Luca Dal Monte ha la “vista lunga” dell’appassionato di Storia. Di chi, scoprendosi, desiderando fortissimamente (e ottenendo) una seconda vita da scrittore, tanto ha conosciuto e tanto ha visto del mondo dei motori a Maranello e dintorni. Lo scrittore, reduce dalle fatiche di “Ferrari Rex” (unanimemente riconosciuta come la biografia definitiva sul fondatore della scuderia di Maranello) e delle sue traduzioni internazionali lanciate negli ultimi mesi (ultima in ordine di tempo, l’edizione in lingua spagnola), è ai dettagli per il suo prossimo libro che ci svelerà i retroscena dell’Alfa Romeo in Formula Uno nella seconda metà degli anni Settanta. Una pagina di storia recente e poco conosciuta che gli appassionati di Formula Uno e gli alfisti aspettano da sempre. Lo abbiamo raggiunto a Cremona per parlare di Arrivabene, Binotto e dintorni.
Caro Luca, la befana, permettimi la battuta, si è portata via non solo tutte le feste ma anche Arrivabene, che termina così la sua esperienza da Team Principal in Ferrari, durata circa 4 anni…
«A mio parere la scelta di Binotto chiaramente ha molte implicazioni; già Marchionne aveva scelto di stare con Binotto, che però ora si trova a dover svolgere un ruolo che non conosce. Mi spiego meglio e basta guardare alla storia della Ferrari a partire dagli anni 60: quando va via Carlo Chiti ed arriva Mauro Forghieri, che per circa 25 anni è stato l’anima tecnica della Ferrari e anche qualcosa di più…ecco non è mai stato anche direttore sportivo, e di direttori sportivi ne abbiamo visti passare parecchi (compreso un giovanissimo Montezemolo), mentre Forghieri resta.Tornando a Binotto: era importante fare chiarezza; adesso però Mattia probabilmente dovrà imparare alla svelta tutta quella parte di lavoro che non conosce nella parte gestionale e politica. Teniamo conto che non c’è più Ecclestone con cui trattare ma che conoscevi da tempo; ora c’è Liberty Media che va studiata e capita, anche perché nessuno dopo due anni, forse neanche loro, sa esattamente cosa vogliono. Inoltre Binotto dovrà trovare un “alter ego” che, mentre da nuovo TP sarà occupato a gestire la politica (non tanto interna perché la sua promozione segna allo stato attuale una fine delle fazioni, ma quella esterna), possa seguire lo sviluppo delle monoposto come lui faceva sino ad ora..».
In Ferrari in cinque anni quattro persone diverse a capo della GES: Domenicali, Mattiacci, Arrivabene e ora l’investitura di Binotto dopo uno scontro interno, che mi permetto di definire feroce, nel corso del 2018…
«In genere, storicamente, colui che è a capo del Team Ferrari raramente ha avuto vita lunga, con l’eccezione di Jean Todt e di Marco Piccinini che di fatto ha gestito gli ultimi 10 anni di vita di Enzo Ferrari; ma era un Ferrari ovviamente meno combattivo di quello più giovane. Cerchiamo allora di capire cosa è successo negli anni recenti.
Stefano Domenicali è stato il braccio destro di Todt durante l’epopea Schumacher che è consegnata alla Storia, ma che è stata un’epoca straordinaria. Per me l’allontanamento di Stefano va letto come il penultimo tentativo (l’ultimo sarebbe stato Mattiacci) di Montezemolo di tenere Marchionne fuori dai giochi.
Montezemolo a differenza di Marchionne (che sia chiaro, non di discute come manager finanziario) era un uomo di sport e di prodotto. Montezemolo aveva lavorato con Ferrari negli anni settanta (ed aveva avuto il ruolo di Todt, di Domenicali) e quindi sapeva che in quella posizione può accadere che puoi, seppur incolpevole, essere accusato di determinate situazioni, perché le corse vanno così. Pensate al campionato perso nel 2010, quando la Ferrari marcò Webber e il titolo lo vinse Vettel. Io penso che un uomo non di corse come Marchionne si sarebbe infuriato; invece Montezemolo la vicenda l’ha messa in prospettiva ed ha capito che queste cose nello sport possono accadere e ci possono stare. Quindi, anche se l’ultimo mondiale piloti vinto dalla Ferrari di Montezemolo e di Todt/Domenicali è quello del 2007, Montezemolo è andato avanti per anni con Domenicali sapendo che stava lavorando bene. In sostanza, a mio modo di vedere, l’allontanamento di Domenicali è legato allo scontro con Marchionne. Montezemolo doveva dare una sterzata, cambiar qualcosa nell’ottica dello scontro con Marchionne».
E così è arrivata la meteora Marco Mattiacci».
«Parlando di Marco vorrei precisare una cosa: non posso essere oggettivo per quanto ci possa provare. Con Stefano sono amico, ma Marco per me è un fratello. Abbiamo lavorato quattro anni assieme in Ferrari nel Nord America. Mattiacci è un grandissimo manager chiamato da Montezemolo prima che Marchionne metta in quel ruolo una persona di sua fiducia. Posso testimoniare che Marco non se lo aspettava perché non era in Ferrari un uomo di sport: era un grandissimo uomo di marketing. Marco, per essere chiari, è uno dei responsabili del ritorno della Maserati negli Stati Uniti dopo 12 anni di assenza; ha lavorato in Asia per la Ferrari, l’ha fatta crescere tantissimo e poi si è trovato a svolgere un lavoro per lui nuovo con la GES ma, non dimentichiamolo…chiaramente con la regia di Montezemolo».
