Non vorrei svelarvi subito il terzo personaggio “pesante” del team di F1 Red Bull di cui vorrei parlarvi dopo Marko e Horner. Vi lascio un attimo di suspence. La scuderia campione del mondo in carica non è l’ultima in materia di “personalità importanti”, quasi come un cacciatore di taglie si rifornisce instancabilmente di interessanti bottini. E’ giunto il momento di spostare il focus su un altro “tipo” mica da ridere. Pronti? Jos Verstappen. Un nome, una garanzia. Un uomo, un pilota e un padre decisamente: “sui generis” che ha fatto tanto parlare di sé in questi anni…sia nel bene, che nel male.
Eppure anche lui, come del resto il figlio, Max Verstappen, era stato ritenuto un predestinato, uno nato per correre. Johannes Franciscus Verstappen all’anagrafe, nato in Olanda nel 1972, il suo primo titolo con i kart lo vince a soli otto anni, e a 12 si laurea campione nazionale. Quei piccoli bolidi gli davano la possibilità di respirare, almeno per qualche giro, l’ebbrezza delle corse in F1. Per dire della costanza: suo padre gli aveva regalato un kart in giovane età, costruito con le sue mani, sopra il quale Jos passava tutti i pomeriggi ad allenarsi duramente.
Dopo un paio di titoli europei, il nostro sceglie ufficialmente la carriera automobilistica. Non ancora maggiorenne abbandona gli studi e lavora per dei costruttori di motori olandesi. Nel frattempo, l’occasione che cercava: nel 1991, il salto di qualità, la Formula Opel. E non ci arriva di certo leggero lui, (non era e non è nel suo stile) ma ci zompa sopra con tutto il suo peso: primo tentativo, prima vittoria. Comincia poi a gareggiare con la Amersfoort Racing e nel 1993 vince la Formula 3 tedesca. La gavetta fa germogliare i frutti desiderati, e Jos riesce a guardare alla tanto ambita F1.
Le sue indubbie qualità attirano gli sguardi di Benetton e McLaren. Alla fine è il team anglo-italiano a spuntarla, grazie a un vantaggioso ingaggio che gli permette di guardare al futuro: la possibilità di correre almeno sei Gran Premi nel 1995 con Benetton. In quel periodo la fortuna continua a sorridere a Jos: durante i test pre-stagionali a Silverstone, un incidente (o forse una serie di gesti apotropaici abilmente messi in atto dall’olandese) provocano l’assenza temporanea di J.J. Lehto, e Verstappen diventa il secondo pilota della scuderia, scudiero di sua maestà Michael Schumacher.
Corre due gare, ma non riesce a concluderle (colpa di una collisione con Irvine e Brundle nella prima gara e di un testacoda occorso durante la seconda ad Aida). Poi il ritorno di Lehto, toccata e fuga, lascia subito il posto a Jos a partire dal GP di Francia. Probabilmente non era destino. Verstappen riteneva la monoposto troppo “nervosa” (non la pensava allo stesso modo Schumacher). Stesso commento che farà poi il suo successore Herbert. Ed effettivamente la macchina si ribella poco dopo. Durante il GP di Germania, Verstappen si ferma e va ai box per fare rifornimento.
Improvvisamente, la Benetton di Jos prende fuoco, e degli è avvolto dalle fiamme. L’incidente non è da sottovalutare, ma Verstappen riesce comunque a uscirne indenne, com’è nel suo stile, il classico passare tra le gocce di pioggia senza bagnarsi, e ne ricava soltanto qualche leggera ustione al viso. Ciò, ovviamente, non lo ferma. Continua a gareggiare ottenendo un paio di secondi posti in Ungheria e in Belgio, e un quinto posto in Portogallo. Lasciato poi il posto ad Herbert, conclude il suo primo campionato nella massima categoria con un non incoraggiante decimo posto e dieci punti conquistati.
