George Russell, anni 21, da King’s Lynn, Regno Unito: lo guardi e il suo viso pare già nato adulto, nello sguardo porta incisa una serietà rara, anomala per quell’età, una compostezza che la dice lunga, sia sulla persona che sul pilota. La sua storia sportiva è lì a confermarlo: ovunque abbia corso, George ha fatto bene fin da giovanissimo, poi, quando la questione si è fatta oltremodo seria, ha tirato fuori la concretezza spietata ed affamata dei grandi. 2015: primo anno in F3, vittoria in gara due sul circuito amico di Silverstone; 2016, sempre F3, 2 successi, 10 podi, terzo in campionato. 2017 e 2018, la svolta cannibale: da debuttante le vince entrambe come accaduto a Leclerc, la prima con una gara di anticipo, la seconda ottenendo ben 7 primi posti. Mercedes, gente con occhio lungo e ben allenato a precorrere i tempi, già nel gennaio 2017 lo inserisce nel proprio programma per i giovani drivers, tenendo a battesimo i suoi primi giri al volante di una F1 che avverranno nell’agosto 2018, con la W08, durante i test di Budapest e facendolo diventare il suo terzo pilota per la scorsa stagione.
Da quest’anno è titolare con la Williams, un’esperienza non facile, sicuramente più complicata rispetto ad altri rookie da lui battuti in F2 a cui il 2019 sta andando decisamente meglio, come Norris e Albon. Il lavoro che sta toccando a Russell in una scuderia dal prestigiosissimo blasone, ma che vive anni di enorme difficoltà, è qualcosa che passa molto più sottotraccia, ma che potrà risultare decisivo nel suo percorso di maturazione. Sì, perché è una scuola scomoda, lontana dai riflettori ma che pagherà sulla distanza, insegnando all’inglese a lavorare duro in condizioni sfavorevoli, a sviluppare conoscenze e sensibilità amplificate, indispensabili per riuscire a migliorare una vettura con tale gap. Un bagaglio che sta creando, poi accrescerà e si porterà dietro ovunque, un’esperienza che ne farà un giovane con un vissuto pratico di peso in grado di giudicare ed indirizzare la strada, anche tecnica, dei futuri progetti, qualcosa di ricercato ed estremamente gradito da ogni team, ancor di più di vertice. E il suo talento è riuscito comunque ad irradiare raggi più forti del buio Williams, in un’occasione esprimendo un bagliore tale da bucare le nuvole di isolamento a cui è condannato il team, relegato perennemente agli ultimi posti. Mi riferisco, ovviamente, alla qualifica del GP di Budapest: un giro capolavoro, in cui ha condotto la sua FW42 a pochi decimi dalla Q2, a dispetto dell’abituale distacco che si aggira sul secondo. Un’impresa.
Da qui in poi, anche la stampa non inglese ha iniziato a tenerlo in considerazione, parlandone ed osservandolo con l’attenzione dovuta, tanto che il suo nome è entrato nelle ipotesi fatte per il secondo pilota Mercedes 2020, insieme ad Ocon. Voci a cui il diretto interessato ha implicitamente risposto, dichiarandosi affascinato da una F1 sempre più all’insegna dei giovani, in cui i team mostrino intraprendenza e discontinuità col passato, ingaggiando piloti con poco vissuto nel Circus, sapendo di doverne completare la formazione nella massima serie. George è poi andato molto più sul concreto, forse incoraggiato da quanto accaduto a Charles Leclerc (di cui, come detto prima, ha ricalcato precisamente la carriera in GP3 e F2), passato al suo secondo anno in un top team, dichiarandosi pronto a cogliere l’eventuale sfida al volante di una freccia d’argento. Aspirazioni comprensibili per un ragazzo consapevole del proprio valore e ben in confidenza con la divina Nike e l’ebbrezza conferita dalle sue ali.
A riportare tutto ad un ordine, secondo me sensato e prudente a proteggere una carriera tanto promettente, sono intervenuti sia Toto Wolff che Claire Williams. Parole che non solo lo tutelano da un salto che rischierebbe di bruciarlo, ma che ne riconoscono la caratura: Mercedes lo considera un futuro campione del mondo e perciò vuole che continui la sua formazione nel team di Grove e la figlia di Frank lo blinda, ricordando che ha firmato un contratto di 3 anni e che il suo talento è privilegiato punto di riferimento per i piani futuri. Non sono frasi che si spendono frequentemente in F1, dove si è quasi sempre impegnati a chiedere prestazioni e a rincorrerle, piuttosto che ad elargire riconoscimenti, ancor di più verso un rookie: è bene ricordarlo, ai fini di comprendere appieno il valore di queste frasi.
Per rendere l’idea della persona, invece, basta scorrere i suoi social: il 95% dei contenuti rimandano alla sfera professionale, il resto documenta allenamenti e vita privata in famiglia; distrazioni, divertimenti non funzionali alla carriera, leggerezze da ragazzi, non pervenuti. Non proprio da tutti, specie a 21 anni. Il messaggio è chiaro: una focalizzazione totale, una vita dedicata alla missione di vincere, qualcosa su cui lavorare senza sosta, da meritare, da costruire senza interferenze.
E sempre a proposito dell’universo social, George anche in quel contesto è alle prese con un’esperienza diversa rispetto agli altri rookie, in particolar modo opposta a quella dell’amatissimo Norris: deve confrontarsi con interazioni e commenti ostili. Ne ha raccontato lui stesso pochi giorni fa: “A volte mi ferisce che la metà dei commenti ai miei post siano d’odio da parte di tifosi polacchi, so che prima di tutto mi deve importare cosa Williams e Mercedes pensino di me, ma vorrei essere rispettato anche al di fuori di questo”. Una situazione antipatica, peggiore per un giovane, la cui comunicazione veicolata dalle reti social è fondamentale al giorno d’oggi: Russell è accusato dai tifosi del compagno di scuderia, Kubica, di essere favorito dalla squadra e per questo i sostenitori polacchi non gli lesinano parole puntute e spesso inopportune. Di nuovo un cammino arduo per George, ma ancora una volta lo affronta per fortificarsi e crescere, non nascondendo le proprie sensazioni e adottando una mentalità costruttiva e determinata.
Il ragazzo di King’s Lynn ha indubbiamente un futuro brillante davanti a sé, ma sta imparando dalla fatica e da alcuni disagi, come, per ambire non solo ad essere un campione ma ad entrare fra i grandi di questo sport, non basti solo il talento puro, ma lo si debba arricchire, in un certo senso educare, attraverso la frequentazione assidua di una non comfort zone, che lo costringe a sviluppare altre risorse di adattamento. Una via senza comodità, ma da cui uscirà pronto a risplendere.
Autore: Elisa Rubertelli – @Nerys_
Foto: George Russell