Alonso e Vettel, campioni incompiuti in rosso…
Alonso e Vettel. Campioni contro. Campioni dentro a una Ferrari amara, che ha portato due storie al capolino, senza il giusto inchino, senza la necessaria soddisfazione di un campionato vinto. Piloti che hanno convinto e diviso, a fasi alterne, secondo le talvolta fraterne comprensioni o le fratricide accuse del tifo nostrano, che spesso si dimostra peggio di Caino con Abele. Rossa da miele e fiele per entrambi, figli illegittimi di un sogno mai nato. Supportato e desiderato con fierezza e con orgoglio. Spezzato e delegittimato con crudeltà e con un ingiusto piglio. Del destino avverso, di una situazione che troppo spesso si mette di traverso.
Cinque anni che ti ho perso, parafrasando Michele Zarrillo, in un karaoke che pare il canto del cigno per entrambi. Alonso sfinito e derelitto, poi approdato in una McLaren che si rivela un relitto. Sperando di essere il prode capitano in grado di compiere una nuovo assalto al titolo. Capendo troppo tardi che la sua nave può solo arenarsi, incagliandosi negli abissi. Vettel provato, non ancora saziato, da quell’amore mal corrisposto che lo porta assai lontano dal posto che dovrebbe occupare. Al vertice, in cima. Dopo una dura scalata, tra ascese e cadute. Il desiderio dell’iride in rosso spezzato per entrambi, sparvieri dalle ali tarpate in un cielo oscuro.
La dura legge di Maranello, il greve fardello che li accomuna. Con la Ferrari che pista dopo pista macina le loro ambizioni. Alonso, dopo le lunghe collezioni di anni sbagliati, decide di lasciare. Pro tempore o definitivamente ancora non si sa. E intanto rincorre altri traguardi, impavido eroe di tutti i mondi, tra deserti e ovali, tra notte infinite e corone regali. Vettel ancora resiste, non desiste di fronte al nuovo. Che è la grinta e l’abilità di Leclerc, già accreditato come il nuovo domani del circus. Che è la capacità di combattere ancora con Hamilton, un’estenuante battaglia, finora tutto sommato ad armi impari.
Ragazzi fenomenali che hanno abbracciato la Rossa negli anni sbagliati. Innamorati caduti nelle sue eterne lusinghe, entrambi pronti a spiccare il salto dalle losanghe ormai sazie della Renault. Per Alonso, un battesimo e un ripiego. Per Vettel il cuore pulsante dell’auto che lo ha consacrato. Due piloti incredibili che hanno cercato di definire la loro identità calandosi nella storia, inabissandosi in una spirale negativa. Nonostante la volitiva presenza di entrambi. Carismatici in modo diverso, in un tempo avverso, che li ha resi avversari, forse nemici. Prima di accomunarli nel triste destino di un’incompiuta.
Sebastian e Fernando s’incontrano e si scontrano, genesi e nemesi di diverse e alterne sfortune. In fondo accomunati da un unico giustiziere. Quell’Hamilton che ha tarpato le ali ad Alonso, che ha magistralmente ridimensionato Vettel. Entrambi enfant prodige della Formula Uno, generatori di record precoci, destinati a essere cannibalizzati da un futuro sempre più promettente, esagerato, dirompente. Non è permesso nessun adagio, nessun passo falso. Banditi gli errori, alla guida o di valutazione.
Alonso, destinato a un argenteo futuro, si scontra in McLaren con Ron Dennis e con l’astro nascente di Lewis, che lo costringe a cercare altri lidi, un atterraggio di fortuna, in attesa di tornare a volare in prima classe. Ma l’aereo di lusso di Maranello non rispetta i piani, fluttua nel mezzo di spaventose turbolenze. Lo spagnolo non precipita, ma allo stesso tempo non riesce a decollare, in bilico fino a barcollare. Però è capace di compiere meravigliose virate verso il cielo, come le 11 vittorie, spesso insperate, agognate, ottenute con una caparbietà e tenacia che sfiora il sublime.
Vettel, proteso verso un roseo destino, s’imbarca su una Ferrari piena di falle, riuscendo a tenerla a galla al debutto, grazie alla sostanza di tre vittorie. Poche glorie nel 2016, l’anno della disputa Mercedes. Poi due stagioni di contesa, con una squadra che finalmente non giocava in difesa. Partendo alla grande, finendo battuta, fiaccata dalla lotta conto i titani teutonici. Infallibili al solito, pirati all’occorrenza. Capaci di tendere la lenza e lanciare l’amo verso un’organizzazione lacunosa o non del tutto coesa. Abili nello sfruttare ogni passo falso degli alfieri in rosso, di un team scosso da tensioni, da nuove organizzazioni, da abbandoni precoci.
Nel mezzo un destino che li accomuna, nel corso di un campionato fantastico e quasi surreale. Un 2012 che dà voce a tutti, compresi alcuni comprimari, per rendere la lotta più incerta ed esaltante. Grazie a Maldonado e al suo unico successo. A Rosberg che segna il suo primo. E a Schumacher che ci saluta con una pole indimenticabile, poi cancellata, a causa dell’ennesimo assurdo regolamento. Fernando e Sebastian lottano fino all’ultima gara, fino alle ultime curve di quel Brasile, a volte salvifico, a volte malefico.
Interlagos in questo caso lo è per entrambi. Prima con Vettel, che si imbatte in Bruno Senna e scivola nelle retrovie, dando vita in seguito ad un’epica, quanto per i ferraristi crudele, rimonta. Poi con Alonso, spezzato dall’onta di non potercela fare, dopo aver assaporato il profumo del terzo alloro, mentre Sebastian incappava in una girandola potenzialmente fatale, incespicando dietro a troppi piloti, nello spazio di secondi vuoti, lontano dai primi.
Storie antitetiche eppure uguali, d’illusioni infinite, di amori fatali. Iperboli e carambole di memorie struggenti, di intenti sfuggiti. Stessa meta, approcci differenti. Quello furioso e imperioso di Alonso, che tutto offre e molto pretende, che si lamenta e si offende. Senza mai dimenticare la grinta, la convinta dedizione, la necessità di affermazione. Quello deliziato e infervorato di Vettel, che si infuoca e si offusca, accecato dalla luce corrusca del Rosso. Senza tralasciare la spinta, la necessaria passione, l’istinto fedele nei confronti di una missione. Due piloti immensi allo sbaraglio, suscettibili ed esposti alle critiche per ogni sbaglio. Due anime accese, protese verso il vero spirito dell’#EssereFerrari.
Foto: Ferrari – McLaren