Ciò che succede dopo è tutto in discesa. Ma non nel senso che la sua carriera decolla. Jos scivola inevitabilmente verso scuderie mediocri. Una clausola contrattuale lo lega ancora alla Benetton, ma la scuderia gli offre la possibilità di disputare l’intera stagione successiva con la Simtek. La S951 è effettivamente più competitiva dell’anno precedente, e nonostante la debole potenza del motore e i problemi di affidabilità alla trasmissione, Verstappen se la cava egregiamente. Poco dopo una stirata partecipazione al GP di Spagna però, la Simtek è costretta a chiudere per colpa delle difficoltà economiche.
A questo punto, Jos, è senza volante. Non ha un contratto per il 1996 e non può nemmeno sostituire Herbert in Benetton. Resta nel limbo. Prova a saltellare di qua e di là: prima la Footwork Arrows, poi la Tyrell e la Stewart, arrancando con il rischio di restare senza contratto per ben 3 anni consecutivi. Riesce a trovare un incarico come collaudatore nello sviluppo di un prototipo, per la Honda. Nel 2000 torna alla Arrows e nel 2003 è in Minardi. La sua carriera in F1 termina qua. Dopo sette anni di lontananaza dalla massima categoria, tra A1 Grand Prix e due edizioni della 24 ore di Le Mans.
Messo un punto alla sua carriera da pilota, Verstappen continua comunque a restare legato alla pista. Del resto, ce l’ha nel sangue, ereditato da padre pilota e appassionato di motori e madre, Sophie, anch’essa abile sulle quattro ruote, tanto da essere definita da Christian Horner come: “più veloce di me”. Sicuramente un uomo singolare, testardo e determinato, che si è “offerto” e ci ha offerto la possibilità di vedere suo figlio correre un Gran Premio di F1 e dare grande spettacolo. Max Verstappen. Generato, non creato, della stessa sostanza del padre.
Alert: non sto scimmiottando la fede cattolica, io stesso sono cattolica. Ma voglio usare questa frase del Credo per un parallelo interessante. Lungi da me paragonare Jos a un Dio, ma bensì sottolineare come egli abbia proiettato tutte le sue ambizioni e i desideri irrealizzati in suo figlio, che ha cercato di plasmare, per l’appunto, a sua immagine e somiglianza quasi come se fosse un prolungamento di sé, un appendice. Da lui ci si aspettava che avrebbe vinto, e infatti ha vinto, e per ben tre volte. E’ salito sul tetto del mondo. I metodi educativi di Jos ricevono sicuramente pareri contrastanti.
Lui che lasciava il figlio tornare a piedi a casa con tanto di tuta e casco come pegno della sua sconfitta, che lo parcheggiava in autostrada perché capisse il vero valore di una vittoria, o almeno, il valore che lui le attribuiva. I suoi metodi potranno apparire anche poco ortodossi, ma alla fine lo stesso tre volte campione del mondo olandese di F1, a quanto pare, pensa di avere ottenuto giovamento dai modi duri del padre. Situazioni che in qualche modo gli hanno reso la tensione da paddock e dalla pista una sorta di vera a propria passeggiata nella sua carriera.
Questo se pensiamo al duro allenamento fisico e “psicologico” al quale doveva sottoporsi con suo padre. Jos, è il verto idolo di Max. Ed è pur vero che la storia non si costruisce con i se e con i ma. Ma che sarebbe accaduto se quell’incidente del 1995 avesse procurato dei danni più gravi a papà Verstappen? Non avremmo mai visto correre suo figlio? O forse lui sarebbe stato più flessibile e più attento alle esigenze del figlio? Beh la cosa che possiamo dire per certo è: non lo sapremo mai. Perché Max c’è, e corre, e mette alle strette gli avversari. Beh, d’altronde, tale padre, tale figlio. Eh già.
Autore: Elisa Cuboni
Immagini: Oracle Red Bull Racing – F1TV