Un tempo, quando frequentavo assiduamente i circuiti, una delle cose che raccontavo con più orgoglio era il fatto che, sulla stessa tribuna o sullo stesso fazzoletto di prato, potessero coesistere pacificamente e pacificamente dialogare individui appartenenti a tifoserie diverse.
A fine gara ci si ritrovava tutti sotto al podio ad applaudire i tre piloti lì in alto: ognuno di loro, in fondo, aveva messo a rischio la propria vita per offrire quello spettacolo eseguito sul limite dell’aderenza tra gomma e asfalto, affrontando una fisica le cui leggi non possono essere sconfitte, ma impavidamente sfidate sì! Parlavo di orgoglio. L’orgoglio di far parte di un “popolo” nettamente differente da quello del calcio. Ma di quest’orgoglio, noi tifosi del motorsport, non possiamo più fregiarci. La violenza, la cafonaggine e l’ignoranza (madre, quest’ultima, delle prime due) hanno contagiato anche il tifo della Formula 1.
Wikipedia definisce in questo modo il termine “tifo sportivo”:
“Il tifo è un fenomeno sociale per cui un individuo, oppure un gruppo, si impegnano a sostenere con entusiasmo la partecipazione di un atleta o di una squadra in una determinata disciplina”. Non mi pare che la parola “entusiasmo” abbia qualcosa a che fare con le parole “violenza”, “insulto”, “volgarità”. Ma andiamo avanti: “Lo sviluppo della passione del tifo in un individuo è generalmente riconducibile all’ambiente sociale in cui egli interagisce”.
Ecco, forse, il fulcro della questione: l’ambiente sociale.
Un ambiente sociale, quello attuale, che mi limito a definire degradato, non volendo sfociare in una discussione che esula dal tema trattato in questo articolo. E’ chiaro che le “menti semplici” (eufemismo necessario affinché la redazione non mi edulcori l’articolo) non sappiano elevarsi al di sopra del piattume generale, dell’ignoranza dilagante, del pressapochismo, del qualunquismo e di tutti gli altri mali che stanno affliggendo l’italico popolo.
E’ altrettanto chiaro che tali “menti semplici” si lascino trascinare dalle provocazioni, anziché utilizzare la materia grigia che sicuramente anch’essi avranno nel cranio (se non altro per espletare le primarie funzioni vitali).
Ed allora è su queste “menti semplici” che attecchisce il giornalismo populista, sensazionalista, superficiale, “complottaro”, che brama consensi e click e che, per ottenerne, fornisce un’informazione fortemente pilotata, laddove non vergognosamente distorta.
Sono spesso i professionisti della penna (o presunti tali) ad aizzare enormi greggi di pecore belanti che ogni giorno invadono i social, procurando nausea a chi i social vorrebbe utilizzarli per discutere in maniera civile e costruttiva. Troppi giornalisti danno un pessimo esempio di professionalità, minando il prestigio della categoria, rendendosi indecorosi e ipocriti pastori che incitano le pecore ad emettere assordanti belati, pastori di grezze greggi inconsapevolmente plasmate, fomentatori di folli folle miseramente guidate all’odio, all’insulto, alla violenza. Pensate che un noto giornalista di una nota testata italiana di motorsport ha estromesso da una discussione il sottoscritto, solo perché “reo” di aver espresso, in maniera pacata e civile, un’opinione sull’attuale corso di quella testata, di cui, tra l’altro, lo scrivente era un assiduo lettore.
“La mia vita è cambiata, ho dovuto sporgere denunce. Il tifo calcistico è arrivato anche in F1”. Queste le parole di Emanuele Pirro dopo il noto episodio della penalità inflitta a Sebastian Vettel nel gran premio del Canada 2019. Emanuele è stato minacciato di morte. Riflettiamo sull’assurdità della cosa, perché di assurdità trattasi: la F1 è uno sport e solo uno sport deve restare. Non è il caso di prenderla così sul serio. A meno che uno non abbia davvero seri problemi mentali. Eppure…
Anche chi scrive è stato minacciato di morte, solo perché in un articolo ha osato definire “poco leale” la manovra con cui Schumacher chiuse Hill nel 1994 ad Adelaide. Provo tenerezza per gli autori di quelle minacce.
Chissà quanto è grama la loro esistenza? Cosa si può fare per “elevare” le greggi belanti e professionalizzare i loro “pastori-giornalai”? Cambiare l’ambiente sociale di cui si parlava? No, servirebbe un miracolo.
Pretendere da tutti i giornalisti un’etica deontologicamente corretta?
Sì, questa è una pretesa legittima, visto che l’informazione si rende in parte artefice e sicuramente complice di questo degrado. Un degrado che, di questo passo, lascia immaginare lo scenario distopico che partorirà: una realtà orwelliana dove l’informazione non avrà più nulla a che fare con il vero, dove i fatti saranno abilmente plasmati per orientare le greggi, al fine di ottenere le polemiche e i tafferugli mediatici che tanto seguito generano e tanti click producono.
Autore: Mauro Mondiello – @mauro_mondiello
Foto: – Red Bull- Ferrari – @ calciomercatoit