A volte è necessario fare titoli potenti per attirare l’attenzione. Ottenuto il vostro interesse è però necessario fugare ogni eventuale accusa di voler fare click bait, pratica tanto diffusa quanto combattuta da questa redazione. Questo pezzo racconterà, o quanto meno proverà a dar conto, di una F1 che si autoimpone certi modelli, come quello Las Vegas, senza forse esserne convinta appieno.
Quando si dice Formula Uno si intende un calderone all’interno del quale bollono diversi ingredienti: FOM (quindi proprietà), piloti, team, Federazione Internazionale dell’Automobile, media, spettatori fisici e virtuali. Anime che non sempre sono mosse dalle stesse pulsioni e dalle medesime passioni. C’è chi rincorre il business, chi vuole l’azione, chi sognerebbe la pura sfida tecnica, chi si accontenta del contorno e chi deve tenere insieme tutto questo con lacci spesso deboli scrivendo e applicando le regole del gioco.
Il Circus dei gran premi, da qualche anno, ha preso a spostare il suo baricentro operativo. La F1 sta sempre più rincorrendo i flussi di danaro. Sono mutate le caratteristiche geografiche della serie a seguito di uno spostamento del baricentro. Asia e Medioriente sono state le prime protagoniste del riassetto. Una parabola che segue il riordinamento dell’economia globale che prima degli anni ’90 era incardinata sul Nord America e l’Europa.
Negli ultimi decenni del secolo scorso alcuni paesi asiatici, grazie ad un progressivo sviluppo produttivo, hanno fatto da magnete smuovendo il fulcro del capitalismo industriale verso est. Nazioni come Taiwan, Corea del Sud, Singapore, Hong Kong (poi assorbita dalla Cina), Malesia, Indonesia, Thailandia e Cina stessa sono divenuti poli d’attrazione per produzioni di massa, a costi contenuti e con specializzazione via via più puntuale.
Produrre su vasta scala vuol dire sostanzialmente una cosa: necessitare di energia. Di quantità ingenti di petrolio, gas ed elettricità. Ed ecco che entrano in gioco altre realtà. I grandi detentori di risorse: Arabia, Qatar, Emirati Arabi, Russia (oggi estromessa per ragioni politiche) e gli stessi Stati Uniti. E qui veniamo al Gran Premio di Las Vegas, al fatto che sia stato necessario introdurlo nel calendario per renderlo una tappa stabile negli anni a venire.
La sensazione è quella di una F1 che ha dovuto necessariamente stiracchiare il calendario per accogliere altre realtà. A partire da quegli States che oggi, con tre gare, fanno man bassa rispetto ad altre nazioni. Noblesse obblige quando la proprietà del carrozzone ha sede a Englewood, Colorado.
“L’evento sportivo più atteso dell’anno”, queste le parole testuali di uno Stefano Domenicali che, arrivato a Las Vegas carico di entusiasmo e tracimante d’orgoglio, aveva ammonito che tutti gli occhi del mondo sarebbero stati rivolti verso il Nevada. In effetti così è stato, ma quel che si è visto, almeno durante il primo, disastroso, giorno di lavoro non è stato di certo lo spot alla F1 che il manager imolese e il suo gruppo di riferimento s’aspettavano.
Quello che era accaduto nelle prime libere e tutto lo strascico successivo (tifosi mandati a casa senza troppe cerimonie, Fp2 ritardate nel cuore della notte e pista rimessa in sesto con un po’ troppa placida calma) non aveva reso il clima più sereno dopo le parole velenose di un Max Verstappen che, baluardo della tradizione, si era scagliato contro la presentazione dell’evento e contro tutto il corredo che distoglieva l’attenzione da questioni tecniche e sportive. Cose ribadite anche prima delle qualifiche.
I cinquanta giri della gara hanno di colpo cancellato critiche e polemiche. Toto Wolff, dopo l’episodio del tombino, era stato profetico affermando, con un linguaggio che solitamente non gli si confà, che si trattava di una “cazzata” e che dopo due giorni nessuno ne avrebbe più parlato. Noi siamo qua a farlo, ma la previsione del boss della Mercedes si è realizzata con una puntualità disarmante.
