Dici Verstappen e subito pensi al leone, all’olandesino volante tutto pepe in pista e senza peli sulla lingua, fuori. Beh, mica gli è stato dato a caso il soprannome “Mad Max”… eppure, a ben guardare questa parte di stagione, al neo 22enne sono richieste altre qualità in comune con il re della foresta. Quali? Procediamo per gradi.
Honda con Red Bull ha cambiato pelle, archiviando la fallimentare esperienza McLaren e trovando, con il team austriaco, un feeling profondo all’insegna dell’armonia e della fiducia reciproche. Un percorso di crescita concreto, solido, che non poco ha contribuito ai due successi stagionali, in Austria e Germania, ottenuti da Max. Dopo l’estate, però, Red Bull non è più riuscita a progredire e il gap verso Mercedes e Ferrari si aggira stabilmente sul mezzo secondo e nemmeno il “motorone” Honda con la nuova specifica di Sochi ha impressionato. Tutt’altro.
Alla luce di ciò, le ultime dichiarazioni di Jos Verstappen esprimono un tono preoccupato per la stasi di progresso della RB15 e allarmistico circa la mancanza di prospettive vincenti per il figlio anche nel 2020. Anche se umanamente lo si può capire, papà Jos sbaglia, almeno a parer mio, a credere che il 2020 sarà, letterale, “Un altro anno buttato” per la carriera del figlio. Prima di tutto perché il tempo è dalla parte di Max; mi direte: la carica dei giovani in F1 è continua, costante e alcuni rookie sono anche nati dopo l’olandese. È vero, ma lo è altrettanto che finora solo lui e Charles Leclerc hanno dimostrato di possedere un talento esplosivo, di un’altra pasta, appena sbarcati in F1. Verstappen padre è consapevole da sempre della qualità sopraffina della stoffa del “pargolo” e considera uno spreco qualsiasi situazione che non lo porti alla guida della miglior monoposto disponibile nel lotto dei top team.
Mette pressione, Jos, sia sulla squadra che su Honda, dimentico dei passi da gigante fatti dai giapponesi e dell’evidenza che ad un progetto congiunto, ad un binomio targato 2019, serve tempo per consolidarsi. Parole che, per giunta, arrivano prima di Suzuka, sentitissima gara di casa per Honda. I motoristi giapponesi ci tengono talmente, da aver voluto montare gli aggiornamenti su tutte le 4 vetture, fra Red Bull e Toro Rosso, in modo da evitare penalizzazioni in griglia in terra natia. Non si tratta solo di orgoglio patrio, ma di fierezza nel recriminare il proprio blasone: come dimenticare, infatti, l’era della prima McLaren-Honda, in special modo la MP4/4 del 1988, una delle monoposto più vincenti di sempre, che si impose in 15 gare su 16 conducendo Ayrton Senna alla conquista del suo primo titolo iridato? Davanti al loro pubblico, Honda vuol fare il meglio possibile, dimostrandogli dal vivo d’aver intrapreso la via corretta per, progressivamente, tornare a quei fasti.
Nonostante questo, anche Max si è espresso sulla stessa linea del genitore, confidando ai media, come al solito senza mezzi termini, di non sentirsi fiducioso per Suzuka, non aspettandosi un fine settimana degno di nota. Il suo è uno stato d’animo di certo figlio del periodo poco brillante e forse senza sbocchi tecnici nello sviluppo della vettura che lo ha portato, nella classifica mondiale piloti, a perdere il terzo posto a beneficio di Charles Leclerc. Ma L’olandese ha già modificato molto della sua condotta in pista, imparando a limare il suo istinto, a sposarlo con la visione di una gara intera; è riuscito, insomma, a saper aspettare a breve termine. Gli riuscirà, quindi, anche di guardare alla propria carriera in F1 come al completamento di un percorso: tutti i migliori piloti delle ere precedenti, infatti, hanno dovuto attendere diverse stagioni prima di poter guidare la monoposto migliore: è fisiologico, è la meccanica graduale dell’affermazione sportiva. Da qui il paragone iniziale: così come il leone aspetta con costanza e pazienza il momento propizio per sferrare l’attacco alla propria preda, Verstappen deve attendere il proprio tempo e soprattutto costruirlo in quella parte che va oltre il suo indubbio talento e passa nel prendere per mano il proprio team senza farlo sentire inadeguato o insufficiente.
Autore: Elisa Rubertelli – @Nerys_
Foto: Red Bull, Honda