Ferrari continua a perdere in F1 e lo fa anche in malo modo. Passi per Red Bull che continua stare davanti, ma per Mercedes e McLaren non dovrebbe essere così. Sino a Montecarlo compresa tutto pareva andare per il meglio. Due vittorie in campionato, fine settimana di gara sempre puliti e un netto passo in avanti su tutte le dinamiche che comprendono la pista. Poi arriva il tracollo. Il Gran Premio del Canada non fa testo sino a un certo punto. Una corsa dove la pioggia ha mischiato le carte, in cui il Cavallino Rampante ha sbagliato tutto e ha dovuto affrontare pure problemi di affidabilità.
È normale che una parentesi negativa possa capitare. Ricordiamo le parole di Vasseur: “Non eravamo fenomeni la settimana scorsa a Monaco, non siamo brocchi qui a Montreal“. Il discorso non faceva un piega e non avrebbe continuato a farla se abbandonata l’isola di Notre-Dame si fosse ristabilito l’equilibrio. Sostantivo maschile che ha reiterato la sua assenza nelle gare successive. Il caos si è impadronito del team e un passo dopo l’altro tutto è andato a rotoli. In altre parole, si è manifestata una condizione di fondo limitante che ha condizionato in maniera molto pesante il proseguo del mondiale.
Grande colpa va ascritta agli aggiornamenti, che a livello teorico dovevano rafforzare le ambizioni della squadra ma in realtà le hanno affossate. Update che dovevano offrire dai 2 ai 3 decimi di rendimento, sufficiente per acchiappare Red Bull, sfidarla ad armi pari e, perché no, offrire la possibilità alla Ferrari di lottare per il titolo mondiale. Questo il piano originale. Ma il simulatore driver-in-the-loop ha raccontato un sacco di balle. Il campo ipotetico era eccellente, gli stessi protagonisti lo dicevano. Quando però il contesto creato in fabbrica doveva essere validato in pista, la tragedia sportiva è andata in scena.
All’inizio c’era il beneficio del dubbio. Non è mai facile in questa F1 far funzionare nella maniera corretta gli sviluppi. Abbiamo visto diverse scuderie montare e smontare novità che poi hanno funzionato molto bene le gare successive. Ma la speranza che fosse questo il caso è durata molto poco, perché la verità purtroppo era un’altra: l’upgrade prodotto dal reparto tecnico capeggio da Enrico Cardile faceva acqua da tutte le parti. Non ha migliorato affatto la monoposto e, viceversa, ha dato il là a una serie di esami sul campo che in pratica non hanno fatto altro che aggravare la situazione.
Quando le cose non funzionano vanno corrette. Una banalità che però rende l’idea sul da farsi. L’obiettivo della storica scuderia italiana era anzi tutto capire quello che stava succedendo. Senza sapere quali sono le cause di un grattacapo, infatti, porre rimedio è del tutto impossibile. Si andrebbe a caso, per tentativi. Chissà… per qualcuno potrebbe pure aver funzionato, a volte. È successo in più occasioni di ascoltare ingegneri che non sono stati in grado di spiegare il perché di un contesto competitivo per poi, attraverso tentativi randomici, riuscire a mettere a posto le cose.
Non è il caso del team italiano però, che oltre a sbagliare difficilmente ha usufruito dei servigi altruistici forniti dalla dea beata. A questo punto dell’articolo diversi quesiti prendono forma. Uno dei più interessanti riguarda le metodologie impiegate da una scuderia di F1 in questi casi. In pratica parliamo delle modalità tramite le quali una squadra reagisce a questo tipo di ostacoli. Le misure che si adottano per sciogliere i dubbi, passare all’azione e mettere quanto meno una pezza alla tediosa “materia”. Pertanto la domanda è questa: come si è comportata la Ferrari?
La piattaforma aerodinamica della SF-24 non era più stabile. Ecco perché spingere al limite la vettura e accedere al massimo potenziale è presto divenuta una vera e propria chimera. Le novità hanno dato vita a una serie di problemi che di conseguenza hanno spinto il team a effettuare diversi cambiamenti (anche drastici) sulla messa a punto della monoposto. Un terreno minato, in quanto per capire al meglio cosa stia succedo si deve sperimentare. Tale scenario non ha risolto un fico secco per 4 weekend di fila. Risultato: in tutto questo tempo la vettura modenese ha “sottoperformato” alla grande.
All’interno di questa circostanza Ferrari ha preferito essere drastica. Lo ha fatto perché a detta del team “non era in lotta per nulla di importante“. Al contrario si sarebbe concentrata per ottimizzare il risultato. Da una parte il ragionamento è accettabile. D’altronde si pensava di risolvere i problemi in tempi brevi. Il target più saggio pareva quello sacrificare in parte i risultati per aumentare la comprensione sull’auto. Soffrire per un fine settimana per poi poter sfruttare al massimo le novità in quello seguente. Peccato che la manovra in questione invece di 7 giorni sia durata un mese e mezzo…
Dover guidare un vettura con setup mai testati e sconvolgere l’handling non è cosa semplice. In questo caso il pilota soffre, non massimizza e subisce l’onta di una prestazione sottotono. Tutto “in onore” della causa: capirci qualcosa per poi correggere. Le decisioni prese sull’impostazione da seguire sono calcolate da tecnici e ingegneri, perché in base a questi provvedimenti si spera di ottenere delle precise risposte. Scelte estreme che però inficiano tremendamente sui risultati, li compromettono e, viste da fuori per chi no sa cosa stia succedendo, non sembrano altro che errori tecnici concettuali.
L’aggressività in questo caso ha pagato? Altra bella domanda. Bisognerebbe chiederlo alla Ferrari. Considerate le lunghe tempistiche per mettere una pezza (sì perché il nuovo fondo dell’Ungheria non ha corretto ma solo limitato i danni) forse no. O sempre forse, adottare un’altra tattica avrebbe tardato maggiormente la parziale risoluzione dei contrattempi. Scovare l’origine primaria del problema ha compromesso i risultati in questi fine settimana di gara. Qualcosa di diverso, purtroppo, al riguardo non di può dire. Dispiace perché le basi per mettere assieme una stagione diversa c’erano tutte quante.
In ultima istanza due parole sul futuro a medio-lungo termine. Da quello che la nostra redazione ha di recente appreso, Ferrari crede (forse spera) di poter tornare a un livello di competitività alto. Uno status che permetta alle due SF-24 di sfidare i primi, magari batterli e continuare a nutrire il sogno mondiale costruttori. Essere confidenti in tal senso è cosa buona e non ci resta che attendere gli eventi per corroborare questa ipotesi. Il team ha in cantiere diverse novità tecniche che dovrebbero supportare l’anelito di cui sopra. Ci riferiamo a una fase di sviluppo che in questo momento è gestita da Tondi.
Diego, assieme al pool di tecnici sotto la sua supervisione sta profondendo il massimo sforzo. Si parla di un ulteriore versione del fondo. Specifica che vedrà novità anche nella zona della edge wing. Lo scopo in tal senso è massimizzare l’utilizzo delle pance rovesciate che, sebbene abbiano liberato diversi centimetri cubici nella zona del sottosquadro, al momento non hanno fornito i risultati attesi nel disciplinare le turbolenze generate dal rotolamento dello pneumatico tramite l’effetto outwash. Altre novità arriveranno sulle sospensioni, in particolare quella posteriore.
La cinematica utilizzata tramite lo schema pull-rod subirà alcune modifiche alle sue componenti interne. Il gruppo che si dedica alla dinamica del veicolo nutre la volontà di alzare l’interazione aero-meccanica della SF-24. Anche una nuova ala anteriore è in cantiere, così come un cofano motore differente nella parte superiore. Non possiamo escludere ulteriori affinamenti nella zona dei sidepod e in generale nell’area delle pance. Resta da capire la velocità con la quale la factory di Maranello produrrà questi aggiornamenti, tenendo a mente un fatto: sbagliare, d’ora in avanti è vietato…
Autore: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Scuderia Ferrari – F1Tv