Un lustro, anche per Ferrari, in F1 è un intervallo di tempo sufficiente per esprimere un giudizio (anche esterno) su un gruppo di lavoro. Analizzando le ultime cinque stagioni del Cavallino Rampante, a partire dal 2020, i risultati conseguiti dalla gestione sportiva sono stati fortemente deficitari. Su 97 eventi, le monoposto di Maranello hanno conquistato il successo solo in sette occasioni. Nel frattempo, si è consumata la rivoluzione dei quadri dirigenziali dopo la stagione 2022, iniziata secondo i migliori auspici ma terminata con l’involuzione tecnica che ha posto fine ai sogni di gloria ancor prima della pausa estiva.
L’arrivo di Vasseur è stato comunque importante, poiché il team era abituato da anni a uno stile manageriale autarchico, in parte influenzato dalla filosofia di Marchionne. Tuttavia, restare chiusi nel proprio guscio è una buona pratica solo quando si gode di un vantaggio tecnologico sulla concorrenza; al contrario, può diventare un limite, poiché acquisire metodi, processi e know-how attraverso l’ingaggio di tecnici provenienti dalla concorrenza è la “scorciatoia” più rapida per colmare un gap in termini tecnici o di processo formativo del gruppo.
Analizzando il personale del Cavallino Rampante rispetto alla disastrosa stagione 2020, si evince che in Via Abetone Inferiore 4 si è evitato il fisiologico turnover che la maggior parte delle scuderie effettua in questi casi. In diverse aree tecniche della gestione sportiva sembra che il tempo si sia fermato. “Squadra che vince non si cambia”, si suol dire in diverse occasioni. Ciononostante la storica scuderia italiana ha seguito alla lettera questo famoso proverbio, sebbene il gruppo di lavoro abbia avuto tempo e risorse per progettare e realizzare progetti tecnici vincenti, senza però riuscirci.
Le uscite di figure storiche della Ferrari hanno riguardato soprattutto enti di staff (Comunicazione, Relazioni Esterne) e ruoli apicali, sollevati dai rispettivi incarichi perché ormai a livello mediatico invisi ai fan della rossa. Binotto, Inaki Rueda (in gardening leave) e Xavi Marcos, che da tempo avevano dimostrato l’incapacità di riportare il gruppo di lavoro ai livelli di eccellenza. C’è poi chi ha sbattuto la porta platealmente, come nel caso di Enrico Cardile, nonostante fosse una delle poche mosche bianche ad aver continuato la propria crescita professionale all’interno del team modenese.
Cinque stagioni in F1 rappresentano un’era geologica, eppure, nonostante gli insuccessi recenti, le seconde e terze linee dell’organigramma della Ferrari faticano ad emergere. Dal 2020, solo Ravin, Tondi e Ioverno sono stati “promossi” per colmare le “falle” dovute all’uscita o alla ricollocazione di altri membri del team. Quando Vasseur parla della necessità di avere più coraggio nelle scelte, questo approccio non deve limitarsi al solo mindset durante i weekend. I migliori tecnici della concorrenza difficilmente abbandonano il Regno Unito e puntare sui giovani non è più un’opzione ma una scelta obbligata.
Per troppi anni Ferrari ha affidato le proprie sorti sportive in F1 a un personale che, inconsciamente, operava in una sorta di comfort zone, dove il successo assoluto non era il reale obiettivo della stagione. Quando un gruppo di lavoro opera insieme per tanti anni senza raggiungere il successo, ci sono due possibilità: o l’organizzazione non valorizza il talento, oppure manca il talento stesso. È importante precisare che stiamo parlando di figure professionali che rappresentano l’eccellenza nel motorsport, ma anche a questi livelli esistono categorie.
Assodato che le migliori menti dell’oltremanica sono insensibili al fascino della storica scuderia modenese, l’unica opzione è trattenere i talenti sicuramente presenti all’interno della GES, come dimostrato dal recente trasferimento di Daniele Cortesi, ex Senior Engine Engineer Ferrari, alla Red Bull, e premiare il talento indipendentemente dalla posizione che occupa nell’organizzazione della scuderia italiana. La rossa è come una squadra di calcio che, con gli stessi giocatori, si classifica sempre nella stessa posizione, anche cambiando allenatori.
Il problema non è il coach (in questo caso, il team principal di turno) o i metodi di allenamento, ma lo spessore dei giocatori (ingegneri), che non hanno la stoffa per superare i propri limiti fisiologici. A settembre potrebbe essere annunciato Loic Serra come nuovo direttore tecnico, ma è inutile sperare che l’ingegnere francese possa essere la panacea dei mali della rossa. È tempo di rischiare, valorizzando l’ottimo materiale umano già presente tra le maestranze di Maranello, esattamente come predica, almeno a parole, il team principal del Cavallino Rampante.
Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat
Immagini: Scuderia Ferrari – F1Tv