Ricordate il Frédéric Vasseur che, irato, lanciava fulmini dopo una Fp1 abortita sul nascere? Beh, ieri la rabbia si è trasformata in piena soddisfazione. Un cambio di passo mediatico con Las Vegas che viene promossa a pieni voti: “La pista? Quando sei al muretto non vedi mai il quadro globale della gara, ma credo che questa sia stata eccezionale. Lo spettacolo è stato bello, così come l’evento. Ci sono stati molti sorpassi durante la gara, per tre o quattro volte è cambiato il leader e credo sia stata una delle migliori gare della stagione. Dobbiamo mantenere questo elemento come standard“.
Che partano i giri di valzer, evviva l’incoerenza. Finita qua? Nemmeno per sogno. Max il lottatore, il decostruttore sistemico, il bug che doveva far esplodere il meccanismo, s’è messo addirittura a cantare “Viva Las Vegas” dopo aver tagliato il traguardo a seguito una gara non semplice che lo ha visto comunque e noiosamente vittorioso. Sì, sempre lui, solo lui. Il teorico del “pagliaccesimo formulistico” che si fa colonna del sistema vituperato fino a 24 ore prima:
“Credo che la gara sia stata divertente e bella […] Tutti si sono divertiti e per me è stato un GP movimentato con tante cose che successe. Mi sono divertito. Ho sempre pensato che sarebbe stata una bella gara per via del lungo rettilineo, e questo non è mai stato un dubbio per me. Non è stata una delle vittorie più semplici perché ho continuato a spingere dall’inizio e per fortuna siamo tornati davanti alla fine”. Sorge il dubbio che Domenicali abbia richiamato un po’ tutti all’ordine. Provocazione, s’intenda. Ma, a volte, a pensar male…
Poi, per onore del vero, ci sono anche quelli che non se ne sono mai lamentati dell’evento americano. Leclerc è tra questi: “Non penso che ci potesse essere gara migliore per la prima volta qui a Las Vegas. L’energia che si respira in città è incredibile e sono davvero contentissimo. A me è piaciuta molto e spero che ci possano essere altre gare come questa perché è stata molto divertente”. Queste le parole del monegasco dopo un rocambolesco secondo posto. Barra dritta.
Nella schiera di coerenti ci sono anche i bachettatori, quelli che puntano il dito e scandiscono il sonoro e fastidioso “ve l’avevo detto!” Lewis Hamilton ne è il portabandiera: “Sono grato che la gara sia stata emozionante. Non mi aspettavo che la pista fosse così bella, ma c’erano molte sfide e opportunità di sorpasso. Per tutti coloro che sono stati così negativi sul fine settimana, penso che Las Vegas abbia dimostrato che si sbagliavano”.
Poi c’è la terza via, quella dei recensori equidistanti. Tra questi Fernando Alonso che s’era detto impressionato dal lavoro svolto dagli organizzatori della gara ma che, contestualmente, si rammaricava per una pista piuttosto banale e un asfalto con scarsa aderenza. Forse è questa la linea descrittiva più corretta? Chissà.
In ogni caso, solo il tempo ci dirà se quello del Nevada sarà stato il più grande avvenimento sportivo dell’anno. Il weekend in crescendo e i pareri degli entusiasti a spada tratta o di quelli che hanno mutato opinione (cosa lecita, ci mancherebbe) non devono nascondere le criticità emerse. E il pensiero non va solo al venerdì horror, ma soprattutto ad una pista piatta, anonima, che sa di già visto in una F1 che sta standardizzando layout iper-veloci tra muretti minacciosi. Scintillii con pochissima anima.
Si è vissuta la sensazione di non capire, in alcuni momenti, se fossimo a Las Vegas, a Jeddah o in qualsiasi altro catino ricavato laddove normalmente circolano le auto di tutti i giorni. E’ questa la F1 del futuro? A sentire certi pareri che vengono dalla pancia del paddock la risposta è sì, ma i tifosi vogliono davvero questo? E qui pare esservi una discrasia tra ciò che Liberty Media vende e quanto la fan base percepisce.
Numeri alla mano Las Vegas è stato il Gran Premio con la settima audience totale della stagione. Bene, ma non un successone che faccia gridare al miracolo. La gara s’è lasciata apprezzare ma non di certo per la conformazione del tracciato. Ancora una volta è stato il DRS che ha movimentato il tutto con l’aiuto di quelle safety car che contribuiscono sempre a sparigliare le carte. Insomma, nulla di nuovo sotto la sfera dalle immagini cangianti. Allora viva Las Vegas, araldo della nuova F1 che tanto piace. Oltreoceano.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, Oracle Red Bull Racing