1-75 venne di fatto distrutta dalla direttiva TD039, provvedimento sul quale Ferrari non seppe reagire. Voi che ne pensate? Fateci sapere…
Autore: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Scuderia Ferrari