«Parlando di Marco vorrei precisare una cosa: non posso essere oggettivo per quanto ci possa provare. Con Stefano sono amico, ma Marco per me è un fratello. Abbiamo lavorato quattro anni assieme in Ferrari nel Nord America. Mattiacci è un grandissimo manager chiamato da Montezemolo prima che Marchionne metta in quel ruolo una persona di sua fiducia. Posso testimoniare che Marco non se lo aspettava perché non era in Ferrari un uomo di sport: era un grandissimo uomo di marketing. Marco, per essere chiari, è uno dei responsabili del ritorno della Maserati negli Stati Uniti dopo 12 anni di assenza; ha lavorato in Asia per la Ferrari, l’ha fatta crescere tantissimo e poi si è trovato a svolgere un lavoro per lui nuovo con la GES ma, non dimentichiamolo…chiaramente con la regia di Montezemolo».
E poi cosa è successo?
«Inevitabilmente, quando Montezemolo è stato cacciato da Marchionne, la mossa successiva è stata l’allontanamento di Mattiacci. E anche questa è stata fatta in maniera molto dura e molto poco elegante».
E arriva Arrivabene…
«Maurizio è un bravissimo manager ed è da anni all’interno della famiglia Ferrari in modo collaterale, per il fatto di essere uomo Philipp Morris, che dal 1984, da quando Enzo Ferrari decide di aprire agli sponsor che non fanno parte direttamente del mondo automotive, è uno degli sponsor fondamentali della Formula Uno e della Ferrari. Il problema di Arrivabene è stato quello di arrivare in un momento in cui la Ferrari aveva tanti problemi ed aveva un nuovo capo (Marchionne) che di auto ci capiva il giusto e di sport molto poco, per cui chiaramente si è trovato a gestire una patata che era due volte bollente».
Che cosa paga Arrivabene, dal tuo punto di vista?
«Una situazione interna che non è riuscito a gestire. Non so dire chi facesse cosa, ma il fatto era chiaramente percepibile. Perché se noi vogliamo vedere i dati di fatto, la Ferrari di Arrivabene-Binotto ha fatto cose egregie, soprattutto l’anno scorso. Dunque Maurizio non paga una Ferrari non competitiva, lui paga il fatto che la Ferrari si è trovata divisa, ed una “casa divisa”, per citare Lincoln, non sta semplicemente in piedi».
Domanda scontata…cosa ci dobbiamo aspettare per il 2019, per Binotto e per la Ferrari?
«Quando arrivi in Ferrari scuse non ce ne sono. Non puoi ad esempio sbagliare un modello, se parliamo della produzione di serie, e infatti non lo sbagliano. In Formula Uno puoi anche non vincere, ma devi lottare, devi essere competitivo. Che cosa auspichiamo…ovviamente che si vinca il Mondiale. Tra parentesi, se si dovesse vincere non è perché è andato via Arrivabene.
Il punto fermo è che la squadra di tecnici, italianissima (e va dato merito a Marchionne di questo) è validissima. Speriamo che Mattia identifichi, come dicevo anche all’inizio di questa chiacchierata, il direttore tecnico che di fatto prenderà il suo vecchio posto. La chiarezza dei compiti, che è mancata per tutto il 2018, è necessaria, perché il problema è che dall’altra parte abbiamo una squadra compatta con un signor direttore sportivo. Andiamo contro una squadra (la Mercedes) che è completamente strutturata per vincere.
Ricordo una chiacchierata che feci con Todt quando era ancora a capo della gestione sportiva in Ferrari. Eravamo a Beverly Hills per il lancio di un nuovo modello ed a quell’epoca Jean era anche CEO di Ferrari (dal 2006 al 2008 ndr).
Ad un certo punto, parlando di F1, Jean mi disse: “Io certe volte vorrei restare a Fiorano e non andare neppure in trasferta con la squadra per concentrarmi sulla nuova auto”.
E io: “Ma come potrebbe fare una cosa del genere?”
Rispose: “Perché, non credi che la mia squadra, la mia gestione sportiva non sappia esattamente quello che deve fare in tutti i momenti: sia nell’ordinaria amministrazione che nell’eccezionalità e nella straordinarietà anche senza la mia presenza ai box?”.
Il fatto è che ora la Mercedes mi sembra quella squadra: una macchina oliata, talmente rodata dove ognuno sa esattamente cosa fare in qualsiasi situazione di gara e non di gara: questa è la corazzata con cui la Ferrari di Binotto andrà a scontrarsi».
Lasciaci almeno la speranza…
«Più che sperare, bisogna sempre sognare… “la Ferrari si sogna”, come diceva Enzo Ferrari. Lui parlava di quella stradale ma la Ferrari fa sognare. Sempre».
Mariano Froldi