Il divorzio tra la Ferrari e Sebastian Vettel è stato un fulmine a ciel sereno perché, stando alle dichiarazioni degli ultimi tempi dei protagonisti, sembrava che le parti stessero discutendo in maniera serrata. Cosa che lasciava presagire un positivo epilogo, ossia quel rinnovo contrattuale che quasi tutti si aspettavano. Invece, sotto la patina di convivialità, covavano tensioni forti che sono sfociate in una frattura insanabile. Le trattative tra Maranello e Carlos Sainz Jr. erano iniziate già nel 2019. Quando Binotto asseriva di essere indaffarato a parlare con Seb per il rinnovo, in realtà si preparava all’affondo finale per portare lo spagnolo in Emilia. Una tempistica confermata da Zak Brown, CEO della McLaren, a firme apposte sotto ai contratti (leggi qui). Evidentemente il team principal elvetico, Vettel, Sainz e i rispettivi legali rappresentanti sono stati particolarmente abili a celare le loro intenzioni. E la cosa trova conferma da quanto sostenuto da Alexander Wurz – che del pilota tedesco è molto amico – che ha ammesso di essere totalmente all’oscuro dello stato delle cose.
“Sebastian è un mio amico, non me l’aspettavo rompesse con la Rossa. Gli piace tenere questo tipo di cose per sé. Ma se si guarda alla storia della Ferrari vediamo che nei primi anni e nei primi mesi c’è sempre un grande amore, tra le frasi pronunciate alla radio e tutto quel genere di emozioni che vengono fuori e che rendono quella squadra così speciale. Ma ad un certo punto, è accaduto anche a Fernando Alonso, sembra che l’intero sistema ti porti all’esaurimento. Magari – ha riferito l’ex Benetton – non c’è più l’amore dei primi tempi e succede tutto questo. Ma non ne ho parlato con Sebastian”.
Wurz sostiene che Maranello riesca a deteriore anche le storie d’amore più belle e longeve se mancano i risultati. Cosa che avviene non solo coi piloti, ma anche coi tecnici e con lo staff in generale. Un ambiente cannibalesco: “Alla Ferrari c’è altro oltre alla semplice passione per le corse: ti adorano quando spingi la squadra, ma se le vittorie non arrivano, all’improvviso, inizia a ritorcersi tutto contro. E diventano molto protettivi nei confronti della loro identità e del loro lavoro. Ci sono sempre degli attriti: non succede solo ai piloti, ma anche ai responsabili del team. Credo che tutto questo abbia a che fare sia con la pressione esterna, sia con il loro modo di essere. È un mix piuttosto complicato. Se ripensiamo all’era di Schumacher, Todt e Brawn, quel gruppo di lavoro è stato molto forte. Tanto da mettere da parte la pressione italiana, se vogliamo chiamarla così. E da quando se ne sono andati, la Ferrari ha avuto un rendimento sotto le proprie aspettative“.
Le parole del driver austriaco potrebbero sembrare irriverenti, ma in verità fotografano con lucidità quella che è una condizione peculiare che si vive quasi esclusivamente nel mondo Ferrari: una pressione interna elevatissima che scaturisce anche da lunghi cicli nei quali Maranello non è riuscita ad imporsi. C’è la sensazione che ogni pilota, tecnico o meccanico che approda sotto le insegne del Cavallino Rampante è chiamato, quasi da solo, a dover riportare a casa un mondiale che i tifosi chiedono, a giusta ragione, in maniera ossessiva considerando il blasone che il team possiede. Ecco perché, alla lunga, la mancanza di quelle vittorie sperate logora alla base i rapporti tra professionisti e ne determina l’incrinatura irreversibile. Ci sono passati in tanti, Vettel non è altro che l’ennesima “vittima sportiva” di un ambiente iper-esigente.
Autore: Diego
Catalano– @diegocat1977
Foto: Alessandro
Arcari – @berrageizf1 – F1