Passano gli anni, ma tu dici Gilles Villeneuve e la reazione di chi ti trovi davanti è sempre la stessa. Non importa che si tratti di un appassionato di automobilismo o meno: tutti abbassano gli occhi per un attimo, sulle labbra si disegnano tratti leggeri di un sorriso malinconico e, quando lo sguardo ritrova l’interlocutore, brilla d’emozione. Eh sì, emozione: la parola chiave della vita di Gilles è anche il ponte teso verso il passato che mai ha smesso di riportarci il suo ricordo. Quando le persone parlano del ferrarista canadese, lo fanno con una nostalgia speciale: quella riservata a qualcuno che non solo si è molto ammirato, ma che ti ha lasciato un’ indelebile traccia nell’anima.
Villeneuve è una sorta di patrimonio collettivo di cui gli slanci emotivi, la partecipazione, i salti sul divano (o sulle tribune) nel vivere le sue imprese sono il valore vero. Gilles non ha vinto molto in carriera, eppure è maggiormente amato di piloti con più titoli formali. Questo perché lui solo ha incarnato al 100% lo spirito sotteso alle corse automobilistiche: quell’adrenalina che strega, portando a rasentare l’impossibile, a dargli del tu senza problemi, trattando il rischio come un limite a cui tendere con eterno sguardo di sfida. Nessuno ha più corso così, con una frequentazione del pericolo spettacolare per chi guardava e liberatoria per se stesso. Villeneuve non era un incosciente, sia chiaro, ma un pilota che viveva per l’emozione, non per la vittoria. Quella era la sua benzina. Un unicum che era impossibile non amare.
Chi scrive, non ha avuto l’onore di assistere alle sue imprese per motivi anagrafici, eppure ne è cresciuta nel mito. Con un’ immagine soprattutto, riproposta a iosa dai media negli anni, ma non per questo logora: il duello con Arnoux nel GP di Francia a Digione del 1979. Non ho mai più visto una lotta così frenetica e furente, una sinfonia di ruotate e limiti accarezzati come note sulle linee del pentagramma. C’era ardore, c’era poesia, c’era tutto, letteralmente. Tanto da diventare, per me, metro d’ogni altra battaglia abbia guardato in pista. Qualcosa d’iconico e leggendario e, come tale, ineguagliabile.
Una frase, detta dal pilota alla moglie Joanna dopo la vittoria del GP di Spagna del 1981, racconta molto anche dell’uomo: “Oggi ho vinto più io della macchina”. Sì perché la sua Ferrari era meno veloce di chi era riuscito a tenersi dietro quel giorno. Parla del primato dell’uomo, del sapere fare la differenza oltre il mezzo con intenzione, coraggio, temerarietà. In Gilles c’era anche un grande candore, espresso nella consapevolezza di una natura selvaggia, non asservibile al calcolo. O tutto o niente. Indomabile e incantevole.
È proprio quell’impronta fatta d’emozione (ecco di nuovo la stessa parola) che ha inciso Gilles Villeneuve nei cuori di tutti e che ancora oggi, a 38 anni esatti dalla sua tragica morte a Zolder, ce lo fa ricordare come persona irripetibile. Il più grande e autentico cuore da corsa.
Autore: Elisa Rubertelli – @Nerys__
Foto: Formula Uno – Ferrari