«Io in fondo non sono niente, sono solo uno che ha sognato di essere Ferrari».
«Penso di aver letto tutti i libri su Ferrari sia italiani che stranieri, ma alla fine dei conti si raccontavano fatti oramai noti. Quello che ho voluto fare è stata una ricerca, il più possibile capillare, per poter andare ad approfondire quello che era l’uomo, non il personaggio; faccio un esempio, cioè il rapporto fra lui e Villenueve. La frase di Enzo relativa a Gilles, dopo la sua scomparsa (“Io gli ho voluto bene”) è sincera e relativa al dopo ma, prima che Ferrari imparasse a volergli bene, nell’autunno del ’77 lo voleva dare via e c’era quasi riuscito, lo aveva già scambiato ma se ne andò via Reutemann e quindi se lo dovette tenere; poi arrivò il ’79 e nacque il Villenueve che tutti abbiamo amato».
«Ho cercato di approcciarmi a Ferrari in modo storico. Mi ha ispirato una nota biografia, opera di Edmund Morris e relativa al 25esimo presidente Usa, Theodore Roosevelt; uno dei tre volumi si intitola: “Theodore Rex.” Poi, in una delle primissime interviste che ho fatto pensando a Enzo, nel 2004, in occasione dei 50 anni di presenza della Ferrari negli Usa, Phil Hill fra le tante cose mi disse: “Ferrari era come un re e noi eravamo i suoi cavalieri”; a quel punto già avevo in testa quel titolo, e le parole di Hill mi hanno dato la conferma definitiva».
«Assolutamente, e la cosa non mi scoraggiava, tutt’altro. Ho avuto due fortune. Una, che non ho conosciuto di persona Ferrari e ciò mi ha permesso di scrivere di lui mantenendomi sufficientemente oggettivo; tanti libri scritti da giornalisti che lo hanno conosciuto sono, per forza di cose, di parte; non possono essere, inevitabilmente, distaccati. L’altra grande fortuna è stata scrivere questo libro mentre lavoravo per la Maserati. Ho potuto conoscere personaggi come Franco Gozzi (dal 1960 al 1988 braccio destro di Ferrari, scomparso nel 2013 ndr), frequentandoli in modo quasi regolare. Non cercavo chissà quali segreti, ma queste frequentazioni davano modo a Gozzi e altri che ho intervistato di approfondire sui singoli argomenti noti e meno noti, raccontando la persona. Queste mie fonti, nel momento in cui si sono rese conto che stavo cercando di fare una cosa diversa rispetto agli altri, mi hanno permesso di approfondirne la conoscenza intima, senza mai nello stesso tempo tradire l’uomo che avevano conosciuto e rispettato. Faccio un esempio: ad un certo punto ho fatto una domanda a Gozzi su Dino, il primogenito di Enzo Ferrari. “Questa domanda non dovresti farla a me, ma a lei (rivolto alla moglie)”, disse Gozzi. E la signora Gabriella mi ha raccontato 15 cose diverse su Dino (con cui lei era cresciuta) che probabilmente non ha mai raccontato a nessuno. Altri mi hanno detto: “Questa cosa te la racconto non solo per te, ma la racconto perché secondo me è giusto farla per lui, per Enzo”».
«Ferrari non è stato più lo stesso dopo la morte di Dino; nelle settimane successive voleva smettere di correre (non di fare auto). E’ l’episodio discriminante della sua vita. Anche se dopo, Enzo Ferrari trova la forza per andare avanti altri 32 anni. Episodio più toccante, ma per il quale ho avuto più imbarazzo a scrivere per evitare di fare una cosa strappalacrime e anche per rispettare il dolore dei familiari. Certo, non puoi non commuoverti quando il figlio in punto di morte dice al padre, sorridendogli: “Papà è finita”».
