Uno e due, ventisette e ventotto; zero, sette, quarantaquattro.
Ognuno di questi (ed altri) numeri per gli appassionati di Formula Uno rappresenta qualcosa.
I numeri sono estremamente aridi, dicono. Eppure ogni sport ne ha bisogno.
E non si tratta di mere astrazioni matematiche.
I numeri sono quello che sono e ciò che serve per “impalcare” la scienza. Il “linguaggio” senza il quale non esisterebbe tutto ciò che di bello il progresso medico e tecnologico ci ha portato. I numeri ci accompagnano sin dagli albori della civiltà. Quando siamo usciti dal grembo della preistoria per entrare nella storia. Probabilmente sono venuti prima dell’alfabeto.
Il fatto è che i numeri trascendono la loro stessa natura matematica. Come se avessero un valore “mistico”, passatemi il termine, che li travalica e che porta la nostra mente non solo a calcolare, ma anche a sognare.
Non è una novità. Nel bistrattato (sempre meno per fortuna) Medioevo, senza numeri e il simbolismo ad essi collegato Dante non avrebbe scritto la Divina Commedia (costruita tutta attorno al 3 della Trinità) né avremmo compreso quella straordinaria civiltà cristiana.
Torno a parlare di Gilles, il cavaliere del rischio, quello della febbre Villenueve, l’aviatore. Con Gilles comincia una tradizione che per la Ferrari dura 14 anni, quasi tre lustri.
Gilles porta per la seconda volta quello strano numero (il primo fu Jackie Ickx, non gli portò bene), quel 2 che è un numero rotondo, il numero doppio e “rotondo” per eccellenza, che si somma al 7, che è invece un numero“spezzato”. In coppia poi con l’8 che, se lo metti in orizzontale, significa l’infinito. 27 e 28. Ci fecero pure un programma in Rai, credo, che durò diversi anni. Ma fu proprio con Villenueve che il 27 diventa il 27 e la coppia 27-28 individua le Ferrari. Accadde che nel 1981 la Ferrari, dopo l’orribile 1980, dovette prendere quei numeri perché ereditati dalla Williams (arrivata da pochi anni nel Circus) che vinse il Mondiale con Alan Jones proprio in quell’anno.
Quel numero restò da Gilles sino a quando non arrivò Michael nel 1996. Non fu una scelta sua: con una modifica regolamentare le squadre ereditano da quel momento i numeri legati alla classifica costruttori anno dopo anno.
Ci gareggiarono con il 27, fra gli altri, Tambay, Alboreto, Prost, Alesi, Mansell.
Oggi che piaccia o meno, i piloti scelgono i loro numeri “simbolo” che diventano “personali”. L’ultima modifica è datata 2014 ed è stata fatta per “adeguare” la Formula Uno agli altri sport, come il motociclismo. La cosa che non mi piace della nuova “disciplina” è la non obbligatorietà del numero UNO per il campione del Mondo: il re deve essere riconoscibile da tutti, e sarebbe stato bello vedere Hamilton con il numero che gli spetta. Ma lui ha pensato diversamente ed avrà avuto i suoi buoni motivi. Certo, mi piacerebbe tanto rivedere la Ferrari con il 27 o il 28 finalmente iridata nel campionato piloti (quello costruttori fu conquistato nel terribile 1982 e bissato nel 1983).
“Sfortunata” la coppia 27-28, certo. Ma in qualche modo iconica. Piena di speranza sognate e mai mantenute. Forse, alla fine, si tratta solo di un pò di nostalgia: perché quei numeri mi ricordano quando ero un po’ più giovane.
E voi, che ne pensate? Che cosa vi trasmette la “coppia” 27-28? Avete numeri legati alla Formula Uno che per voi sono speciali?
Mariano Froldi