In F1 l’unica certezza è che non c’è certezza
L’unica cosa certa è che non v’è certezza. Questo è il quadro sintetico del momento che sta vivendo la Formula Uno dopo la cancellazione del Gran Premio d’Australia a poche ore, anzi minuti, dal semaforo verde che avrebbe dato il via alla prima sessione di prove libere. Allo stop formalizzato da Chase Carey in una conferenza stampa improvvisata all’Albert Park è seguito un comunicato della FIA che ha confermato quanto aleggiava tra i motorhome nei minuti successivi al blocco: il rinvio dei GP del Bahrein e del Vietnam che vanno ad accomunare il proprio destino a quello del Gran Premio dellaCina già congelato prima dell’avvio dei test spagnoli. A questo punto è necessaria una massiccia rimodulazione del calendario per non rendere monca quella che doveva essere la stagione più lunga della storia della F1. Ma non sarà semplice dato che bisogna far collimare volontà tra esse conflittuali.
In questo momento sul piatto di Liberty Media e della FIA non c’è una proposta fattiva da sottoporre ai team che sono alle prese con il ritorno alla base e soprattutto con l’emergenza Coronavirus che, per ora, ha toccato la McLaren e, stando a notizie non confermate ufficialmente, anche la Mercedes. Tra le idee contemplate dagli organi decisori c’è quella di arrivare a creare un calendario di almeno diciotto appuntamenti da disputarsi a partire da Baku, gara che è prevista per domenica sette giugno. Tre mesi per rimodulare una stagione e per riorganizzare l’impressionante logistica che sta alle spalle di un evento della massima categoria del motorsport. Giorni nei quali la diplomazia deve operare certosinamente ed efficacemente per mettere insieme un puzzle i cui tasselli sono sparsi e mischiati in maniera quasi irrisolvibile.
“Possiamo spostare le gare posticipate verso al fine della stagione – ha riferito Ross Brawn a Sky Sports UK – magari rimuovendo la pausa di agosto. Mi aspetto che si arrivi ad un nuovo calendario per il resto della stagione. Sicuramente avrà un aspetto diverso, ma verrà mantenuto un buon numero di gare. Sono abbastanza ottimista che riusciremo ad organizzare 17 o 18 GP quest’anno. Questi mesi di inattività serviranno a ripensare tutto“. Da queste parole si evince che il Mondiale 2020 potrebbe chiudersi nelle imminenze del Natale, un’assoluta novità in F1 che di certo mal si sposa con la rivoluzione tecnica del 2021. Ancora, la logica suggerisce che per recuperare le sei gare (o parte di esse) posticipate sia quasi obbligatorio immaginare che la consueta pausa agostana salti. Ma saranno tutti concordi affinché ciò si verifichi?
La risposta, senza girarci troppo intorno, è no. Liberty Media starebbe pensando di imporre un mese di stop forzato ai team. Una chiusura coatta delle fabbriche nell’attesa che la pandemia scemi con il susseguente abbassamento dei rischi di contagio. Una decisione che, ad esempio, Ducati e Lamborghini hanno già preso. Un provvedimento che sembrerebbe incontrare i favori di Mercedes e Williams. Ma non di Red Bull che si era strenuamente opposta al rinvio del GP di Australia (versione confermata dallo stesso Helmut Marko, nda). E nemmeno della Ferrari che vede in questo rinvio dell’inizio della stagione un’opportunità per mettersi a lavorare a testa bassa sui difetti che affliggono la SF1000 per presentarsi ai nastri di partenza più solida che mai. Nonostante la fabbrica della Rossa sia allocata laddove il virus sta colpendo in maniera più feroce, non è previsto alcuno stop all’attività lavorativa. Ecco che Maranello diventa un ostacolo ai propositi di Ross Brawn che si dice convinto di stilare un nuovo calendario che abolisca le quattro settimane di pausa previste tra il Gran Premio d’Ungheria e quello del Belgio. Per risolvere il problema servirebbe un diktat che imponga alla Scuderia e a tutti gli altri team di fermarsi con decorrenza immediata. Ipotesi da non scartare visto che Liberty Media e FIA pare stiano ragionando concretamente su questo scenario.
Che vi sia la necessità che il calendario venga rimodulato pesantemente lo si può capire anche da ciò che sta accadendo in Spagna in queste ore. Le autorità governative hanno poco fa diramato massicce restrizioni che ricordano molto da vicino quelle che l’Italiaadotta da ormai cinque giorni, ossia da quando il Primo Ministro Giuseppe Conte ha allargato a tutto il Paese i provvedimenti che riguardavano i focolai più violenti del virus Covid-19. L’appuntamento calendarizzato per il 10 maggio è praticamente rinviato anche se non vi sono conferme ufficiali. Che comunque saranno ratificate a breve.
