C’erano una volta i test in pista. Ogni team, quando aveva bisogno di provare novità piuttosto che raccogliere dati per sviluppare un dato concetto aerodinamico o meccanico, non aveva altra soluzione che fare armi e bagagli e “interrogare” l’asfalto. Poi la naturale evoluzione tecnologica ha iniziato a modificare, snaturandole, prassi consolidati che parevano incrollabili tanto erano insite all’idea stessa di Formula Uno. Prima le gallerie del vento, sempre più affidabili nei riscontri, poi le complesse analisi al computer coadiuvate dai simulatori che sono diventati l’oracolo tecnico dei giorni nostri, hanno spostato la progettazione e la successiva verifica di funzionalità nella sfera virtuale. Complice anche una netta sterzata normativa verso l’uso sempre più massiccio dei modelli simulati atti a replicare minuziosamente le condizioni che potrebbero trovarsi su uno specifico tracciato, le sessioni di prove private sono del tutto sparite, bandite. Quasi demonizzate. A conferma di ciò vi è la sensibile riduzione delle fondamentali sedute ufficiali di test di inizio anno. Nel 2020, infatti, saranno limitate a sole sei giornate totali a fronte delle otto dell’anno passato.
Viene da sè che il lavoro in fabbrica è ormai diventato preponderante su quello in pista. Ecco perchè, sovente, i turni di libere del venerdì (e non solo) si trasformano in sedute di prova per legare e comparare i dati emergenti dai simulatori con quelli che scaturiscono dalla pista. La stessa ricerca dell’assetto ideale è spesso demandata al lavoro dei piloti di riserva che passano nottate ad inanellare giri virtuali davanti ad un monitor per supportare – e in molti casi facilitare – il lavoro dei driver di ruolo.
In questo mutato quadro storico è logica conseguenza che i team più preparati sul versante simulatori siano quelli più avvantaggiati. Chi è in ritardo sta effettuando una corsa a perdifiato per recuperare il terreno perso. L’anno iniziato da una settimana è quello chiave. Si tratta dell’ultima chiamata prima che la scure del budget cap cali inesorabilmente, smorzando le velleità di investimento, sulle compagini che compongono la Formula Uno. Naturalmente ogni team può impiantare nuovi simulatori anche dal 2021, ma l’esborso- che è parecchio esoso – andrebbe sottratto al monte spese totale che le nuove norme sportive imporranno.
Il 2020, insomma, rischia di essere una stagione nella quale le scuderie penseranno maggiormente all’anno che verrà piuttosto che a quello in corsa. Per assurdo, se una squadra verificasse che il progetto tecnico della monoposto è deficitario, potrebbe trovare maggiore utilità nel bloccare lo sviluppo, mollando di fatto la presa, per spendere tutto il budget ancora libero in previsione del 2021 e degli anni seguenti. La scelta è strategica e sarebbe comprensibile perchè, stando alle parole di Chase Carey, Jean Todt e Nicholas Tombazis, la volontà dei gestori della categoria è quella di andare ancor più nella direzione dell’abolizione della pista per testare l’efficienza delle vetture.
la Ferrari, che quest’anno qualche problema di correlazione dati simulatore-pista l’ha incontrato, non è ancora del tutto pronta col nuovo diabolico “aggeggio”. Il dispositivo è in fase di completamento e, successivamente, sarà necessario calibrarne il software di supporto e, operazione ancor più delicata, trovare i giusti riscontri con la pista. Per tal ragione le squadre si affidano spessissimo a piloti con una certa esperienza. Solo chi, infatti, ha saggiato l’asfalto riesce a capire appieno se il simulatore “dice” il vero o mente.
Non è un caso che a Maranello sfruttino il lavoro di tre piloti: Pascal Wehrlein, Brendon Hartley e Antonio Fuoco. Ai quali, di tanto in tanto, si affianca anche Antonio Giovinazzi che poco prima di Natale si è prodotto in una lunga sessione di prove virtuali. Un fatto dovuto, con ogni probabilità, ad una particolare situazione: l’Alfa Romeo, nella sede svizzera di Hinwil, è da poco operante il nuovo macchinario. Ragione per cui il lavoro del pilota pugliese può risultare prezioso nella calibrazione del nascente simulatore di Maranello.
Settare precisamente il simulatore fa tutta la differenza del mondo. Lampante il racconto di Alexander Albon che, a Marina Bay, ha riferito che i dati emersi dalla fabbrica avevano mandato gli ingegneri su una strada totalmente errata vista che avevano impostato la vettura con un assetto estremamente rigido che aveva determinato una cospicua mancanza di carico aerodinamico.
Se guardiamo alla Formula Uno del recente passato si prova una strana sensazione. Questo sport, in alcuni fondamentali, è stato snaturato. E la cosa, evidentemente, si deve ad una volontà politica. Che però non è campata in aria come spesso si sente dire dai nostalgici oltranzisti. La tecnologia si evolve ad una velocità smisurata, impensabile qualche lustro fa. Il settore dell’automobile, nel suo complesso, si muove di pari passo a questa inarrestabile progressione. Quindi, quello di demandare lo sviluppo di una vettura ad uno strumento che si basa su elementi virtuali, è un processo naturale. Anche se a tratti può sembrare forzato.
La partita, dunque, non si gioca più sul campo delle squadre test, ambito nel quale la Ferrari non aveva rivali, ma si è spostata nell’acquisizione di competenze un tempo sconosciute ma che ora sono decisive per vincere. Uno dei motivi del successo della Mercedes è proprio aver puntato su un “comparto simulatore” molto avanzato che fa la differenza sia nella fase progettuale che nel supporto alla normale attività in pista. Ormai tutti sono consci di ciò. Emblematica è la scelta della Alfa Romeo di puntare su una vecchia volpe come Robert Kubica che avrà il delicato compito di sedersi nel simulatore della sede di Hinwil. Una decisione che racconta con chiarezza che le sorti di qualsiasi squadra passano per la puntuale messa a punto di questi preziosi strumenti di analisi.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Alessandro Arcari, F1