Michael Schumacher sfida Mika Hakkinen
Me lo concedano i miei lettori: in questo periodo di riposo forzato dal nostro sport motoristico preferito, sono in vena di ricordi.
Per la verità è da un po’ che desidero dedicare qualche riga, in primis, ad un pilota che per me è stato un vero punto di riferimento. E poi ad un duello, meraviglioso, durato tre stagioni e che ha rappresentato quanto di più bello ho vissuto, sportivamente parlando, fino ad oggi.
Voglio farlo, ripercorrendo quelle tre stagioni e facendo scorrere, parallelamente a quei ricordi motoristici, le mie emozioni dell’epoca, i miei stati d’animo, i miei pensieri ed i luoghi dai quali ho assistito alle gare. Voglio farlo con questa modalità, affinché io possa raccontare quegli anni in un modo, spero, diverso da come è stato fatto fino ad oggi.
E allora pronti, via, iniziamo: in queste calde giornate d’agosto, orfane del rumore dei V6 Turboibridi edizione 2019, lanciamoci insieme sul viale del ricordi, un viale decisamente magnifico!
Sono cresciuto, anagraficamente e sportivamente parlando, con il mito di Michael Schumacher e il duello col finlandese volante Mika Hakkinen. Sono stato un bambino fortunato: mi sono avvicinato al grande Circus della Formula Uno quando la Ferrari stava per mettere le mani sul primo titolo, a vent’anni dal 1979 targato Jody Scheckter.
Di questi primi anni di Formula Uno ricordo come emozione dominante l’amore incondizionato, totale e mai messo in dubbio, da quel momento in poi, per Michael Schumacher. Una passione sempre più forte verso questo bellissimo mondo che andavo man mano scoprendo, verse queste monoposto velocissime e questi piloti, ai miei occhi quasi ultraterreni. Non ricordo di aver provato una particolare “ansia da prestazione” legata ai punti necessari (ad ogni Gran Premio) per conquistare alla fine della stagione l’alloro iridato.
12 Aprile 1998, domenica di Pasqua nonché giorno del mio ottavo compleanno. Dove tutto ha inizio.
Sono di Roma e non molto lontano, sul litorale, i miei nonni hanno comprato ad inizio anni ’90 una villetta. E’ lì che le estati, in compagnia di mio cugino, scorrono felici. Nonostante l’estate del 1998 debba ancora arrivare, in quel giorno di Pasqua, con tutta la famiglia, è lì che decidiamo di andare. L’occasione è buona per festeggiare sia il pranzo pasquale che il mio compleanno, insieme a quello di mio cugino che è del 20 Aprile (abbiamo spesso festeggiato insieme, per comodità di riunire tutta la famiglia in una sola occasione).
Ricordo distintamente io e mio cugino che siamo davanti al tavolo da pranzo mentre scartiamo i nostri regali. Io ricevo, tra gli altri, un regalo bellissimo. Si tratta di una stazione dei pompieri tutta rossa: un “segnale”. Finito di scartare i doni, saliamo in mansarda a giocare. La televisione è accesa: sta trasmettendo una gara.
GP di F1 di Argentina 1998, circuito Oscar Alfredo Galvez di Buenos Aires.
C’è una macchina rossa, come il bellissimo regalo che ho appena ricevuto. Sulla pista piove, come fuori dalla finestra. Questa macchina rossa, velocissima, corre in solitaria. Dentro c’è un pilota con un casco bellissimo: sopra è tutto blu, poi è bianco e ci sono delle scritte attaccate sopra. Nella parte posteriore della calotta ci sono i colori della Germania, quella terra che a me tanto piace perché meta, da sempre, delle vacanze con la famiglia.
Quella macchina è una Ferrari: facile capirlo anche per un bambino piccolo come me, con quello scudetto grande sui fianchi. Sono inesperto di F1, ma capisco in fretta che queste macchine corrono su quella larga striscia grigio scuro. Solo che questa macchina rossa, ad un certo punto, passa sulla ghiaia. Insomma una pericolosa uscita di pista, capisco subito che qualcosa non va. Questo pilota col casco bellissimo si piazza su una striscia di asfalto, proprio oltre la ghiaia, e rientra prepotentemente in pista. Comprendo subito di che stoffa è fatto. Capisco subito che questo pilota è lì per vincere, non per partecipare.
E’ qui, al giro 66 di quel Gran Premio, che scocca prepotente la scintilla d’amore per la Formula Uno e per Michael Schumacher.
Sul traguardo Michael transita primo alla bandiera a scacchi agitando le due braccia sue e giù. Sul podio è una furia mentre esegue un salto come nessun altro: due gesti sportivi caratteristici, di cui mi innamoro subito, e che rimarranno suoi per il resto della carriera. Al rientro nella corsia dei box, accanto alla Ferrari di Michael, si piazza una vettura grigio scuro: è la McLaren di Mika Hakkinen. Scoprirò di lì a poco che i due sono grandi rivali. E sarà proprio questa rivalità il fulcro intorno al quale ruoterà tutto. Da quel momento fino ai successivi tre anni.
Come già detto poc’anzi, all’epoca sono stato un bambino fortunato. I tifosi del Cavallino più grandi di me, infatti, sono quasi 20 anni che non riescono a gioire per la vittoria di un titolo, mentre io mi avvicino alla F1 quando la Ferrari è sulla via dell’ascesa che avrebbe portato al titolo Costruttori nel 1999 e a quello Piloti nel 2000 (riconfermando anche quello Costruttori).
