Queste parole avranno senso e saranno capite da chi, come me, è un grande appassionato di Formula 1. Questo è il mio ricordo di Ayrton. E lo scrivo prima di tutto per me. Non si tratta di farne un idolo o di “santificarlo”.
Era un uomo di profonda spiritualità che diceva di parlare spesso con Dio e che aveva scelto il rischio della velocità come “senso della vita”, animato dal sogno di superare Fangio e diventare il più grande di tutti nello sport motoristico per eccellenza. Figlio di una ricca e potente famiglia brasiliana. Personalità complessa e fuori dal comune. Tanto amabile fuori dal Circus della F1, quanto determinato e “feroce” agonisticamente.
Non l’ho mai conosciuto di persona, non sono mai stato un suo tifoso. Perlomeno quando era in vita. Lo sono oggi, che lui non c’è più, e devo ammettere che è abbastanza strano. Il problema è che devo fare ammenda, in qualche modo.
Ammenda di non aver capito, allora, di non aver assaporato appieno, allora, la grandezza di quello che per intensità e capacità, è stato il più grande pilota di Formula 1. Come lui solo Schumacher, che infatti da enfant terrible fu una delle “cause” indirette della morte di Senna. E che in qualche modo…oggi, si trova ad essere in una situazione drammatica che ricorda, purtroppo la morte, se non quella reale, certo quella agonistica.
Ricordo che in quell’inizio di mondiale, nel 1994, Schumacher batté Senna nella prima gara inducendolo all’errore nella gara inaugurale in Brasile, e mettendo addosso al pilota carioca una pressione enorme, complice una Williams ancora superlativa ma molto difficile da mettere a punto dopo essere stata defraudata dell’arma micidiale delle sospensioni attive. E dire che Senna era abituato alla pressione. Una delle pubblicità più belle di quegli anni mostrava il suo volto concentrato, con un bellissimo orologio al polso. Lo slogan era: “Don’t crack under pressure”. Diceva tutto di Senna. Dopo i primi appuntamenti mondiali di quel maledetto 1994, il piantone dello sterzo, modificato su sua richiesta con una saldatura che si romperà proprio quella maledetta domenica di Imola, e la sfortuna di quel braccetto della sospensione anteriore faranno il resto. Sorvoliamo pietosamente sulle inchieste, su cosa dissero i protagonisti sotto giuramento e via discorrendo. Senna mi era, allora, antipatico sino al midollo. Non ne discutevo il talento. Ma avevo 22 anni e per me esisteva solo la Ferrari. Ogni GP era vissuto con un’ansia spasmodica e ogni ritiro, ogni sconfitta, quasi come drammi personali. Contava solo che la Ferrari vincesse.
Senna aveva buttato fuori Prost, deliberatamente come egli stesso ammise, nel Gp di Suzuka del 1990 e quella cosa ancora bruciava nella pelle dei tifosi ferraristi. Eccome se bruciava. Quando vidi la Williams schiantarsi sulle barriere, ad Imola, davanti al televisore, mi misi ad urlare come un dannato. Forse saltai pure pieno di gioia. Ero contento che Senna fosse subito fuori. La Ferrari avrebbe avuto un’occasione in più per poter vincere la gara. Tuttavia, dopo pochi minuti, mentre lui non usciva dalla monoposto, compresi, come tutti, che qualcosa di terribile era successo. Solo dopo qualche ora arrivò la certezza ineluttabile. Il pilota più iconico, rappresentativo, celebrato della Formula Uno se n’era andato. E tutto il fine settimana era stato segnato dal lutto di Ratzenberger. Il volto di Senna, in quella Domenica, diceva, riflettendoci a freddo, di una nuova imminente tragedia. Ma tutto ciò che era accaduto in quei cupi giorni sembra, visto oggi, a mente fredda, la cronaca di due tragedie annunciate.
Ripenso spesso con pudore e vergogna a quella mia sciocca esultanza. Con il filo della memoria ho recuperato tante immagini di Senna che ora non posso fare a meno di “amare”: i suoi giri perfetti per la pole position, la sua guida sul bagnato, la sua capacità di guidare ai limiti anche con un cambio mezzo scassato. Le sue vittorie a Montecarlo. Il suo duello rusticano con Prost e il loro rapporto di odio-amore e infine rispetto reciproco. Tante belle o perlomeno intense e vere pagine di sport, con tutti i suoi caleidoscopici riflessi, immortalati da bellissime biografie che ho divorato; tutte cose che nessuno potrà portare via a tutti gli appassionati come il sottoscritto.
E poi…quel funerale da brividi, seguito da non so quante persone, in tutto il mondo, con Prost che porta la bara di Senna assieme agli altri piloti…
Poi restano altre cose: la vita di Senna fuori dall’abitacolo, i suoi pensieri mai banali, la fama e la leggenda che ancora oggi, in Brasile (soprattutto), e ovunque, parlano di Senna; e la consapevolezza che Dio vuole presto, a se, chi più ama…
Sono passati 22 anni e tutti parlano ancora di te Ayrton. Quante cose ci siamo persi, quante gare incredibili se tu fossi rimasto fra noi, magari guidando, finalmente, una Ferrari. Mi commuovo pensando a te. E mi commuovo sperando che tu, da lassù, possa dare un aiuto al tedesco, astro nascente mentre tu te ne andavi, affinché torni dal limbo in cui è relegato.
Eri, inutile girarci attorno, semplicemente, il più grande.
Mariano Froldi