«Ho avuto conferma di tutte le cose che avevo letto. Ad esempio che era un grande romantico e sentimentale. La versione di Enzo “sciupafemmine” è stata di recente anche sdoganata dal figlio (Piero). Ma la cosa è molto più “sofisticata”, perché è vero che ad un certo punto lui diventa un donnaiolo impenitente; ma prima cerca di far funzionare il rapporto con la moglie. Poi se vai a vedere la relazione con Lina, o con Fiamma Breschi, ti rendi conto che quest’uomo, a 60 anni, forse stava cercando ciò che probabilmente non aveva mai trovato. Un altro aspetto che mi ha colpito è la generosità di quest’uomo; sì, scorza dura, però vai a vedere tutta la beneficenza fatta e altre cose simili che non sono mai state reclamizzate.
A questo aggiungerei il fatto che lui era un grandissimo ottimista: ragazzi, a questo qua frana il mondo addosso e lui continua sempre a vedere il domani; ecco perché afferma che la macchina più bella è la prossima, così come la vittoria più bella. E’ un ottimista inguaribile…nelle lettere degli anni 20 che scriveva alla moglie leggi che non sta vincendo, ci sono pure delle scosse di terremoto a Reggio Emilia e lui dice: “Vabbè quanto meno c’è la salute!”».
«Enzo è, a mio parere, un personaggio “risorgimentale”; lui ha sempre capito quali erano i suoi limiti, era un autodidatta (che tra l’altro scriveva molto bene, con una calligrafia splendida) molto intelligente e di questo era conscio, ma c’era anche la sua consapevolezza di aver bisogno degli altri quando, negli ultimi anni, a più riprese, cominciò a ringraziare le persone che gli avevano permesso di essere Enzo Ferrari. Fu in sostanza capace di “fare squadra”».
«Pagina “meravigliosa” quando viene accusato da parecchi quotidiani e settimanali (per gli incidenti in cui muoiono piloti e spettatori, fra gli anni 50 e 60) e Enzo afferma: “Quelli che mi davano del genio il sabato mi davano del mostro il lunedì”; nel ’57/’58 era morto il figlio e Ferrari vacilla perché sente molto il discorso vita-morte, ma capisce che lui quello sa fare e quello vuole fare”».
«Il successo me lo auguravo ovviamente se non altro per le giornate spese in biblioteca (ci ho perso due diottrie a visionare i microfilm). Il discorso che è stato fatto, proprio di concerto con la casa editrice è stato di non andare a prendere solo gli appassionati di motore ma cercare di andare oltre. Adesso siamo tutti contenti di essere finalisti al Bancarella sport. Siamo pure finiti sui segni zodiacali, con citazioni dal libro, pensa un po’!»
«Certamente, sia nella produzione che nella Scuderia. Le Ferrari sono le macchine più sofisticate che ci siano, pur restando fedeli ai valori tradizionali della storia di Maranello. Una Ferrari rimane la Ferrari, l’importante è non tradire i valori del marchio. La stessa cosa in Formula 1. Mi dicono: “Non si vince tanto”. Ma pensate a quanti anni di digiuno ha avuto Enzo. Il segreto è continuare ad andare avanti. La Ferrari c’è sempre stata e sempre ci sarà. E’ una coerenza unica».
«Il seguito del mio primo romanzo (“La scuderia”), che come quel volume avrà a che fare con l’automobilismo degli anni 30, una storia d’amore e intrighi di politica internazionale».
«Gli direi di andare a vedere la storia di questo uomo, che ha creduto nel proprio destino. La sua storia avrebbe potuto interrompersi tante volte; lui avrebbe potuto lasciar perdere. In realtà ha avuto una tenacia che la maggior parte di noi comunque non ha. Quando lui dice: “In fondo io sono solo uno che ha sognato di essere Ferrari”, dice una cosa molto modesta ma molto veritiera. Io ad esempio lo paragono a De Gaulle. Uno dei tanti ufficiali che non rimane con Petain e dice: “Io sono la Francia” e ci crede, ma non glielo ha detto nessuno. La stessa cosa Ferrari. Ferrari crede di essere Ferrari e diventa Ferrari. Era un pilota buono ma non eccelso, non era un tecnico, ma è diventato il brand più conosciuto al mondo come Coca-Cola e Mc-Donald che vendono tutt’altri prodotti».
«Vettel, e ti dirò di più: la Ferrari ha uomini validissimi, l’importante è lasciarli lavorare con calma. E Marchionne queste cose le sa fare».