Io all’epoca non lo sapevo, ma quel 1998 è il terzo anno in Ferrari di Schummy e l’inizio della seconda stagione in cui si punta seriamente alla vittoria dei titoli. Un breve passo indietro: è la metà del 1995 e l’Avvocato Agnelli, “mica per un tozzo di pane”, riesce a strappare al duo Benetton-Briatore il riconfermando campione del mondo tedesco. Il passaggio in Ferrari avverrà alla chiusura della sua quarta stagione completa nella massima serie. In quel momento, Michael è considerato il pilota più forte del Circus ed è esattamente ciò di cui l’Avvocato ha bisogno affinché il team Ferrari torni al top. Lo affida nelle mani di Luca Cordero di Montezemolo, presidente del team. Quello a cui Montezemolo sta lavorando ormai da qualche anno è una profonda rifondazione. L’obiettivo è assumere persone titolate da piazzare in ruoli chiave della Scuderia.
Rendendo conto direttamente a Montezemolo, la gestione sportiva viene affidata al francese Jean Todt, con il quale Schummy si trova a lavorare bene sin da subito. Responsabile del progetto della F310 del 1996 è John Barnard, lo stesso che ha progettato la Jordan 191 con cui il Kaiser debutta in F1 in quel famoso Gran Premio del Belgio del 25 Agosto 1991. Il 1996 è un anno di scoperta tra il tedesco ed il team di Maranello. Un anno in cui non mancano le difficoltà nel concretizzare in punti una performance carente del mezzo dipinto di rosso. Nonostante ciò, Schummy colleziona tre vittorie, di cui la più spettacolare è certamente quella sul circuito spagnolo, sotto il diluvio: la sua prima in rosso.
La Ferrari non può competere contro la Williams nel 1996 (che infatti porta Damon Hill al titolo), ma la rivoluzione continua. Nel 1997 vede la luce la F310B, progettata da Barnard ma sviluppata durante l’anno da Rory Byrne. La stagione vede anche l’arrivo, direttamente dalla Benetton, di un altro uomo chiave, fortemente voluto da Schumacher: Ross Brawn. Con Jean Todt al comando, Ross Brawn ingegnere capo e Rory Byrne progettista, il cerchio magico della rivoluzione è quasi chiuso. L’Avvocato Agnelli e Luca Cordero di Montezemolo realizzano che hanno per le mani un team sempre più solido.
Nel 1997 la Ferrari è, finalmente, molto competitiva. Schumacher è in grado di giocarsi il titolo all’ultima gara con Jacques Villeneuve. Ma il primato sfugge per un incidente proprio col canadese, che lo infila all’interno della Dry Sack: il tedesco chiude come tre anni prima aveva fatto su Hill ad Adelaide. Ma se ad Adelaide, al momento del contatto, il tedesco è avanti, con Villeneuve l’arrembaggio non riesce e, anzi, viene giudicato dai commissari come speronamento dell’avversario. Michael viene squalificato dal campionato, e la sua immagine necessita di una ripulita che, mediaticamente parlando, si realizza nell’inverno tra il 1997 e il 1998. Ad inizio 1998, completamente riabilitato, Schummy è pronto a rincorrere nuovamente il titolo.
Come detto, il cerchio magico della rivoluzione è quasi chiuso: la F300, completamente progettata da Rory Byrne, è una macchina davvero competitiva. Sono cambiati però gli avversari: la Williams perde i motori Renault in favore dei Mecachrome e, con essi, la sua competitività. I primi due appuntamenti della stagione vengono vinti dalla McLaren Mercedes di Mika Hakkinen. Un nome che Schummy conosce bene da molti anni e che tutti i tifosi Ferrari impareranno a conoscere ancora meglio per i prossimi tre.
Nasce nel 1998 uno dei confronti più belli della storia della F1: quello tra il finlandese volante ed il Kaiser tedesco. Di quella stagione ricordo bene, oltre al Gran Premio di Argentina, solo alcuni sporadici episodi avvenuti durante le gare: benché mi stia appassionando, sono ancora troppo piccolo per conservare, ad oggi, molti ricordi. Quel che è certo è che ormai sono completamente rapito dalla F1 ed affascinato da questo dualismo finnico-tedesco.
Il secondo Gran Premio di cui ho un chiaro ricordo è Monaco.
Non ricordo dove mi trovo (probabilmente a casa) ma ricordo chiaramente il duello rusticano che Schummy instaura con Wurz al rientro in pista dal suo Pit Stop. Mentre Hakkinen si invola verso un’altra vittoria stagionale, il tedesco tenta in tutti i modi di superare l’austriaco, fino al contatto. Il pilota di Hurth rientra ai box con la sospensione posteriore sinistra danneggiata e per lui sembra la fine. Spegne il motore ed esce dall’abitacolo. Ma non è dello stesso parere Ross Brawn.
Ricordo che sono attaccato allo schermo, triste perché il mio Schummy si sta ritirando (e per me è la prima volta che assisto al mio campione impossibilitato a terminare la corsa) quando il grande Ross si avvicina al tedesco e gli fa cenno di rientrare in vettura. Sono euforico perché trovo incredibile che i meccanici siano riusciti a sistemare in pochissimi minuti un danno così serio. Michael riprende così la pista.
Alla fine della gara sarà solo decimo, abbondantemente fuori dalla zona punti, dopo uno scellerato tentativo di sorpasso su Diniz all’uscita del tunnel per cercare di entrare in zona punti. Sorpasso che si concluderà con un incidente dal quale il tedesco uscirà malconcio ma, comunque, in grado di giungere al traguardo.
Vittorioso Hakkinen che, sceso dalla vettura, esulterà muovendo avanti ed indietro le braccia con la schiena leggermente all’indietro: tipica esultanza del finnico che, insieme a quella del tedesco raccontata poco sopra, rimarrà per sempre nel mio cuore.
Continua…
Auore: Federico Vicalvi
Foto: Benetton – Ferrari