Uno spettro si aggira per il paddock: lo spettro della smobilitazione. Cito in maniera assolutamente irriverente Marx ed Engels per fotografare quanto sta accadendo nel mondo Mercedes. Perchè negli ultimi tempi il vociare si è fatto rumoroso, a tratti fastidioso. I soliti bene informati, quelli che campano di pane e notizie, gli insider di mestiere, narrano che a Stoccarda ne hanno le scatole piene della Formula Uno e che stiano cercando una comoda via d’uscita manco fossero Barack Obama che annuncia di voler alzare i tacchi dall’Afghanistan. Come è possibile che un team che ha cannibalizzato i mondiali negli ultimi sei anni possa andar via da quel contesto che che gli ha dato prestigio e ritorni economici a svariati zero? E’ una domanda che un po’ tutti ci poniamo e se la cosa accade è perchè in questa vicenda potrebbe esservi un fondo di verità confermato da certe esternazioni non tropo sibilline dei protagonisti.
In principio è stato Toto Wolff ad alimentare la fiamma dell’equivoco quando, criticando il nuovo patto della concordia (tra l’altro non firmato ancora), aveva aperto a scenari fino a poco fa imprevedibili. Il manager austriaco, temendo un accordo troppo sbilanciato in favore della Ferrari, si era messo a lanciar minacce mal velate sulla permanenza del colosso tedesco nella Formula Uno (leggi qui). Un campanello che non tutti hanno voluto ascoltare derubricando l’allerta a semplice provocazione politica. Che, per carità, ha comunque il suo valore perchè le vittorie regolamentari si ottengono con la lingua biforcuta e non con lo scudiscio. E ne sa qualcosa Mattia Binotto che non smette di brandire a mo’ di alabarda il diritto di veto che tanto comodo fa nel momento in cui ci si siede al banchetto dei potenti. Alla Mercedes, lesa maestà teutonica, questa cosa fa girare gli attributi come le pale di elicottero Apache. Da qui il contropiede mediatico.
Eppure qualche dubbio serpeggiante trapela dalle segrete stanze germaniche. Ola Kallenius, grande capo della Stella a Tre Punte, resta sempre nel guado quando parla e dunque non sgombera mai il campo dalle illazioni. Le sue esternazioni sono aperte ad ogni interpretazione e chi armeggia con penne e taccuini, per indole e deformazione, inizia a far congetture. Il cinquantenne manager svedese ha dato un colpo alla botte e uno al cerchio: ha confermato l’impegno della Mercedes in Formula Uno considerando i lusinghieri risultati sportivi sottolineando che il ritorno economico frutto dei trionfi è enorme a fronte delle spese sostenute. Tra l’altro, il successore di Dieter Zetsche ha affermato ancora una volta che il team non solo si autofinanzia grazie agli sponsor e ai proventi di Liberty Media, ma che è anche in grado di chiudere i bilanci in attivo. Insomma una miniera d’oro per il gruppo Daimler AG.
Ma perchè allora si teme un disimpegno? Semplice. Mercedes va incontro ad un periodo di austerità derivante da programmati tagli di spesa. Stoccarda deve risparmiare ben 1,4 miliardi di euro con i quali coprire anche la multa di quasi 900 milioni che il gruppo industriale deve elargire dopo che la procura di Stoccarda, nell’abito del processo Diselgate, ha verificato che anche la “Stella“ ha barato sui valori delle emissioni dei propri propulsori. In effetti Kallenius non fa riferimento diretti ad un parziale disimpegno, ciò che agita gli osservatori è la scarsa affinità che il dirigente ha con l’idea stessa del programma F1. Comunque, finchè la presenza nella massima serie genererà un gettito di un miliardo di euro in ritorno di immagine, pare difficile che Mercedes faccia i bagagli. Questo a rigor di logica.
Ma c’è un altro elemento che mantiene la situazione sospesa a metà aria. Si tratta dell’appetibilità di un reparto corse all’avanguardia. Mercedes AMG F1 è il miglior team del mondiale per organizzazione, procedure interne, strutture. E se se qualcuno alimenta dubbi sulla permanenza dello stesso nel mondo della F1 è naturale che eventuali compratori drizzino le antenne. “Radio Box” ha fatto anche dei nomi che hanno una credibilità storica e una grande forza economica. Il primo gruppo che si sarebbe interessato agli anglo-tedeschi è quello che fa riferimento al magnate russo Dimitri Mazepin. Un uomo concretamente attratto dal motorsport dato che avrebbe formulato offerte anche per la Williams. Ma non solo: Dimtri è il padre di Nikita, pilota di Formula 2 che orbita nella costellazione Mercedes tanto che ha provato la W10 in una sessione di test a Barcellona tenutasi a metà maggio di quest’anno.
Ma è un’altra la voce che si fa più ingombrante e ci riporta direttamente agli Stati Uniti. Il vero interesse sarebbe quello manifestato da Roger Penske che ha recentemente acquisito la Indycar e lo storico autodromo di Indianapolis. Penske è uomo di motori da sempre ed ha collaborato in passato con Mercedes che ha fornito i propulsori alle monoposto a stelle e strisce. Ma vi sarebbe un altro elemento a spingere per questa operazione: il placet di Liberty Media che vorrebbe intensificare la presenza statunitense nella massima formula e vorrebbe farlo con un team in grado di vincere subito. Un’azione dunque politicamente coerente che fa ritenere che Mercedes possa vacillare e rivedere il suo programma proprio perchè manca ancora l’adesione al patto della concordia.
