Un anno fa, di questi tempi, Frédéric Vasseur prendeva possesso dei suoi nuovi uffici dopo che le figure apicali della Ferrari, John Elkann e Benedetto Vigna, avevano deciso di operare un rimpasto in seno alla Gestione Sportiva col quale si andava a sostituire Mattia Binotto che non aveva portato i risultati sperati nella sua amministrazione. Il compito del dirigente francese era quello di ristrutturare il funzionamento del team sotto molti aspetti: tecnico, logistico, sportivo e procedurale.
Un’operazione grossa, molto meno marginale di quanto si potesse immaginare. Un lavoro ancora in divenire e che ha costretto la Rossa ad un 2023 sportivamente funesto che non può essere salvato dalla singola vittoria strappata alla Red Bull in quel di Singapore da Carlos Sainz. Il finale in crescendo non lenisce la delusione per il terzo posto nella classifica Costruttori che rappresenta un passo indietro rispetto al 2022.
Per compiere la “rivoluzione Vasseur” serve ancora del tempo. Molti comparti sono stati rimodellati, altre cose restano da fare. Per compiere l’opera è necessario insistere su una campagna acquisti necessaria a rimpolpare aree nevralgiche dello staff tecnico. Ma negli ultimi tempi potrebbe essere sorta una difficoltà che nulla ha a che vedere con i processi decisionali della Ferrari. Il contesto potrebbe essere diventato avverso a causa di alcune scelte politiche operate dal governo italiano in carica. Vediamo.
Senza perdersi in troppi tecnicismi fiscali e provando a sintetizzare, il cosiddetto decreto crescita, nel suo articolo 5 pensato per il “rientro dei cervelli”, aveva come ratio quella di favorire l’arrivo in Italia di lavoratori residenti all’estero grazie a un regime fiscale agevolato (ovviamente per le aziende che usufruiscono dello sconto sul costo del lavoro) a partire dal primo gennaio 2020. Questa norma è stata molto utile nel mercato del calcio dacché i giocatori che arrivavano nel Belpaese, ai fini del calcolo Irpef, avevano potuto godere di sgravi fino al 50%. Soldi pesanti.
Questa condizione, chiaramente, non si applica solo al mondo del pallone ma a qualsiasi tipo di lavoratore che soddisfi le caratteristiche individuate dal testo della legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale all’inizio dell’anno 2020. Ora tale quadro fiscale è stato modificato con l’abolizione dei vantaggi di cui sopra, tant’è che l’ambiente della “sfera di cuoio” è in subbuglio per le certe negative ripercussione che rendono la Serie A ancora meno competitiva rispetto ad altri campionati nazionali che viaggiano a velocità supersoniche, come la Premier League.
La disciplina introdotta dal Governo Meloni rende meno vantaggioso, da un punto di vista puramente fiscale, il rientro dei lavoratori sul territorio cisalpino. Il decreto, nella sua versione aggiornata, prevede, difatti, una riduzione sugli sconti fiscali per le competenze che giungono dall’estero “senza requisiti di elevata qualificazione o specializzazione“, categoria nella quale rientrano i professionisti sportivi. Quindi i calciatori.
Qualcuno ha immaginato, forse non sbagliando concettualmente, che la scure governativa potesse calare anche sul mondo del motorsport. Ma le cose non dovrebbero stare proprio così. Un ingegnere e un meccanico con un particolare know-how sono tutt’altro che professionisti manchevoli dei requisiti di “elevata qualificazione o specializzazione”.
Un ingegnere, in termini professionali, rientra tra le categorie che continuano a beneficiare dell’agevolazione. La norma, nel delineare l’ambito soggettivo di applicazione della stessa ai lavoratori altamente qualificati o specializzati, fa rimando al Decreto Legislativo n. 108 del 2012. Il quale, a sua volta, delimita tale categoria ai livelli 1, 2 e 3 del CP, ovvero delle Classificazioni Professionali. E il livello 3 include tutte le professioni tecniche.