Joan Fontserè, direttore del Circuit de Barcelona-Catalunya, ha ammesso che lo slittamento è praticamente già stato stabilito: “Ci siamo resi disponibili con Liberty Mediaper valutare ogni opzione, dallo spostamento al disputarlo a porte chiuse o con poco pubblico. O addirittura farlo nel 2021. I dirigenti della F1 – ha spigato Fontserè all’emittente radiofonica spagnola Radio RAC1 – hanno affermato che il Mondiale non potrà iniziare prima di fine maggio“. E questo non fa che confermare che la visione di Ross Brawn è quella che al momento sembra essere la strada da seguire.
Il direttore del tracciato si dice fiducioso sul fatto che la gara possa essere ripescata nella seconda metà dell’anno grazie alla posizione logisticamente favorevole che la Spagna occupa sullo scacchiere geografico: “Barcellona ha chance per il secondo semestre del 2020. La posizione strategica del Paese e il clima ci danno ottime possibilità. Potremmo facilmente adattarci ad un altro periodo dell’anno rispetto a quello inizialmente previsto. Vedremo quale sarà la soluzione. Nei prossimi giorni parleremo con tutti le parti coinvolte, ma è chiaro che la situazione è complessa“. Un circuito di Montmelò che, dunque, chiude momentaneamente i battenti non solo alla F1, ma anche al resto delle svariate attività che ospita in questi mesi.
Tempi duri quelli che sta affrontando la F1. Tante le critiche che i decisori hanno subito e che subiranno nei prossimi giorni per scelte decisioni da prendere e che sicuramente scontenteranno qualcuno. Nei momenti di emergenza è complicato tenere la barra dritta ed essere sempre lucidi. Lo conferma Max Mosley, uno che ne ha viste di cotte e di crude in 23 anni di presidenza FIA. Parlando di quanto successo in Australia, il settantanovenne dirigente inglese ha ricordato il controverso Gran Premio di Indianapolis del 2005, quello in cui si presentarono ai nastri di partenza soltanto le sei monoposto non equipaggiate dalle gomme Michelin che avevano manifestato gravissimi problemi di tenuta. “Far partire così poche auto fu una di quelle situazioni in cui devi prendere una decisione e qualunque cosa tu faccia vieni criticato. Volgendo lo sguardo al passato quella era al 100% la cosa giusta da fare anche se infastidì moltissime persone. Fu molto difficile perché non eravamo assolutamente certi che fossa la scelta corretta“. E’ bene ricordare che in quella circostanza Mosley si oppose alla domanda dei gommati Michelin di modificare il layout della pista in modo da consentire alla 14 monoposto equipaggiate con gli pneumatici dell’azienda transalpina di disputare una gara che alla storia è passata come un momento non proprio rimarchevole.
Il racconto dell’avvocato inglese serve come monito generale in una fase molto delicata. Talune situazioni non sono prevedibili. I sette team che si rifiutarono di partecipare al GP degli Stati Uniti fecero fare ai propri piloti il giro di schieramento per poi farli ritornare ai rispettivi box. La decisione dovette essere fulminea e servì coraggio. Quello che Liberty Media ha dovuto mostrare nonostante la spaccatura drammaticamente manifestatasi a Melbourne tra le scuderie che volevano correre e quelli che si rifiutavano. Nonostante il pubblico premesse agli ingressi. Nonostante mancassero meno di due ore all’inizio delle FP1. Altrettanto coraggio servirà nelle prossime settimane per riscrivere un calendario che sin d’ora appare ingolfato.
Ma servirà anche una massiccia dose di risolutezza e di capacità di decidere in solitaria se gli altri attori non riusciranno a trovare un punto d’incontro. Perché questo sì che è mancato nella nottata tra giovedì e venerdì. Ad un certo punto le istituzioni del motorsport sono sembrate essere in balia del vento; una banderuola che si spostava con rapidità e la cui direzione risultava essere imprevedibile. Un qualcosa di inaccettabile. La F1 ha bisogno di un timoniere che sappia usare perfettamente il sestante e che riesca a domare la furia del mare. Al centro di tutto non possono esserci gli interessi particolaristici della Ferrari, della Mercedes o della Red Bull di turno. Al centro deve ritornare il sistema Formula Uno. E quella credibilità che nelle ultime settimane, anche a causa del “power unit gate“, pare aver smarrito.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1