Intendiamoci, non sarebbe una esercizio semplice disimpegnarsi di colpo. Dal 2021 Brixworth si troverà a dovere fornire power unit per tre team oltre a quello ufficiale. Un vincolo siglato e formalizzato da accordi stringenti. Da qui le speculazioni su un impegno parziale. Mercedes potrebbe lasciare la scuderia ad un ipotetico compratore e defilarsi nel ruolo di fornitore di power unit come accadeva negli anni novanta e nei duemila. E proprio questa massiccia presenza tra le squadre potrebbe invero essere il grimaldello col quale Wolff e soci possono ottenere condizioni più vantaggiose nel nuovo patto collettivo. Chiamarsi fuori vorrebbe dire lasciare il 40% delle vetture senza power unit. Con una Renault vacillante, una Honda anch’essa in fase di valutazione sul medio periodo, la F1 potrebbe trasformarsi in una sorta di monomarca ferrarista che farebbe male proprio a Maranello. La complessità delle power unit odierne scoraggia drasticamente l’ingresso di nuovi costruttori. Mercedes lo sa e fa la voce grossa per vedere i suoi interessi tutelati.
Una partita a scacchi che coinvolge più attori e dalla quale potrebbe dipendere il futuro recente non solo di Brackley-Brixworth ma anche della stessa Formula Uno. Un panorama imperscrutabile nel quale gli stessi protagonisti sembrano divertirsi a creare ulteriore caos. Toto Wolff si è dato alla macchia in Brasile. Qualcuno dice che l’ha fatto per motivi familiari, qualcun altro sostiene che sia rimasto scottato da un Paese nel quale è difficile girare senza rischiare di non portare a casa la pellaccia. Qualcun altro ancora ritiene che il manager austriaco, che di Mercedes AMG F1 detiene un cospicuo 30%, fosse all’opera proprio per piazzare il team al miglior offerente. Nessuna conferma in merito, nessuna prova tangibile nè un avvistamento insieme ai presunti offerenti. Ma la mancanza dell’occhialuto ex pilota ha fatto rumore e, ovviamente, ha alimentato le suggestioni su un imminente passaggio di mano delle Frecce d’Argento.
In questo mega Risiko si incastra un argomento apparentemente marginale ma che inquadra lo stato attuale delle cose: più di un dubbio si sta instillando sulla presenza di Hamilton nel team di Brackely dopo il 2020. Chi parla di ritorno alla McLaren, chi di approdo a Maranello, chi di ritiro. Il protagonista chiude solo a quest’ultima ipotesi, ma lascia aperti spiragli su altre destinazioni. Anche Wolff lancia messaggi su un futuro senza Hamilton. Potrebbero essere semplici schermaglie pre-rinnovo, ma potrebbe esservi una ragione più materiale alla base e che riconduce direttamente a quel taglio di 1,4 miliardi di euro e al nuovo sistema di dividendi che alla Mercedes proprio non piace. Col Salary Cap che prenderà a funzionare nel 2021 gli stipendi dei piloti saranno pagati con risorse extra budget. Il campione del Mondo non percepisce bruscolini e Stoccarda potrebbe decidere di liberarsi di un ingaggio di oltre 40 milioni netti a stagione. Un risparmio che potrebbe rientrare in una più grande dieta dimagrante fiscale che Daimler deve necessariamente affrontare con successo.
Insomma, la confusione regna sovrana e le strategie di medio termine sono illeggibili ai più. Ma perchè Mercedes dovrebbe lasciare se guadagna bene dalla presenza in Formula Uno? La questione potrebbe essere duplice e facilmente giustificabile. In primis sta cambiando la concezione di mobilità, con l’automobile che si sposta sempre più verso l’elettrico. E in virtù di ciò si potrebbe spiegare l’ingresso in pompa magna in Formula E. Ancora, Mercedes potrebbe semplicemente aver terminato gli stimoli a competere dopo aver fatto man bassa per sei anni. Una missione esauritasi, in soldoni. Tra l’altro i “grigi” potrebbero non avere più bisogno della Formula Uno. A differenza di Ferrari che produce solo vetture iper-sportive e vede nella massima categoria una vetrina indispensabile per vivere, Mercedes ha un target produttivo e clientelare più vasto, che potrebbe non risentire dello smarcamento dalla F1.
Al momento di concreto c’è solo l’immediato futuro che si chiama campionato 2020 nel quale il team cercherà di continuare il suo imperio. Ma dall’anno successivo la Formula Uno così come la conosciamo potrebbe subire uno shock non solo per il varo delle nuove norme, ma perchè i dominatori incontrastati degli ultimi tempi potrebbero salutare o rivalutare la propria presenza. Non ci resta che attendere.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes AMG F1, Daimler AG
È per questo che F1 è sinonimo di Ferrari, tutti gli altri vanno e vengono secondo convenienza.
Sono d’accordo. Anche se pure la Ferrari ragione in base al suo utilitarismo benthamiano. La F1 serve a Maranello, non sono lì per romantico spirito di competizione.
Bell’ articolo.
Ciao!
Grazie Mille 😉