Parlando quindi di Irpef, è anche lecito dire che sia il lavoratore a risparmiare, solo che le tasse, nel caso di redditi di lavoro dipendente o ad esso assimilato (il rapporto di lavoro ingegnere-team rientra in quella categoria reddituale) le versa materialmente la società in quanto opera da “sostituto d’imposta”.
L’allarme risuonato in questi giorni, per quanto evidenziato, è da ritenere infondato. O quanto meno non esageratamente rumoroso poiché alcune figure professionali non altamente specializzate potrebbero operare nel nuovo contesto normativo. Ma non si tratta dei target ai quali sta puntando il Cavallino Rampante che ha la necessità di introdurre alcuni uomini per rimpinguare comparti tecnici che richiedono una superiore competenza.
I problemi, invece, potrebbero sorgere nel momento in cui la Ferrari andrà a rinnovare i contratti di Charles Leclerc e di Carlos Sainz. Il pilota è uno sportivo in senso stretto e non un tecnico, ragion per cui oggi beneficia delle agevolazioni fiscali di specie solo limitatamente ai compensi pattuiti prima del 31 dicembre 2023. Il beneficio si sarebbe potuto “estendere” solo in caso di rinnovo del contratto entro la suddetta data.
I driver, tornando all’incipit dello scritto, sono equiparati ai calciatori e quindi Maranello dovrà fronteggiare questa evidenza anche se, come noto, ciò che riguarda i conducenti è escluso dai vincoli del tetto di spesa imposto dalla Formula 1 che però può generare altri tipi di difficoltà per la storica scuderia italiana e che vedremo di seguito.
Al di là di quanto sopra riportato, una vicenda che va sgonfiata prima del nascere, insistono delle difficoltà nella campagna di rafforzamento della Ferrari che dipendono da due fattori slegati ma che operano all’unisono: cost cap e lontananza geostrategica dal cuore della F1. Sul primo fronte le norme fiscali sono molto incatenanti. I team non hanno a disposizione ingenti cifre da investire per il personale. Squadre della grandezza della Ferrari hanno dovuto ridurre i ranghi o riallocare risorse in altri contesti. In questa chiave va letto il programma WEC che è servito anche per non tagliare personale in eccesso in una scuderia che ha dovuto snellire le sue fila.
Con questo scenario operativo è chiaramente più complesso portare personale se non ne esce altro. Resta l’altro problema atavico (secondo fattore) che Maranello incontra nel suo incedere: la ritrosia di molti uomini ad abbandonare la “Silicon Valley” della F1, quell’area in Inghilterra dove sono allocati praticamente tutti i team eccezion fatta per la Ferrari, Haas e, parzialmente, per l’AlphaTauri che ha alcune antenne in terra d’Albione grazie al legame con Red Bull. In questo caso non si tratta di regimi fiscali vantaggiosi, che in certa misura lo sono anche, ma di maggiori possibilità che una zona ad elevatissima specializzazione offre anche nell’indotto.
La mobilità lavorativa e le potenzialità di crescita sono molto più elevate che in Italia dove pure esiste un’area a grande vocazione motoristica. Ma meno votata alla Formula Uno. Di questa dinamica ne è perfetto specchio la storia di Adrian Newey, il re dei tecnici del motorsport, che a più riprese ha riferito di aver rifiutato la Ferrari per quella ritrosia a lavorare lontano dall’Inghilterra.
Vasseur e i responsabili delle risorse umane della Ferrari, quindi, devono preoccuparsi marginalmente della nuova versione del Decreto Crescita che non produce gli effetti negativi creati invece dalle norme fiscali introdotte dalla F1 con il benestare dei team. Cosa che si lega alla storica allocazione di competenze in Gran Bretagna. Scogli che la Ferrari, anche in passato, ha saputo aggirare e che potrebbe superare anche nel presente e nell’immediato futuro.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari