Un campionato che doveva essere di apprendistato e che invece ha mostrato al mondo un pilota già pronto ed efficace in ogni condizione. Questo è stato il 2019 di Charles Leclerc che, dopo un paio di gran premi, già aveva messo le cose in chiaro a suon di prestazioni. Spezzando, quindi, le convinzioni di Mattia Binotto che aveva individuato in Vettel il leader delle operazioni, col monegasco nel ruolo dell’alunno diligente. Alla fine, è storia nota, l’ex alfiere della Sauber ha battuto il quattro volte campione del mondo. E lo ha fatto sia in qualifica – con un perentorio e inappellabile sette a due – che in gara, ottenendo un trionfo in più di Seb. Ma soprattutto piazzandosi davanti all’ex Red Bull nella classifica finale. Che Lerclerc si presentasse a Maranello coi galloni del campioncino era chiaro sin dalla strabiliante trafila fatta in tutte le categorie propedeutiche; ma l’impatto nel mondiale, al di là di qualche comprensibile topica normalissima per un poco più che ventenne, ha sorpreso i più.
Charles, fresco di rinnovo contrattuale fino al 2024 (leggi qui per approfondire), è un perfezionista ed è ben conscio che per diventare un campione a tutto tondo non può cullarsi sugli elogi. Anzi, come spesso ha fatto, sa che è necessario esprimere autocritica per stanare i punti deboli e lavorarci su per superarli. Se, come dicevamo, in qualifica la differenza con Vettel è stata schiacciante, questo gap non si è manifestato con altrettanta importanza sul passo gara. La sensazione che il tedesco, di domenica, trovasse qui decimi di secondo smarriti al sabato e quella costanza figlia della smisurata esperienza, è stata netta. Tant’è che il “N°5” ha ribaltato le sorti di qualifiche che non l’avevano visto brillare.
Proprio questo è l’aspetto sul quale Leclerc intende concentrarsi per fare lo scatto in avanti decisivo. Per definirsi, dunque, a tutto tondo. Per sviluppare quelle doti necessarie ad ogni campione del mondo che risponda pienamente a questa etichetta. “Dopo i primi tre-quattro GP – ha dichiarato il pilota ai microfoni del portale Autosport – ho notato che le mie debolezze erano maggiori in qualifica rispetto alla gara. Pertanto mi sono concentrato sul sabato e, dal GP di Francia, ho fatto un bel passo in avanti“. Parole che spiegano chiaramente quale sia il modus operandi di un ragazzo decisamente risoluto: prima perfezionarsi laddove si è più lacunosi e poi “aggredire” il problema gara per affinare e completare il bagaglio tecnico.
A tal riguardo il monegasco ha ammesso: “In gara ho ancora molto da fare. Seb ha grande esperienza e al momento è più forte di me. In questo inverno mi sto concentrando proprio su questo aspetto per cercare di migliorarlo. In quest’ottica proverò a non rifare gli errori che ho commesso nel 2019 e che hanno sottratto al team qualche vittoria. La stessa squadra deve migliorare alcune dinamiche per risultare quasi perfetta“.
Naturalmente la lotta al titolo è possibile solo se il team sarà capace di sfornare una monoposto in grado di competere ad altissimi livelli. Di questo ne è ben conscio Leclerc che sottolinea: “Prima di ogni gara è molto difficile sapere a che punto è la vettura rispetto alla concorrenza. Nei test invernali 2019, ad esempio, sembravamo essere avanti e invece durante il campionato è successo altro. Dobbiamo aspettare il Gran Premio d’Australia per capire dove effettivamente siamo piazzati. In ogni caso, a livello personale, mi sento più pronto rispetto all’inizio della passata stagione“.
Ma il mondiale chiusosi col sesto titolo di Lewis Hamilton ha raccontato anche di una tensione che, in alcuni momenti, specie tra i tifosi schierati in opposte e belligeranti fazioni, ha ricordato – e mi sia concesso di essere consapevolmente esagerato – quella che si è toccata nella Crisi d’Ottobre tra USA e URSS. Il rapporto tra Vettel e Leclerc, nato come puro ed adamantino, si è ben presto incrinato. E a poco sono servite le parole dei protagonisti che hanno cercato, maldestramente e vanamente, di gettare acqua su un incendio che invece divampava impetuoso ed incontrollato. Monza, Singapore, Sochi, San Paolo sono capitoli di un libro fatto di pagine scritte con inchiostro velenoso. Che la Ferrari abbia gestito male il dualismo tra i due galli è un fatto oggettivo, difficilmente confutabile. Lo sa Binotto. Lo sa lo stesso Leclerc che ha provato a distendere gli animi raccontando ai media di lunghe telefonate col compagno con l’intento di sotterrare l’ascia da guerra. Solo la pista e il tempo diranno se i protagonisti si sono limitati a dichiarazioni di facciata o hanno di fatto imboccato la strada che porta alla definitiva pacificazione che vorrebbe dire serenità interna e conseguimento degli obiettivi sportivi.
Leclerc non si è sottratto a questo scabroso argomento. “Siamo persone mature e siamo dei professionisti – ha sentenziato la punta di diamante dell’Academy Ferrari – Entrambi vogliamo vincere e sarebbe illogico se pensassimo il contrario. Siamo estremamente competitivi e può capitare che in pista abbiamo degli attriti. Ma siamo intelligenti e capiamo che le cose accadute in pista restano in quell’ambito. Là terminano. La cosa veramente importante è lavorare bene per cercare di sviluppare l’auto nella giusta direzione. Naturalmente, per il bene della squadra, non dobbiamo valicare i limiti come successo in Brasile. Dove entrambi abbiamo imparato una grande lezione“.
Insomma, Leclerc appare molto determinato e, a leggere bene queste ultime parole, non sembra avere l’intenzione di cedere il passo in pista. L’auspicio è quello di giungere ad una proficua collaborazione atta a far crescere team e macchina. Ma, tra le righe, si scruta la chiarissima volontà di voler liberamente competere imponendosi all’esperto compagno di marca. E in effetti è proprio quello che Maranello vuole se consideriamo il prolungamento fino al 2024 a fronte dell’imminente scadenza di Vettel. Questa manifesta discrasia contrattuale andrà gestita con grandissima abilità e delicatezza da Binotto e da chi sta ancora più in alto del team principal elvetico.
La Ferrari ha puntato forte su Leclerc e, contestualmente, attende di verificare ulteriormente le prestazioni di Vettel che, negli ultimi due anni e mezzo, sono state al di sotto delle attese. Questa condizione è un seme di sedizione che potrebbe germogliare in amari frutti. Ecco perchè serve oculatezza. Specie quando gli avversari principali giocano, in un modo o nell’altro, con una sola punta supportata da un pilota di livello inferiore. Tra i top team il Cavallino Rampante è l’unico che annovera una line-up così completa e agguerrita. Potrebbe essere un vantaggio in caso di monoposto dominante. Potrebbe essere una bella gatta da pelare se, come l’anno passato, la vettura non eccellesse.
Il monegasco, dunque, è lanciato in una duplice sfida: da un lato quella di colmare le sparute lacune tecniche mostrate nell’arco del campionato 2019; dall’altro imporsi come trascinatore in seno alla squadra mantenendo un rapporto di civile e prolifica convivenza con Sebastian Vettel che, dal suo canto, ha nella stagione che avrà inizio il 15 marzo un’occasione per rendere limpido un futuro che ora appare avvolto da una nebulosa. Seb deve guadagnarsi un top team per il 2021 e questo potrebbe essere proprio la Ferrari perchè le porte di Red Bull e Mercedes (sempre più probabile il rinnovo di Hamilton) al momento sembrano essere serrate a doppia mandata. il legame con Maranello potrebbe continuare. Ma solo nel caso in cui Vettel disputasse un’annata in linea con il suo superbo palmares.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Ferrari, F1