Diciassette. E’ questo il numero di compagni di squadra che Rubens Barrichello ha avuto nella sua carriera “formulistica” durata ben 18 anni. Un periodo nel quale il brasiliano ha potuto saggiare, valutare e soppesare le caratteristiche di piloti che hanno scritto pagine importanti nel grande libro del motorsport. Tra quelli affrontati sotto le medesime insegne spiccano su tutti i campioni del mondo Jenson Button e Michael Schumacher. Driver che non hanno bisogno di presentazioni e che spiegano perchè Rubens, anche quando ha avuto la vettura idonea a lottare per il bottino grosso, non è riuscito a portare in Brasile quel mondiale che al paese sudamericano manca dal 1991, anno in cui Ayrton Senna si laureò il migliore della classe per la terza e ultima volta.
Insomma, Barrichello è uno che ha sviluppato l’occhio lungo in virtù di una carriera di altissimo spessore. Un bagaglio conoscitivo costruito spesso a sue spese, dovendo anche ingoiare bocconi amari per ordini di scuderia non troppo limpidi da un punto di vista etico-sportivo. Rubens è quindi uno che se ne intende e che, dall’alto della sua comprovata onestà intellettuale, ha facoltà di giudicare serenamente un collega senza lasciarsi trasportare da invidie, gelosie o amori.
Ciò che ha riferito in un’intervista rilasciata a ESPN Brasile farà discutere. “Lewis Hamilton ha un talento forse superiore a quello di Ayrton Senna e di Michael Schumacher“. Boom. La dichiarazione è in effetti assai rumorosa perchè coinvolge i due piloti che, a larghissima maggioranza, vengono considerati come i più grandi di sempre. “Rispetto a quei due – ha aggiunto “Rubinho” – a Lewis mancava solo la maturità. Ma è un problema che ha superato visto che anche su questo fronte ha fatto progressi enormi. E oggi si vede il prodotto finale di questo processo di maturazione“.
Ovviamente quella dell’ex Ferrari è un’opinione del tutto personale che, però, pare essere basata su fatti concreti. La crescita tecnica, la capacità di gestire il mezzo, la consapevolezza di sé e la visione di gara sono caratteristiche che Hamilton ha costruito negli anni in maniera certosina fino a farlo diventare, insieme a vettura e team, una macchina pressoché perfetta che ha macinato sei titoli mondiali, 84 vittorie di tappa e ben 88 pole position con lo rendono il miglior di sempre in questa specialità.
C’è un aspetto in particolare di Hamilton che ha fatto presa sul pilota paulista: la capacità di comunicare col muretto box per ottenere il massimo della performance dalla sua monoposto: “Quando ho ascoltato i suoi team radio durante il recente Gran Premio del Brasile ho potuto notare la sua incredibile calma. E’ capace di fornire le informazioni necessarie ai suoi ingegneri, sa dire ciò che serve e cosa non gli serve“. Il britannico, in alcuni fondamentali, è al top nella concezione di Barrichello che, però, ha un’idea molto particolare di chi sia il più grande di sempre. Anzi, di cosa sia: “Il pilota perfetto avrebbe la capacità di guida di Senna, il coraggio di Schumacher e la visione di gara di Hamilton“.
Un idealtipo che probabilmente non vedremo mai solcare le piste del mondiale ma al quale Lewis Hamilton si avvicina. Anche se non troppo spesso questa evidenza viene assunta come tale da addetti media e tifosi. Ma questo è un discorso vecchio come il mondo ed ha a che fare con una sorta di “filtro nostalgia” in virtù del quale si tende a mitizzare ed esaltare ciò che è stato senza tributare i giusti e legittimi meriti a chi è tuttora in attività. Con ogni probabilità la portata e l’importanza di Hamilton avrà il corretto risalto quando la sua carriera sarà terminata. Anche se, va sottolineato, tra gli ex colleghi l’anglo-caraibico gode di grande stima. Ciò che ha asserito Barrichello è più o meno quanto espresso da Eddie Irvine (leggi qui) e da David Coulthard. Questa discrasia percettiva tra chi osserva o racconta le gare e chi invece l’asfalto l’ha calcato per anni dovrebbe far riflettere. E consigliare maggior oculatezza nei giudizi.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes, F1